Trivelle sì, trivelle no... a ciascuno la sua margherita.
Incontro la giornalaia dell’edicola sotto casa, che ha voglia di chiacchierare, parla del tempo, delle aiuole e poi mi fa:
“Ma lei che ne sa, cosa vota sulle trivelle?”
Resto interdetta e penso “ma guarda, va a votare”.
Se non ci fosse stato il tamtam della ministra e l’amico del petrolio il referendum sulle trivelle finiva tra quelli “tutti al mare”, invece se ne parla eccome, difficilmente il quorum sarà raggiunto, ma un sussulto di partecipazione è sicuro, soprattutto gli anta, ai giovani poco importa, hanno altri problemi. “Rischiamo di perdere una generazione”, dice Draghi, anche di cittadini.
Gli sfidanti portano ciascuno le proprie motivazioni, un pot-pourri di equivoci e mistificazioni sottotraccia. L’accusa più dolorosa e vile appare quella che votando per il sì si faranno perdere posti di lavoro: intanto la maggior parte delle concessioni ha durata almeno trentennale, pur se alcune degli anni ‘70, più dieci anni e ancora dieci e noi abbiamo sottoscritto il protocollo Cop21 a Parigi sulle emissioni e sulla dismissione di energie fossili. Perciò la nostra ricerca, le nostre risorse devono puntare su energie alternative e le rinnovabili in questi anni hanno creato e creeranno nuovo posti di lavoro.
Illusorio però, come sostengono gli ambientalisti, che per il nostro piano energetico nel prossimo futuro si possa contare soltanto su fonti pulite. Tutta l’Europa, compresa la verde Norvegia ha un piano energetico “misto”, estrae petrolio dal mare di Bering, così la Germania, che molto investe su energie rinnovabili, utilizza la lignite, assai più inquinante del carbone.
Per l’Italia stiamo parlando di una dorsale di petrolio e metano che va da Novara lungo l’Appennino fino alla Sicilia, i numeri, dal
National Geographic a stampa varia sono un po' discordanti, 64-66 concessioni per un totale di 130-135 piattaforme,
ma Legambiente precisa, e molti concordano, che entro le 12 miglia sono coinvolte 35 concessioni, di cui 26 produttive, con 79 piattaforme e 463 pozzi, cioè 1% di consumo nazionale di petrolio e il 3% di gas, che sembra comunque non essere inquinante, se si dovessero verificare incidenti. Un potenziale pericolo per l’ambiente, anche se danni non ce ne sono stati per ora ed effetti sul turismo neppure, lo dimostra l’Emilia Romagna, dove si trovano più piattaforme, mentre altri timori suscitano le navi che arrivano da tutto il mondo, solcano i nostri mar , portandoci gas e petrolio, spesso natanti senza verifiche e prive di seri controlli come quelle dei nostri cari armatori greci e italiani.
D’altra parte il Mediterraneo è un mare chiuso, le coste della terraferma sono lontane a volte poche miglia, non è un oceano e di fronte nei Balcani si trivella... Del petrolio ne sappiamo qualcosa noi liguri: i resti delle perdite della petroliera Haven, al largo di Arenzano a 25 anni dall’incidente sono ancora lì, vi nuotano pesci e sub imprudenti tra i fondali suggellati per sempre dal materiale della fuoriuscita del greggio.
La legge di Stabilità prevede che non vi siano nuove concessioni, ma che quelle già rilasciate entro le 12 miglia, limite acque territoriali, proseguano a tempo indeterminato, ad esaurimento, così come i permessi di attività di ricerca, una decina sparsi nel mar Adriatico e in Sicilia con rinnovi da sei più sei. Il tutto a prescindere, con proroghe che non rispettano la legalità, come la Normativa europea prevede, la trasparenza sull’affidamento di beni pubblici. E noi abbiamo moli, spiagge assegnate non in chiaro: votando No si continua a perpetuare privilegi, cui purtroppo abbiamo fatto l’abitudine, ma nulla vieta che i titoli possano essere riassegnati con nuova gara o si debba smantellare. Sotto sotto le società petrolifere estraggono anche secondo l’andamento dei prezzi, con calma, se non c’è scadenza, tanto hanno già ammortizzato.
La partita appare in realtà tutta politica, con una comunanza trasversale di oppositori a Renzi e alle sue riforme costituzionali, un fronte compatto da Fratelli d’Italia a Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle, ma anche uno scontro non meno importante tra Enti locali e potere centrale: una calamità, la modifica al titolo V ha dato alle regioni competenze che non hanno saputo gestire, dai rifiuti, al trasporto pubblico, alla sanità e chi teme una longa manus delle regioni sul Piano Energetico Nazionale ha buone ragioni .Per una volta tanto pare che gli enti locali si preoccupino della loro terra, del loro ambiente... o no? Intanto l’amore per bellezza del nostro paesaggio muoverà a torto o a ragione più di un cuore.
(Bianca Vergati - immagine di Paolo Gasaldo)