Qualunque sarà il risultato del referendum, segnerà l’Europa per sempre. Tra chi invoca i compiti a casa, e chi maledice questa Europa matrigna, a soffrire è intanto il popolo greco, ma c’è qualcuno che di certo non pagherà il conto: gli armatori greci.
A febbraio Tsipras ventilò l’ipotesi che per rimettere in sesto i conti di Atene si sarebbe dovuto tassare i ricchissimi tycoon, 60 famiglie che detengono il 16% del mercato globale e generano il 7% del Pil ellenico, con la prima flotta al mondo per tonnellaggio, un primato riconquistato nel 2013 dopo averlo ceduto al Giappone al tempo della crisi e primo paese per ordini di navi da consegnare nei prossimi anni.
Le fortune e le risorse accumulate nei decenni hanno fatto sì che gli armatori potessero aumentare sempre di più le proprie attività e i propri interessi fuori dal paese, centoquaranta miliardi di utili negli ultimi dieci anni, ma anche mantenere una salda presenza in patria. Quasi cinquemila navi dal valore complessivo di cento miliardi permettono di avere il sedici per cento del mercato e di dare lavoro a duecentocinquantamila persone, perciò gli oligarchi hanno risposto con calma olimpica: “Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore, oppure in Germania, dove ci sono agevolazioni fiscali fortissime …” hanno minacciato. Con più di nove miliardi di euro di investimenti lo scorso anno, gli armatori greci hanno poi dato un segnale inequivocabile a chi riteneva che la crisi storica che sta attraversando la Grecia li avrebbe affondati, ormai dominano la scena mondiale da più di cento anni. Perché?
Perché dietro al loro successo vi è un regime fiscale eccezionalmente a loro favore, addirittura in Costituzione: infatti, in base all’articolo 107, gli armatori greci sono esentati dal dover pagare tasse sui profitti che provengono dalle proprie attività all’estero. Oltre ad essere essere armatori, sono petrolieri, editori, titolari di lavori pubblici nel Paese senza gare di appalto, possiedono squadre di calcio. Godono di Iva agevolata, ma soprattutto dell’esenzione fiscale sui profitti generati all’estero garantiti per la legge costituzionale del 1967.
Mettere in discussione l’impossibile per Tsipras, applicare ciò che con la morbida legge sul blind trust del 2009 non è riuscito ai conservatori, mentre tutte le inchieste giudiziarie passate sul contrabbando di petrolio non hanno prodotto condannati: una“patrimoniale” di due miliardi e mezzo sui supermiliardari e altri due miliardi e mezzo dal recupero di tasse arretrate. Un provvedimento cucito su misura per i potentissimi armatori. “I nostri cittadini hanno pagato un prezzo carissimo alla crisi – aveva detto il premier mesi fa in Parlamento – ora il conto lo devono saldare quelli che non hanno mai messo mano al portafoglio”. Già nel 2012, con la Grecia sull’orlo del default, l’ex premier Samaras chiese ai super-ricchi una “tassa temporanea di emergenza”, 500 milioni ad oggi. Perché Tsipras non è andato avanti?
Nella disputa Grecia - Ue si parla soprattutto di pensionati, che sicuramente non hanno una quotidianità facile, ma della metà dei giovani senza lavoro non si parla. Del loro futuro, nemmeno.
(Bianca Vergati - foto di Giovanna Profumo e Ferdinando Bonora)
Le fortune e le risorse accumulate nei decenni hanno fatto sì che gli armatori potessero aumentare sempre di più le proprie attività e i propri interessi fuori dal paese, centoquaranta miliardi di utili negli ultimi dieci anni, ma anche mantenere una salda presenza in patria. Quasi cinquemila navi dal valore complessivo di cento miliardi permettono di avere il sedici per cento del mercato e di dare lavoro a duecentocinquantamila persone, perciò gli oligarchi hanno risposto con calma olimpica: “Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore, oppure in Germania, dove ci sono agevolazioni fiscali fortissime …” hanno minacciato. Con più di nove miliardi di euro di investimenti lo scorso anno, gli armatori greci hanno poi dato un segnale inequivocabile a chi riteneva che la crisi storica che sta attraversando la Grecia li avrebbe affondati, ormai dominano la scena mondiale da più di cento anni. Perché?
Perché dietro al loro successo vi è un regime fiscale eccezionalmente a loro favore, addirittura in Costituzione: infatti, in base all’articolo 107, gli armatori greci sono esentati dal dover pagare tasse sui profitti che provengono dalle proprie attività all’estero. Oltre ad essere essere armatori, sono petrolieri, editori, titolari di lavori pubblici nel Paese senza gare di appalto, possiedono squadre di calcio. Godono di Iva agevolata, ma soprattutto dell’esenzione fiscale sui profitti generati all’estero garantiti per la legge costituzionale del 1967.
Mettere in discussione l’impossibile per Tsipras, applicare ciò che con la morbida legge sul blind trust del 2009 non è riuscito ai conservatori, mentre tutte le inchieste giudiziarie passate sul contrabbando di petrolio non hanno prodotto condannati: una“patrimoniale” di due miliardi e mezzo sui supermiliardari e altri due miliardi e mezzo dal recupero di tasse arretrate. Un provvedimento cucito su misura per i potentissimi armatori. “I nostri cittadini hanno pagato un prezzo carissimo alla crisi – aveva detto il premier mesi fa in Parlamento – ora il conto lo devono saldare quelli che non hanno mai messo mano al portafoglio”. Già nel 2012, con la Grecia sull’orlo del default, l’ex premier Samaras chiese ai super-ricchi una “tassa temporanea di emergenza”, 500 milioni ad oggi. Perché Tsipras non è andato avanti?
Nella disputa Grecia - Ue si parla soprattutto di pensionati, che sicuramente non hanno una quotidianità facile, ma della metà dei giovani senza lavoro non si parla. Del loro futuro, nemmeno.
(Bianca Vergati - foto di Giovanna Profumo e Ferdinando Bonora)
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