sabato 25 aprile 2015

CARTOLINE DI OLI: Ripristiniamo la memoria

(Foto di Giovanna Profumo)
Sant'anna di Stazzema - 19 aprile 2015 
 La lapide alle vittime del massacro perpetrato dalle SS il 12 agosto 1944, è stata devastata dal vento che ha causato ingenti danni al Parco della Pace il 5 marzo 2015.
La ministra Elena Boschi l'ha trovata in queste condizioni in occasione della commemorazione il 25 aprile.

venerdì 17 aprile 2015

OLI 424 - SOMMARIO

OLI 424: PAROLE DEGLI OCCHI - Papafonzie

(foto di Surya)

Roma, aprile 2015

OLI 424: SANITA' - Teresa e la cannabis

La sposa scende i gradoni di pietra, alle sue spalle si staglia il campanile grigio, la facciata d’ardesia a righe e Teresa, la mamma della sposa, la guarda commossa. E’ un sabato di giugno, i turisti ormai sciamano via, ancora una foto di quelle rocce a picco sul mare con la chiesina che pare fatta a carboncino, i matrimoni in quell’angolo di Liguria sono consueti, al più si spia se la bella ha gli occhi a mandorla, ché vengono fin qua per convolare a nozze.
Le giovani invitate scendono scalze fino al vicolo, i tacchi son dolori in quella discesa ma lei no, Teresa resiste, i suoi non sono tacchi a spillo, procede spedita nel suo vestito rosso verso l’imbarcadero e la vedi ondeggiare un po’, sarà il selciato pensi. Invece no. Il suo passo pare un tantino strascicato, morbida, una bruna bellezza mediterranea, dagli occhi grandi, che ti volti a guardare.
Sono passati pochissimi anni, ora Teresa ti guarda ancora con i suoi begli occhi scuri spalancati, vigili, ma non può parlare : una specie di parkinsonismo le sta divorando i movimenti, il respiro, la voce, a stento si muovono le labbra, forse vorrebbe sorridere.
Suo marito ha studiato, ha letto tutto quello che poteva leggere, ha scoperto che la cannabis rilassa i muscoli, il male più grande per Teresa, le contratture le procurano dolori infiniti, le rattrappiscono le mani, le gambe. Aveva chiesto come sperimentazione domiciliare che le si prescrivesse la cannabis e dopo mesi di attesa finalmente ne era stata concessa una modesta quantità per fare decotti: pochissima dalla Asl della città di residenza, mentre quella della provincia accanto ne prescrive sei volte tanto.
Dunque una discrezionalità che varia da ospedale a ospedale, troppa prudenza o altro che è meglio non dire, di fatto un trattamento sanitario diverso nella stessa Regione.
Non esiste dunque un protocollo a livello nazionale o strapotere del Titolo Quinto?
Purtroppo arriva una polmonite e il ricovero in ospedale: il coma farmacologico e la terapia di cannabis interrotta. I medici sono chiari, già l’hanno aiutata a respirare, l’hanno inserita nella terapia del dolore, morfina e stordimento, prassi consolidata, al diavolo dignità e migliore qualità di vita del malato.
Niente cannabis per Teresa, non c’è nessun protocollo che la preveda, la si può dare soltanto ai malati di Sla e sclerosi multipla.
Il marito di Teresa insiste, insiste almeno per alleviarle i dolori, infine il Comitato etico non si pronuncia, ma c'è un altro iter e si concede il decotto, tanto per provare e lei si sveglia dal coma, è tornata a guardarti, con quegli occhi belli che a tratti si riempiono di lacrime, vorrebbe parlare forse. Il compagno della vita ogni giorno è lì ad accarezzarle le mani, il viso, le parla, vorrebbe almeno lenirle il dolore delle contratture: con l’incoraggiamento di un dirigente illuminato i medici hanno acconsentito finalmente alla “sperimentazione ufficiosa” dopo mille giri burocratici, una dose ben più forte, con un’altra formula, ma la medicina però non è disponibile. Così è andato in Svizzera a comprare lo Sativex, con la prescrizione di un medico svizzero, uno spray a base di cannabis a dosi elevate.
Intanto il tempo è passato e la malattia è progredita, pur se Teresa ha di nuovo iniziato lentamente a muovere le mani, ad aprire meglio la bocca, fra lo scetticismo stupefatto dei medici e dopo tanta immobilità chissà.
Il suo amorevole compagno vorrebbe portarsi a casa Teresa, le vuole così bene, si conoscono dai banchi di scuola, spera di riuscire a farla parlare di nuovo, farla muovere, rimetterla seduta, ha buttato in fondo al cuore che cosa voleva ricordargli con le sue lacrime Teresa, che glielo aveva detto quando aveva scoperto la sua malattia senza ritorno e ancora riusciva a parlare: “Portami in Svizzera”.
Aveva ragione il cuore?
(Bianca Vergati - foto da internet)

OLI 424: PALESTINA - Chiudo gli occhi e sono di nuovo dietro le sbarre

"Mi chiamo Samar, sono stata arrestata quando avevo 22 anni, in seguito ad una protesta studentesca e condannata a due anni e mezzo di carcere. Ero a capo del Consiglio studentesco dell'Università islamica. Avevamo organizzato una protesta contro l'occupazione... Due giorni dopo anche mio marito è stato arrestato e condannato a 9 mesi di prigione, senza accusa alcuna. Eravamo sposati da tre mesi. Ero nelle prime settimane di gravidanza. Ho subito ogni tipo di tortura. Mi hanno tenuto per 66 giorni in una cella sotterranea, gelida, costretta a stare in equilibrio su un seggiolino. Sono stata umiliata, maltrattata... quando è iniziato il travaglio mi hanno legato mani e piedi e mi hanno fatto il taglio cesario non perchè fosse necessario... Ora ho 28 anni e vivo a Gaza dove sono stata deportata, mentre mio marito e la mia famiglia vivono in Cisgiordania. Mi è negato l'accesso e quindi non posso vedere nè mio marito nè mio figlio"
Il 17 aprile ricorre la Giornata dei Prigionieri Palestinesi che sono detenuti nelle carceri israeliane per la loro opposizione all'occupazione illegale. Ad oggi sono più di 6200 detenuti: 480 condannati all’ergastolo, 454 in detenzione amministrativa, 22 donne, 163 bambini. Dal 1967 sono state arrestate 850mila persone, 15mila sono donne e decine di migliaia di bambini. Israele viola costantemente i diritti dei detenuti per le condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere e i trattamenti crudeli e degradanti. Spesso i detenuti sono in detenzione di isolamento. Restano da soli per 24 ore al giorno in una cella vuota con solo materasso e coperta. Il detenuto non può tenere nulla con sè, nemmeno libri o radio. La cella non ha WC.
Le condizione di detenzione nelle carceri israeliane hanno un forte impatto sulla salute dei prigionieri: la mancanza di luce naturale, l'umidità delle celle, lo scarso e scadente cibo, le restrizioni di uso degli spazi, il servizio sanitario carente. Inoltre le visite da parte dei familiari sono limitate. La sospensione delle visite è molte volte usata come forma di punizione collettiva. Sono 207 i detenuti morti nelle carceri israeliane a seguito di torture e uccisioni ma nessuno è stato incriminato o giudicato colpevole dato che la legislazione israeliana prevede l’immunità per i funzionari di Israele.
"Sono Habed... il giorno del mio sedicesimo compleanno, i soldati israeliani sono venuti a prendermi. Era l'1,30 di notte. Hanno buttato giù la porta di casa... Mi hanno bendato e ammanettato. Mi hanno picchiato di fronte ai miei che mi guardavano impotenti. Una jeep militare mi ha portato al centro di detenzione di Beit Jala. Durante il tragitto è iniziato il pestaggio. Durante l'interrogatorio ho chiesto acqua, mi hanno portato vodka. Ridevano mi umiliavano. 24 ore di interrogatorio, gli ufficiali si davano il cambio e usavano metodi vari per farmi confessare quello che non avevo fatto: un'accecante luce rossa negli occhi, minacce contro la mia famiglia, braccia legate, l'interrogatorio va avanti per 45 giorni: Ero sfinito, ero certo che sarei morto. Ho perso 16 chili e ancora oggi ne soffro le conseguenze. Habed resterà in carcere per due anni e mezzo passando da una prigione all'altra. Ad Hasharon vive l'esperienza peggiore ero lì da due settimane quando i soldati hanno lanciato dentro le celle gas lacrimogeni e ci hanno chiuso dentro. Non riuscivamo a respirare e hanno aperto le celle. Più di cento soldati ci aspettavano fuori... mentre camminavamo, ci picchiavano sulla testa e sulla schiena con manganelli. Mi hanno rotto una gamba. Sono caduto a terra e si sono lanciati su di me: mi hanno colpito non so quante volte. Ho perso conoscenza per circa sette ore per le botte alla testa. Mi sono risvegliato all'ospedale militare, il medico mi ha detto che la gamba stava benissimo, avrei solo dovute bere un po' d'acqua per sentirmi meglio. Una volta tornato a casa non sapevo più chi ero... Vorrei solo tornare alla vita di prima, ma non riesco a cancellare la prigione. Chiudo gli occhi e sono di nuovo dietro le sbarre".
(Maria Di Pietro - foto da internet - fonte delle interviste Addammer.org)

OLI 424: COMUNE - Genova cancella il diurno

Foto da internet
Ci sono molti divieti strani dovuti ad ordinanze sindacali o dirigenziali che in questi anni hanno popolato le pagine dei giornali nazionali (e anche internazionali): dal divieto di passeggiare con il cane al guinzaglio, fino a quello di circolare in bikini per il lungomare, tranne i casi giudicati possibili dal vigile urbano di passaggio.
Ma a Genova abbiamo inventato il divieto di lavarsi, o meglio l'impossibilità di farlo come effetto collaterale di un sistema disorganizzato all'inverosimile: la chiusura del Diurno di De Ferrari per motivi di sicurezza.
Il Diurno, gestito un tempo da undici dipendenti del Comune che nel tempo di sono ridotti fino a quattro, è stato recentemente oggetto di cronaca per un'indagine proprio sull'abitudine di timbrarsi il cartellino vicendevolmente. Però due mesi prima proprio una lettera degli stessi dipendenti aveva denunciato uno stato di grave disagio sulla manutenzione dei locali perdurante da anni: un'uscita di sicurezza impedita nel suo uso regolare da una palizzata in legno esterna alla struttura, una botola posta sul passaggio delle persone, proprio alla base della scala di accesso, la cui copertura rischiava di cedere, per cui fu ricoperta in qualche modo con una tavola di legno, il sistema di aerazione sulla cui efficienza gravano dubbi.
La nostra storia inizia due mesi fa, quando per effetto di un controllo scaturito proprio dalla segnalazione dei dipendenti, il dirigente decide di chiudere temporaneamente la struttura per motivi di sicurezza. Come spesso accade in Comune, si innesca un processo di verifica di competenze, arrivano i lavori pubblici a verificare che il diurno necessiterebbe di circa 150 mila euro di lavori, anche se in realtà poi per gli interventi di minima messa in sicurezza un preventivo successivo parla di circa 15 mila. Nel frattempo che il tempo passa, le centinaia di persone che settimanalmente si recavano al diurno per lavarsi, scaldarsi un po' in inverno, restano fuori. Alcuni si recano a Tursi per avere informazioni, l'assessore competente li riceve in giardino, in mezzo al consiglio comunale, e gli prospetta che in una decina di giorni il problema sarebbe stato risolto: ecco, in questo i nostri "immigrati" (si tratta soprattutto di persone straniere) si saranno sentiti molto integrati nel sistema burocratico italiano.
Alcuni consiglieri comunali si muovono nel frattempo, viene effettuato un sopralluogo, una commissione consiliare, telefonate al dirigente: ci si aspetta che la giunta "faccia qualcosa". Invece, tutta l'attenzione degli uffici si concentra solo sulle responsabilità e il diurno resta chiuso. Che queste persone almeno sappiano dove andare altrove non viene tenuto in alcuna considerazione, figuriamoci lavorare per trovare una soluzione di accordo con altre strutture. Solo dopo un intervento in Consiglio comunale, dove viene proposto di mandarli ai Bagni San Nazaro in Corso Italia per il tempo necessario alle riparazioni nel diurno, qualcosa pare cominciare a muoversi, con un tentativo di far intervenire le associazioni aderenti al patto di sussidiarietà sociale. Ma per ora, nulla.
Durante la commissione, l'assessore Fracassi spiega che il diurno di De Ferrari non è considerata una struttura adatta, che si progetta di realizzarlo altrove, con un doppio accesso separato per turisti da una parte e povera gente dall'altra, con centro servizi e un deposito bagagli. A parte l'ingresso separato che lascia perplessi molti consiglieri, una bella idea, c'è l'ex diurno abbandonato nel metro di De Ferrari che sarebbe perfetto, ci sarebbe stato quello di Piazza Acquaverde proprio di fronte alla stazione Principe se non fosse stato ceduto in una permuta immobiliare pochi mesi fa. Ma, intanto, mentre la fantasia galoppa, Genova è una città con una giunta di centrosinistra senza servizi igienici per i poveri. L'estate si avvicina, il caldo pure, se prendendo un autobus qualcuno si trovasse accanto un passeggero molto puzzolente, sappia che potrebbe essere una persona che non vorrebbe esserlo, come ognuno di noi.
(Stefano De Pietro) 


OLI 424: COMUNE - La voce umana

“Benvenuti nel centralino automatico del Comune di Genova. Per ricerca cognome e nome, dica o prema: 1; per gli uffici comunali: 2; per centralino: 3; per parlare con l’ufficio relazioni con il pubblico: 4”.
Così risponde da anni una voce meccanica a chi si avventura nella composizione dello 010557111.
Se si commette l’errore di fidarsi della macchina invece di interrogare subito un essere umano e si dice o preme 1 oppure 2 (ricevendo un messaggio di sollecito, se non si è immediatamente pronti all’azione, che al seguente tentativo fallito si trasforma in un perentorio: “Non è stata effettuata nessuna selezione valida. La ringraziamo per aver
chiamato” e la comunicazione si chiude), scatta l’invito: “Prego, pronunci chiaramente il cognome, seguito dal nome”. Nonostante ci si sforzi di scandire al meglio il nominativo cercato, raramente si è indirizzati ad esso: può capitare che l’automatismo capisca male e proponga il collegamento con un altro tra le migliaia di dipendenti, oppure, assai più spesso, che non capisca del tutto e chieda di nuovo “Può ripetere, per cortesia?”.
Al secondo tentativo, la capitolazione: “Attenda, prego: la sua chiamata sta per essere trasferita a un operatore del centralino”.
Entrati finalmente in contatto con una voce umana dopo aver perso tempo che a volte può essere prezioso, prima di chiedere il contatto cercato non si può resistere alla tentazione di domandare irritati di disattivare l’automatismo e a questo punto accade inaspettato il prodigio: nella persona dell’operatore, l’istituzione si mette davvero a dialogare col cittadino, non come entità astratta ma come organismo composto da uomini e donne che vi lavorano nell’obiettivo condiviso – si spera – di gestire la città nell’interesse di chi la abita, sia pur non senza conflitti e contrasti al proprio interno.
Nel mio caso, all’altro capo del filo è una pacata signora (ma potrebbe essere un maschio) che inizia a colloquiare precisando con gentilezza che non è la prima volta che riceve tale richiesta e che i suoi superiori, responsabili del servizio, sono informati del disagio espresso da alcuni utenti. Ci intratteniamo in una brevissima ma confortante conversazione su certe contraddizioni e arroganze di cui siamo vittime entrambi. Prima di inoltrare la mia chiamata mi fornisce di sua iniziativa il numero interno cercato, nel caso fosse stato occupato o assente, per poterlo richiamare direttamente senza dover ripercorrere la snervante trafila.
Ci salutiamo con simpatia e le auguro buon lavoro.
Qualche riflessione: il Comune di Genova è soltanto uno dei molti enti pubblici e privati che da tempo ricorrono a tali marchingegni per ridurre i costi del personale addetto, con criticità analoghe. Lo stesso vale per altri servizi, come ad esempio l’automatizzazione della riscossione dei pedaggi autostradali e dei ticket sanitari o dell’emissione dei biglietti ferroviari, con macchine che non di rado vanno fuori uso o semplicemente mettono in difficoltà gli utenti meno avvezzi a tali innovazioni.
Ne vale davvero la pena?
Senza voler essere luddisti, è impagabile sentire una voce uscire non da un altoparlante ma da una bocca, scambiarsi uno sguardo, due parole, un saluto, anche nell’asetticità di un rapporto professionale ma pur sempre fra due persone.
(Ferdinando Bonora – immagini da internet: Charlie Chaplin, Tempi Moderni, 1936)

OLI 424: SINISTRA - In assenza del Messia si parla di maria

Dove eravamo rimasti?
Che per le Regionali della Liguria don Farinella aveva sognato di unire M5S e sinistra-sinistra in una grande coalizione senza riuscirci, e che poi era stato proposto e votato Giorgio Pagano per alleare almeno Rete a Sinistra e Altra Liguria (due componenti nelle quali erano confluiti SEL, Rifondazione, verdi, civatiani, lista Doria e tutti quelli che nel Pd si oppongono a Renzi) e che era quasi fatta, ma poi la pubblicazione di un carteggio mail ha dato la stura ad una coalizione, sostenuta da Cofferati, sfavorevole a Pagano, così è partita la candidatura di Pastorino (anche lui sindaco ma di Bogliasco, nonché parlamentare). Allora Giorgio Pagano ha rinunciato a candidarsi per non portare su di sé l’onta di aver scisso la sinistra, però Altra Liguria non ha appoggiato Pastorino ed ha deciso di presentarsi da sola insieme ai Verdi.
Situazioni che nemmeno gli sceneggiatori di House of Cards arriverebbero a immaginare...
Così da anime della sinistra i potenziali elettori si sono trasformati in anime in pena.
Quello che rimane di questa catastrofe, militanti sopravvissuti, era in Largo Pertini sabato mattina per la presentazione del candidato Antonio Bruno della lista l’Altra Liguria e ai giardini Luzzati domenica ad un incontro-aperitivo a favore della legalizzazione della cannabis, organizzato dai sostenitori di Pastorino.
Alla prima iniziativa è venuto a buttare uno sguardo anche Pierfranco Pellizzetti – analista raffinato e crudele del contesto politico regionale – che con un certo compiacimento non ha fatto che ribadire, interpellato, quello che già aveva scritto su Pagano, Pastorino e compagni, alimentando l’impressione che esista davvero la schiera dei promotori “del tanto peggio, tanto meglio”.
Alla seconda iniziativa, con ragionevole ritardo, si è presentato Pastorino, sulla scia di una tradizione consolidata per la quale i candidati sono come le spose. Per fortuna i suoi giovani supporters avevano preparato seriamente l’incontro sviluppando, anche in assenza del candidato, il tema cannabis nelle sue molteplici sfaccettature: utilizzo a fini terapeutici, personale, imprenditoriale e come rilancio delle aree agricole abbandonate dell’entroterra. Mentre il Consiglio comunale genovese ha approvato una mozione favorevole
alla legalizzazione. Accrescendo in chi scrive la convinzione che il milione di metri quadri vista mare, con tanto di moli, afferenti all’Ilva di Cornigliano potrebbero essere convertiti alla coltivazione e lavorazione della pianta, se dovesse venir meno la vocazione siderurgica del sito.
Al dibattito ai giardini Luzzati, grazie ai relatori informati sulle inchieste andate in TV, è stato possibile un approccio costruttivo al tema della legalizzazione dell'oro verde, a partire dalla possibilità di sottrarre alla criminalità organizzata - Camorra SpA - un mercato che in Colorado ha creato legalamente 10.000 nuovi posti di lavoro, più il gettitio fiscale che permettermebbe un'entrata di otto miliardi di euro annui.
Gli interventi dei presenti hanno dato voce alla fatica di chi, gravemente malato, è sottoposto alla sadica burocrazia del sistema sanitario per ottenere cannabis, e dei consumatori che rivolgendosi alla rete illegale dello spaccio, rischiano di assumere sostanze tagliate e gravemente dannose. Peccato che gli operatori del Sert non siano intervenuti, che fossero assenti i medici del lavoro che, per legge, devono verificare il consumo di droghe nei siti produttivi e che poco si sia detto sulle piantine coltivate dai militari italiani a Firenze.
Così in assenza del messia a sinistra si è parlato di maria.
Un saggio provvidenziale inizio. Una speranza per il coltivatore diretto di Ospedaletti finito in manette dopo aver convertito la produzione della sua azienda alla coltivazione illegale di canapa.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)

OLI 424: TEATRO - Iqbal, la libertà in scena


Due oggetti deposti sul pavimento.
I passi di chi porta un tappeto che viene srotolato davanti a noi.
Passi veloci, capriole: i ragazzi si presentano nome e anni: undici, sedici, tredici anni.
Giocano al gioco del prigioniero, una parola risuona a più voci: “Libero”.

Questo l’inizio dello spettacolo “Parlaci di Iqbal” (Palazzo della Nuova Borsa in scena ancora ore venerdì 17 e sabato 18 aprile, ore 20.30 - ingresso libero, spettacolo proposto all’interno della manifestazione “La Storia In Piazza” che quest’anno ha come titolo ” Le età del capitalismo”.)

I ragazzi che agivano la storia erano tutti, senza distinzione, consapevoli che solo attraverso la pulizia dei movimenti e il giusto ritmo della parola, avrebbero potuto passare la storia di Iqbal. Una presenza che si acquisisce attraverso una pratica del teatro, attraverso l’esercizio e il gioco fatto “sul serio”.
Pochi oggetti hanno narrato la storia: due strumenti per la fabbricazione dei tappeti, una lunga stoffa che simboleggiava il fiume e il gioco perduto, la bandiera del BLLF - l’associazione che si batte per la fine della schiavitù - un mappamondo che racconta il viaggio di Iqbal, da bimbo libero, per raccontare la sua storia al mondo; poi una penna che lui contrappone agli strumenti di lavoro, la penna come simbolo di libertà, delle biciclette - la bicicletta riversa dopo l’assassinio di Iqbal, e le molte biciclette che ci hanno circondato, correndo attorno a noi del pubblico, le biciclette che pedalano i migliaia di bambini schiavi che ci sono ancora del mondo.
La Sala delle Grida, al palazzo della Borsa, è stato un palcoscenico totale, dove gli spettatori sono stati circondati e trasportati in un altro mondo. La drammaturgia è stata delicata, alternando momenti emotivamente forti a momenti di sfogo e gioco, sempre inerenti e utili alla narrazione.

Il piccolo Iqbal fugge dalla fabbrica di tappeti dove è schiavo e va alla manifestazione del BLLF, un attivista lo nota e gli chiede chi sia, ma il bambino non riesce a parlare, non vuole scoprirsi davanti a tutti, quindi gli racconta nell’orecchio la sua storia. L’attivista, dopo averlo ascoltato (il pubblico no, rimane in attesa, in ascolto, attento), gli dice:
- Bene, se vuoi essere libero devi andare su quel palco e denunciare il tuo padrone davanti a tutti.
Successivamente gli attivisti del BLLF lo scortano dal suo padrone e lui, Iqbal, a soli dieci anni, deve dichiararsi libero davanti al suo padrone.
Gli adulti ci sono, sono lì ad aiutarlo, a sostenerlo ma non sono lì per fare il lavoro al suo posto, a liberarlo, perché la libertà nasce prima di tutto dall’autodeterminazione, questo narra, senza esplicitarlo o banalizzarlo, lo spettacolo.
Come testimone vivente di questa storia c’era Ehsan Ullah Khan, sindacalista del BLLF.

Un bell’esempio di teatro politico e sociale fatto dai cittadini per i cittadini ben scritto (in collaborazione con Ehsan Ullah Khan) e diretto da una professionista del teatro come Enrica Origo.
Un teatro che non si parla addosso, degli attori che non si compiacciono delle proprie emozioni e dei propri sentimenti ma un teatro che parla ed emoziona il pubblico, calato all’interno di uno dei luoghi simbolo dell’economia della città.
Da vedere.
(Arianna Musso - Foto dell'autrice)

OLI 424: ESTERI - Voci dalla stampa internazionale

"In fondo, si tratta di una lotta sul cosa fare della sfida dell'Iran alla leadership degli Stati Uniti in Medio Oriente e della minaccia che le ambizioni geopolitiche iraniane rappresentano per gli alleati degli Stati Uniti, in particolare Israele e l'Arabia Saudita."

“Militanti dell’ISIS hanno ucciso una ragazza palestinese di 13 anni, all'interno del campo profughi Yarmouk in Siria (...) La ragazza, identificata come Zainab Daghestani, è stata uccisa da un cecchino dell’ISIS mentre cercava di fuggire dalla sua casa in Yarmouk per raggiungere Yelda, un quartiere vicino, dove i profughi palestinesi di Yarmouk fuggono per avere sicurezza."
http://www.ibtimes.co.in/exclusive-isis-sniper-guns-down-13-year-old-girl-fleeing-yarmouk-camp-628942

Soldato israeliano: i palestinesi sono utilizzati come obbiettivi di addestramento.
Middle East Monitor: "Yaron Kaplan, 21 anni, di Lod, si è dichiarato obiettore di coscienza e rifiuta di continuare il suo servizio a causa nell'esercito israeliano".

"Dal 2001, l'Arabia Saudita, Oman, Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno dato fino a 40 milioni di dollari alla Fondazione Clinton. Altri sei analoghe fondazioni di beneficenza non governative non hanno avuto soldi da quegli stessi quattro paesi del Medio Oriente;." "L'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e Kuwait hanno dato ciascuno più di 1 milione di dollari per aiutare a lanciare il Bush Center, onorando l'ex presidente George W. Bush”. 

“Gli operatori umanitari hanno segnalato, martedì, una crisi umanitaria in corso in Yemen, parlando di almeno 560 persone uccise, tra cui decine di bambini, per lo più a causa di bombardamenti aerei sauditi (...). Più di 1.700 persone sono state ferite e altri 100.000 hanno abbandonato le loro case (...) nelle ultime tre settimane, ha detto l'Organizzazione Mondiale della Sanità.”

The Nation, 05 aprile 2015: “Richiedendo soldati sunniti, l’Arabia Saudita sta cercando di dividere l’esercito pakistano”.

Persino Henry Kissinger, ora, è sunnita.
Henry Kissinger, ex segretario di stato USA (quello del Vietnam e del Cile), ha scritto, ieri, sul WSJ: “gli stati sunniti si preparano a resistere contro un nuovo impero sciita”.

 Le vittime delle esecuzioni sono prevalentemente migranti e sauditi poveri.
“L'Arabia Saudita sta procedendo verso numero record di esecuzioni nel 2015 (taglio della testa sulla pubblica piazza), visto che i gruppi per i diritti umani denunciano che gli immigrati ed i sauditi poveri (che costituiscono la stragrande maggioranza di quelli messi a morte) faticano ad accedere alla giustizia. Secondo i dati diffusi dal Ministero degli Interni, 55 persone sono state giustiziate nel regno ricco di petrolio nel primo trimestre del 2015, quasi due terzi del totale eseguiti l'anno precedente.”
http://www.middleeasteye.net/news/analysis-rising-saudi-death-penalty-targets-most-vulnerable-121961467

“Oggi nelle prime ore del mattino, i soldati israeliani hanno arrestato la parlamentare della sinistra palestinese Khalida Jarrar, nella sua casa di Al-Bireh (vicino a Ramallah). Jarrar è un’attivista femminista e si occupa delle questioni riguardanti i diritti umani dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.”
http://972mag.com/israeli-soldiers-arrest-feminist-palestinian-lawmaker/105161/

"Il canale televisivo saudita Al Arabiya è finito nel mirino per la pubblicazione in rete di una foto falsa. Lunedì ha postato la foto al suo account Twitter ufficiale. Nella descrizione, in arabo, si legge: “Al Arabiya esclusivo: l’Operazione Tempesta Decisiva dell'Arabia Saudita distrugge un convoglio militare Houthi a Saada [Yemen] "Però c’è un problema: quella foto è una foto iconica dalla prima guerra del Golfo. Secondo le informazioni fornite dal Dipartimento della Difesa, che reso l'immagine di dominio pubblico, è stata scattata da un fotografo militare, il 4 marzo 1991, durante l’operazione Desert Storm. La foto mostra veicoli militari iracheni che sono stati distrutti dalle forze della coalizione."

venerdì 3 aprile 2015

CARTOLINE DI OLI - Auguri dalla Tunisia

(Foto di Monica Profumo)
Tunisia - Sidi Bou Said - marzo 2015