C’è un carrello.
Grande. Profondo.
E dentro il carrello, c’è il mondo.
Tre tipi diversi di affettati, barattoli di sughi a non finire, latte che ti vendono nei contenitori di plastica che sembrano quelli usati per trasportare la benzina e che sono letteralmente giganteschi. Pane, il pane in cassetta e quello fresco, fatto affettare. Il pane per lo Shabbath ebraico, il pane ai cinque cereali, il pane solo ai cereali, il pane dietetico, il pane aromatizzato, il pane dolce. Ma se il pane non è abbastanza mettiamo in un sacchetto anche qualche beagle. Contenitori di yogurt (non i barattoli piccini, ma quelli che possono durarti per due settimane). Verdura e frutta di grandezze inquietante (si pensi ad arance grosse come dei meloni). Tomatos, potatos, turnips, parsnips, broccoli, avocados. Dolciumi vari. Marmellate, miele, sciroppo d’acero, senape e maionese e ketchup. Pollo arrosto che non può mai mancare. Pollo arrosto organico, plain oppure aromatizzato al BBQ, al rosmarino e aglio, al limone. Ice Cream, ice cream dietetico, gelato (attenzione: tra ice cream e gelato gli americani fanno la differenza), sorbetto. Diversi tipi di cereals, diversi tipi di pasta (Barilla, De Cecco, Maria e altre marche vendute come tipicamente italiane e che io non ho mai visto), prodotti congelati, prodotti cotti da riscaldare, sushi. Olive (dieci tipi diversi che il consumatore provvede a pescare con un cucchiaione dai barattoli di plastica senza coperchio per mettere la quantità desiderata dentro contenitori più piccoli). E il carrello scivola per questi corridoi infiniti, dagli scaffali alti fino al soffitto, stipati di qualsiasi cosa tu possa desiderare ed è così claustrofobico. C’è così tanta scelta, come si fa a scegliere? Degli studi dimostrano che più prodotti sono offerti ad un consumatore, meno quel consumatore compra. La scelta è troppa. Gli americani vogliono avere la possibilità di poter trovare esattamente quello che gli interessa, quel prodotto fatto in tal modo, come piace a loro, esattamente come piace a loro, con l’importo calorico che vogliono. C’è un reparto solo per l’olio. Dove ci sono bottigliette piccole e bottiglioni enormi e c’è quello pugliese, toscano, ligure, quello con gli aromi, quello con le olive di derivazione controllata. Ci sono tutti questi carrelli e a volte si scontrano e le persone si chiedono scusa o si insultano. Proseguono arrabbiate o come se nulla fosse. Così concentrate su quello che devono comprare. Velocemente, più velocemente. Che a New York non c’è mai tempo. Che ogni attimo è vissuto perché ti porti all’attimo successivo. Che il consumismo di questi supermercati non è diverso dal consumismo della loro stessa vita. Sempre tutto. Sempre il meglio. Sempre di più. Che non è mai abbastanza.
(Biancalice Sanna)
Grande. Profondo.
E dentro il carrello, c’è il mondo.
Tre tipi diversi di affettati, barattoli di sughi a non finire, latte che ti vendono nei contenitori di plastica che sembrano quelli usati per trasportare la benzina e che sono letteralmente giganteschi. Pane, il pane in cassetta e quello fresco, fatto affettare. Il pane per lo Shabbath ebraico, il pane ai cinque cereali, il pane solo ai cereali, il pane dietetico, il pane aromatizzato, il pane dolce. Ma se il pane non è abbastanza mettiamo in un sacchetto anche qualche beagle. Contenitori di yogurt (non i barattoli piccini, ma quelli che possono durarti per due settimane). Verdura e frutta di grandezze inquietante (si pensi ad arance grosse come dei meloni). Tomatos, potatos, turnips, parsnips, broccoli, avocados. Dolciumi vari. Marmellate, miele, sciroppo d’acero, senape e maionese e ketchup. Pollo arrosto che non può mai mancare. Pollo arrosto organico, plain oppure aromatizzato al BBQ, al rosmarino e aglio, al limone. Ice Cream, ice cream dietetico, gelato (attenzione: tra ice cream e gelato gli americani fanno la differenza), sorbetto. Diversi tipi di cereals, diversi tipi di pasta (Barilla, De Cecco, Maria e altre marche vendute come tipicamente italiane e che io non ho mai visto), prodotti congelati, prodotti cotti da riscaldare, sushi. Olive (dieci tipi diversi che il consumatore provvede a pescare con un cucchiaione dai barattoli di plastica senza coperchio per mettere la quantità desiderata dentro contenitori più piccoli). E il carrello scivola per questi corridoi infiniti, dagli scaffali alti fino al soffitto, stipati di qualsiasi cosa tu possa desiderare ed è così claustrofobico. C’è così tanta scelta, come si fa a scegliere? Degli studi dimostrano che più prodotti sono offerti ad un consumatore, meno quel consumatore compra. La scelta è troppa. Gli americani vogliono avere la possibilità di poter trovare esattamente quello che gli interessa, quel prodotto fatto in tal modo, come piace a loro, esattamente come piace a loro, con l’importo calorico che vogliono. C’è un reparto solo per l’olio. Dove ci sono bottigliette piccole e bottiglioni enormi e c’è quello pugliese, toscano, ligure, quello con gli aromi, quello con le olive di derivazione controllata. Ci sono tutti questi carrelli e a volte si scontrano e le persone si chiedono scusa o si insultano. Proseguono arrabbiate o come se nulla fosse. Così concentrate su quello che devono comprare. Velocemente, più velocemente. Che a New York non c’è mai tempo. Che ogni attimo è vissuto perché ti porti all’attimo successivo. Che il consumismo di questi supermercati non è diverso dal consumismo della loro stessa vita. Sempre tutto. Sempre il meglio. Sempre di più. Che non è mai abbastanza.
(Biancalice Sanna)
Nessun commento:
Posta un commento