“Intanto demoliamo due edifici...”, proclama il presidente del Municipio Bassa Valbisagno, il territorio dell’alluvione. E’ buona cosa di questi tempi demolire un po’ con tutto l’affollamento di palazzi che c’è nella zona alluvione. Gli edifici in questione non sono però lungo il Bisagno, ma all’interno dell’ex Mercato di corso Sardegna, un impianto a valenza storica, vincolato in parte dai Beni culturali e ormai abbandonato al degrado. Era stato previsto un progetto che comprendeva residenze, asilo, ambulatorio Asl, spazi a verde, leggasi aiuole e ottocentocinquanta parcheggi interrati. Di tutto ciò non se n’è fatto nulla per evidenti motivi di sicurezza circa l’utilizzo del sottosuolo con contenzioso al seguito in sospeso: il privato chiede i danni al Comune per il blocco.
“ Perché lasciarlo così”, si è chiesto il parlamentino del territorio: giusto.
“ Perché non ridarlo al quartiere”: ottimo.
C’è un quesito però che il parlamentino non si è posto: per farne che?
Almeno ufficialmente una risposta non è stata data, soltanto un vago “ facciamolo decidere agli abitanti e non a qualche comitato e ad un’associazione”, riferendosi a Legambiente, che si sono fatti avanti proponendo “tutto verde. Non senza ragione perché se chiudi gli occhi e pensi a quel quartiere fai fatica a ritrovare uno spazio verde vivibile.
Si demolirebbe un angolo del retro del quadrilatero storico “...per consentire l’uso temporaneo di una porzione di area occupata da edifici destinati alla demolizione, non tutelati da vincoli”, come recita la relazione tecnica inserita nella Delibera di Giunta comunale del 21/11/ 2013. “Può essere opportuno”, non obbligatorio, recita la delibera, come può essere opportuna “la conseguente pavimentazione in asfalto delle aree sgomberate”. Tutto qui: un uso temporaneo perchè il contenzioso incombe e comunque la demolizione era già compresa nel progetto di cui sopra. Dunque il Comune demolisce i due edifici, la cui demolizione era prevista dai privati, per restituire correttamente questi spazi al territorio salvo il possibile subentro del progetto originario e accendendo nel frattempo un mutuo.
I protestatari pretendono anche un “terreno permeabile”, visto lo stato del quartiere dove l’acqua quando piove corre a razzo e non c’è più nemmeno un metro quadrato che l’assorba. Si conservi invece l'impianto storico, che vedrebbe racchiuso un bel giardino, demolendo caso mai i due edifici centrali e non a lato. Si utilizzi materiale drenante e non solo asfalto, come ancora si sta facendo in questi giorni nei vialetti dei Parchi di Nervi.
Dal Municipio si ribatte che il nuovo spazio sarebbe “un luogo d’incontro”.
Evviva, un po' fumoso però. Fatto come e per cosa?
Se si volesse fare un luogo d’incontro, un parco, uno spazio aperto per ritrovarsi, per recuperar quiete e relazioni sociali a che pro tirare giù degli edifici e poi asfaltare e basta?
Le mamme, i bambini, i nonni, gli anziani, sarebbero grati a quegli amministratori se avessero un luogo dove stare tranquilli, senza il rumore e i gas del traffico, poter leggere il giornale, giocare, chiacchierare senza sentire strombazzare le auto, ma avere nelle orecchie le risate di bambini, guardarli correre in libertà, come facevano loro quando erano piccoli.
A questo serve una piazza, uno spazio aperto/vuoto dove ritrovarsi, per ritornare ad incontrarsi, sentire di far parte di una comunità, in barba alla città che ti smarrisce.
Si demolisce dunque per cinquecentomila euro, per altri duecentomila euro si è già bonificato giustamente e che si fa? Mica per caso un po’ di parcheggi a raso e un angoletto di verde piantumato con qualche giochino per completare il quadro?
Manca una parolina magica nei discorsi degli amministratori: “pedonalizzazione”.
Visto che il Comune dovrà accendere un mutuo meglio forse, è una proposta, riqualificare tutto il complesso, quasi quattromila metri quadrati, anche se costerà certo di più e magari proporre di trasferirvisi a quegli sfortunati negozianti che poco più in là hanno perso tutto con l’alluvione. Potrebbe chissà, divenire una piacevole galleria di botteghe e negozi con in mezzo tantissimo spazio, una piazza-parco per mamme, bimbi e anziani. Insomma un luogo d’incontro e di libertà, un microquartiere nel quartiere per gli abitanti del quartiere e non.
(Bianca Vergati)
“ Perché lasciarlo così”, si è chiesto il parlamentino del territorio: giusto.
“ Perché non ridarlo al quartiere”: ottimo.
C’è un quesito però che il parlamentino non si è posto: per farne che?
Almeno ufficialmente una risposta non è stata data, soltanto un vago “ facciamolo decidere agli abitanti e non a qualche comitato e ad un’associazione”, riferendosi a Legambiente, che si sono fatti avanti proponendo “tutto verde. Non senza ragione perché se chiudi gli occhi e pensi a quel quartiere fai fatica a ritrovare uno spazio verde vivibile.
Si demolirebbe un angolo del retro del quadrilatero storico “...per consentire l’uso temporaneo di una porzione di area occupata da edifici destinati alla demolizione, non tutelati da vincoli”, come recita la relazione tecnica inserita nella Delibera di Giunta comunale del 21/11/ 2013. “Può essere opportuno”, non obbligatorio, recita la delibera, come può essere opportuna “la conseguente pavimentazione in asfalto delle aree sgomberate”. Tutto qui: un uso temporaneo perchè il contenzioso incombe e comunque la demolizione era già compresa nel progetto di cui sopra. Dunque il Comune demolisce i due edifici, la cui demolizione era prevista dai privati, per restituire correttamente questi spazi al territorio salvo il possibile subentro del progetto originario e accendendo nel frattempo un mutuo.
I protestatari pretendono anche un “terreno permeabile”, visto lo stato del quartiere dove l’acqua quando piove corre a razzo e non c’è più nemmeno un metro quadrato che l’assorba. Si conservi invece l'impianto storico, che vedrebbe racchiuso un bel giardino, demolendo caso mai i due edifici centrali e non a lato. Si utilizzi materiale drenante e non solo asfalto, come ancora si sta facendo in questi giorni nei vialetti dei Parchi di Nervi.
Dal Municipio si ribatte che il nuovo spazio sarebbe “un luogo d’incontro”.
Evviva, un po' fumoso però. Fatto come e per cosa?
Se si volesse fare un luogo d’incontro, un parco, uno spazio aperto per ritrovarsi, per recuperar quiete e relazioni sociali a che pro tirare giù degli edifici e poi asfaltare e basta?
Le mamme, i bambini, i nonni, gli anziani, sarebbero grati a quegli amministratori se avessero un luogo dove stare tranquilli, senza il rumore e i gas del traffico, poter leggere il giornale, giocare, chiacchierare senza sentire strombazzare le auto, ma avere nelle orecchie le risate di bambini, guardarli correre in libertà, come facevano loro quando erano piccoli.
A questo serve una piazza, uno spazio aperto/vuoto dove ritrovarsi, per ritornare ad incontrarsi, sentire di far parte di una comunità, in barba alla città che ti smarrisce.
Si demolisce dunque per cinquecentomila euro, per altri duecentomila euro si è già bonificato giustamente e che si fa? Mica per caso un po’ di parcheggi a raso e un angoletto di verde piantumato con qualche giochino per completare il quadro?
Manca una parolina magica nei discorsi degli amministratori: “pedonalizzazione”.
Visto che il Comune dovrà accendere un mutuo meglio forse, è una proposta, riqualificare tutto il complesso, quasi quattromila metri quadrati, anche se costerà certo di più e magari proporre di trasferirvisi a quegli sfortunati negozianti che poco più in là hanno perso tutto con l’alluvione. Potrebbe chissà, divenire una piacevole galleria di botteghe e negozi con in mezzo tantissimo spazio, una piazza-parco per mamme, bimbi e anziani. Insomma un luogo d’incontro e di libertà, un microquartiere nel quartiere per gli abitanti del quartiere e non.
(Bianca Vergati)
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