All’una e mezzo il portone di palazzo Tursi è semichiuso, dentro un nugolo di agenti della polizia municipale spiegano cortesi che “il pass si può già ritirare, ma il consiglio è rinviato di un’ora”, siamo ormai al numero trenta e meno di cento sono i posti a sedere. Intorno capannelli di persone, intravedi visi noti, in primis esponenti di Municipi non coinvolti dai tragici eventi, che solerti!
Si aprono le porte del loggione della sala rossa, il pubblico si distribuisce; da sinistra partono urla, fischi: sono i contestatori che rumoreggiano, alzano un cartello trafugato con il tacito consenso della bionda vigilessa. Inizia il consiglio, qualche graffio, in verità un susseguirsi di carezze contropelo, le persone si guardano interdette, qualcuno cerca d’interrompere ma è subito zittito fragorosamente. Appare chiaro, anzi chiarissimo che la destra del loggione è presidiata dalla “gente Pd”, che si è mescolata anche tra i “facinorosi” e tra gli ignari. Si svela la strategia: occupare più posti a sedere per non far partecipare grillini, leghisti, chissà quali persone qualsiasi venute a protestare o più semplicemente ad assistere al Consiglio comunale. Che prosegue tranquillo, soltanto una voce fuori dal coro, un solo consigliere 5stelle, che chiede le dimissioni del primo cittadino, mentre i suoi colleghi, pur intervenendo con critiche durissime non fanno altrettanto.
Il resto è tutto uno stringersi stretti al sindaco Doria per “solidarietà a chi fa lo stesso mestiere”, come sottolinea il capogruppo nell’unico intervento a firma Pd in un Consiglio che poteva buttar male, preoccupato il Pd non tanto di far fare brutta figura al sindaco, ma delle sue possibili dimissioni, che manderebbero tutti a casa, in primis questo Pd. Una stretta mortifera.
Non si chiede però che cosa si farà per la sicurezza dei genovesi da qui alla fine delle grandi opere, ancorché necessarie, non si chiede conto dell'operato dei dirigenti comunali, brillanti assenti.
L’attacco invece è a testa bassa, furente contro la Regione, con cui non c’è più sintonia, si enuncia senza troppo rammarico.Vengono in mente le stringenti prescrizioni regionali fatte al Puc, che esortavano, fra l’altro, ad una maggiore puntualità delle norme riguardo al dissesto idrogeologico: osservazioni impositive così fastidiose per il Pd. Tragica nemesi l’allerta mancata, le inefficienze dell'ente, probabilmente si attacca la Regione per l’incombente candidatura della Paita di La Spezia, per fortuna del Pd assessore con delega anche alla protezione civile.
Quanti piccioni con una fava, si potrebbe cinicamente dire in questi giorni. In un sol colpo forse il Pd genovese si libera del governatore in scadenza, degli spezzini, compreso il giovane ministro della giustizia e potrà così sciogliere la riserva sulla candidatura alle elezioni regionali dell’attuale segretario Lunardon, comparso in consiglio comunale anche lui nel pubblico della sala rossa insieme allo staff: tutti adesso hanno il cappello renziano, ma i soliti noti sono sempre lì nel rispetto della continuità e non faranno per ora, bontà loro, cadere questa giunta, di cui detengono la maggioranza e, in ostaggio, Marco Doria, il sindaco espiatorio come l'ha definito il Manifesto, con i suoi limiti.
Mentre in Liguria, a Genova, forse non vedremo più sulla cresta dell'onda le incredibili coppie a sinistra, Raffaella Paita, assessore regionale, e consorte Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale, più Sara Armella, presidente Fiera, e consorte Giovanni Lunardon, segretario regionale Pd.
(Bianca Vergati - foto Giovanna Profumo)
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