Il ricordo è tanto antico, che non riesco più nemmeno a ricostruire l’anno. Di certo ero molto, ma molto più giovane, quando ascoltai la previsione di Ilya Prigogine, espressa nel corso di una sua conferenza a Genova: lo scienziato aveva detto che il turismo di massa sarebbe stato uno dei fattori di trasformazione del mondo più determinanti, incontrollabili e distruttivi. Ci ho ripensato qualche giorno fa, quando a ‘Prima Pagina’ il giornalista di turno, Pier Luigi Vercesi Direttore di ‘7’, settimanale del Corriere della Sera, ha citato un articolo di Tommaso Montanari pubblicato il 22 maggio sul Fatto Quotidiano, in cui si diceva che: “San Gimignano ha progressivamente perso i connotati della città per assomigliare sempre più a una quinta cinematografica, a una Disneyland del Medioevo, con tanto di ben tre ‘musei’ della tortura ...” e parla dei paurosi prezzi delle case, della riduzione e omologazione delle professioni possibili, del bassissimo livello di un turismo da mezza giornata. Tutto, dice, è per i turisti, che come se fosse un turno di lavoro, ‘spazzano la città dalle 11 del mattino alle 18 di sera'.
Ma poi non è che la città venga restituita ai suoi abitanti, perché i due terzi di loro ormai sono fuggiti, e quando i turisti se ne vanno ‘la città non c’è più’.
Ho avuto il privilegio di visitare per la prima volta San Gimignano nel 1962; avevo sedici anni e l’emozione provata allora è stata tanto intensa da essere rimasta intatta nella memoria. Poi c’ero tornata in anni recenti, e lo shock era stato terribile: fuga immediata. Quest’anno, a gennaio, di ritorno da un viaggio, mi ci sono fermata una notte. Sulle prime l’illusione di avere ritrovato una magia nelle strade invernali e deserte, poi, molto rapidamente, la presa d’atto che la cittadina era davvero morta, scomparsa, annullata. Non solo era evidente che non ci abita quasi più nessuno, ma anche l’assenza di ogni imperfezione nel selciato delle strade, nelle facciate delle case, in ogni dettaglio urbano denunciava che non si era nella vita ma su un set.
Che Genova resti un po’ disordinata e un po’ sporca, e che i turisti arrivino, va bene, ma non più di tanti. Che non ci portino via l’anima e la vita. (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)
Ma poi non è che la città venga restituita ai suoi abitanti, perché i due terzi di loro ormai sono fuggiti, e quando i turisti se ne vanno ‘la città non c’è più’.
Ho avuto il privilegio di visitare per la prima volta San Gimignano nel 1962; avevo sedici anni e l’emozione provata allora è stata tanto intensa da essere rimasta intatta nella memoria. Poi c’ero tornata in anni recenti, e lo shock era stato terribile: fuga immediata. Quest’anno, a gennaio, di ritorno da un viaggio, mi ci sono fermata una notte. Sulle prime l’illusione di avere ritrovato una magia nelle strade invernali e deserte, poi, molto rapidamente, la presa d’atto che la cittadina era davvero morta, scomparsa, annullata. Non solo era evidente che non ci abita quasi più nessuno, ma anche l’assenza di ogni imperfezione nel selciato delle strade, nelle facciate delle case, in ogni dettaglio urbano denunciava che non si era nella vita ma su un set.
Che Genova resti un po’ disordinata e un po’ sporca, e che i turisti arrivino, va bene, ma non più di tanti. Che non ci portino via l’anima e la vita. (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)
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