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L'azienda israeliana ha uno stabilimento a Maaleh Adumim, un insediamento israeliano ad est di Gerusalemme considerato illegale dalla comunità internazionale, dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, dalla Corte Internazionale di Giustizia e da tutte le istituzioni europee.
Le aziende come SodaStream, che lavorano nei Territori occupati, contribuiscono ad aumentare la povertà e la negazione dei diritti alle comunità palestinesi impedendo lo sviluppo di un'economia palestinese; inoltre sfruttano la manodopera palestinese sottoponendola a condizioni di lavoro discriminatorie.
Il gruppo BDS (Boycott, divestments and sanctions) aveva lanciato un boicottaggio contro l'acquisto dei gasatori Sodastream, In Italia ne hanno preso parte comitati, associazioni e movimenti che avevano firmato la lettera ai rivenditori italiani chiedendo la sospensione della vendita dei prodotti Sodastream. Grazie a tale campagna molti rivenditori hanno ritirato i gasatori dai propri scaffali.
Con la scusa di prodotti eco-chic, in Italia Sodastream coinvolge persone, organizzazioni ed enti locali che hanno a cuore l’ambiente come Legambiente che aveva stipulato un contratto di sponsorizzazione con Sodastream, venuta a conoscenza delle violazioni dei diritti umani, ha rescisso il contratto; oppure WWF, ignaro, coinvolto in un'iniziativa promozionale di Sodastream, ha negato l'uso del proprio logo. Anche il Comune di Trieste ha ritirato un prodotto Sodastream previsto come premio per un concorso sulla raccolta differenziata.
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Peccato
però che i diritti dei palestinesi sono quotidianamente calpestati
da decisioni politiche di oppressione: il diritto alla casa, alla
cittadinanza, al voto, il diritto a manifestare democraticamente le
proprie idee, il diritto ad accedere liberamente alle proprie strade,
il diritto di recarsi al proprio posto di lavoro senza interminabili
controlli ai check point israeliani, il diritto all'acqua potabile ed
agli impianti fognari restano ancora utopia per il popolo
palestinese.
(Maria Di Pietro - foto da internet)
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