Un buco di bilancio che sfiora i 40 milioni di euro, al 2013. Una favola che poteva avere un lieto fine si chiude come quella della Piccola Fiammiferaia. Questo grazie ad un mix di responsabilità micidiale, perché la politica ha male agito e purtroppo anche il sindacato non è stato all'altezza della situazione, ha spiegato Antonello Sotgiu, ex dirigente della Cgil. Al suo fianco Michela Costa, Direttore Generale al Brignole dal 2003 al 2008 e Mario Calbi, che la favola dell’assistenza agli anziani a Genova la conosce sin dal 1970.
Allo Zenzero il 14 gennaio, si è cercato di raccontare la storia dell’Albergo dei Poveri partendo proprio dagli anni Settanta quando nel territorio non c’era assistenza domiciliare e solo il ricovero era la soluzione. Grandi “universi concentrazionari” ha spiegato Calbi, parafrasando Foucault, laddove la famiglia, intesa come nucleo protettivo di cura e assistenza, stava evaporando. Il sogno politico di quegli anni era de-istitutizzare, togliere per creare servizi servizi territoriali, ambulatoriali integrati, piccoli istituti di quartiere, con commissioni di controllo costituite da parenti, ospiti e lavoratori. Un sogno che si stava realizzando con un drastico calo dei ricoveri a favore dell’assistenza domiciliare, quando è cambiata la visione politica. E, ha spigato Sotgiu, si è agito con la logica delle clientele, sia per quanto riguardava i servizi che per la parte relativa all’utilizzo del patrimonio disponibile. Anche i cittadini, invitati a vigilare hanno preferito tacere, per l’ansia di vedere il parente rispedito a casa. Mentre la politica nominava presidenti senza competenze manageriali.
Un gigante, così viene definito il Brignole da Michela Costa, per patrimonio immobiliare, autonomia gestione e quattrocento anni di storia. Un gigante stremato dal disordine amministrativo e dai debiti, in grado però, nel 2003 di ripartire grazie al capitale umano professionale di cui disponeva, se questo cammino fosse stato appoggiato dalle istituzioni.
Un gigante che poteva far confluire su di sé, con un’operazione di unificazione, l’istituto Doria e che avrebbe potuto ripartire dando una risposta agli anziani e ai loro bisogni con un’unica azienda pubblica, a sua volta integrata dai servizi del privato-sociale grazie ad un patto che impegnava Regione, Provincia, Comune, e Asl 3. Un patto che è saltato nello spazio di pochi giorni perché qualcuno ha ritenuto che era assolutamente impossibile, impensabile poter mettere un milione e mezzo di Euro su questa partita. Le stesse dirigenze, gli stessi politici che per errori poi banali hanno pagato botte di quattro milioni e mezzo con qualche conto ancora aperto ha detto Sotgiu.
Però il risparmio del 36% in meno c’era, insieme ad un livello di produttività molto alto e posti letto coperti del 95%. Ci doveva essere un provvedimento che non facesse morire asfissiata l’azienda. Nel 2007 il Brignole poteva offrire servizi pubblici e sopperire a funzioni varie per 150 Euro al giorno a posto letto di riabilitazione. Tutto questo nel pubblico. Non c’è stato verso di trovare questo denaro. Nessuno ha mai risposto. Così l’ipotesi è stata cedere il personale in altri enti pubblici, perdendo know how per assumere nuovo personale con altri contratti. Così Michela Costa ha restituito le chiavi. Ed ha chiarito ai presenti in sala: Quest’azienda non è morta da sola perché si volevano fare i servizi domiciliari, ma si voleva che tutti i servizi pubblici venissero convenzionati a qualcun altro. Ed è esattamente quanto si è conseguito perché oggi questa città che, dal punto di vista demografico, sappiamo come è, non ha più servizi pubblici residenziali per gli anziani.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
Allo Zenzero il 14 gennaio, si è cercato di raccontare la storia dell’Albergo dei Poveri partendo proprio dagli anni Settanta quando nel territorio non c’era assistenza domiciliare e solo il ricovero era la soluzione. Grandi “universi concentrazionari” ha spiegato Calbi, parafrasando Foucault, laddove la famiglia, intesa come nucleo protettivo di cura e assistenza, stava evaporando. Il sogno politico di quegli anni era de-istitutizzare, togliere per creare servizi servizi territoriali, ambulatoriali integrati, piccoli istituti di quartiere, con commissioni di controllo costituite da parenti, ospiti e lavoratori. Un sogno che si stava realizzando con un drastico calo dei ricoveri a favore dell’assistenza domiciliare, quando è cambiata la visione politica. E, ha spigato Sotgiu, si è agito con la logica delle clientele, sia per quanto riguardava i servizi che per la parte relativa all’utilizzo del patrimonio disponibile. Anche i cittadini, invitati a vigilare hanno preferito tacere, per l’ansia di vedere il parente rispedito a casa. Mentre la politica nominava presidenti senza competenze manageriali.
Un gigante, così viene definito il Brignole da Michela Costa, per patrimonio immobiliare, autonomia gestione e quattrocento anni di storia. Un gigante stremato dal disordine amministrativo e dai debiti, in grado però, nel 2003 di ripartire grazie al capitale umano professionale di cui disponeva, se questo cammino fosse stato appoggiato dalle istituzioni.
Un gigante che poteva far confluire su di sé, con un’operazione di unificazione, l’istituto Doria e che avrebbe potuto ripartire dando una risposta agli anziani e ai loro bisogni con un’unica azienda pubblica, a sua volta integrata dai servizi del privato-sociale grazie ad un patto che impegnava Regione, Provincia, Comune, e Asl 3. Un patto che è saltato nello spazio di pochi giorni perché qualcuno ha ritenuto che era assolutamente impossibile, impensabile poter mettere un milione e mezzo di Euro su questa partita. Le stesse dirigenze, gli stessi politici che per errori poi banali hanno pagato botte di quattro milioni e mezzo con qualche conto ancora aperto ha detto Sotgiu.
Però il risparmio del 36% in meno c’era, insieme ad un livello di produttività molto alto e posti letto coperti del 95%. Ci doveva essere un provvedimento che non facesse morire asfissiata l’azienda. Nel 2007 il Brignole poteva offrire servizi pubblici e sopperire a funzioni varie per 150 Euro al giorno a posto letto di riabilitazione. Tutto questo nel pubblico. Non c’è stato verso di trovare questo denaro. Nessuno ha mai risposto. Così l’ipotesi è stata cedere il personale in altri enti pubblici, perdendo know how per assumere nuovo personale con altri contratti. Così Michela Costa ha restituito le chiavi. Ed ha chiarito ai presenti in sala: Quest’azienda non è morta da sola perché si volevano fare i servizi domiciliari, ma si voleva che tutti i servizi pubblici venissero convenzionati a qualcun altro. Ed è esattamente quanto si è conseguito perché oggi questa città che, dal punto di vista demografico, sappiamo come è, non ha più servizi pubblici residenziali per gli anziani.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
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