Mercoledì 22 gennaio, ecco presentarsi alle audizioni di cittadini e associazioni in commissione comunale, circa il recepimento nel Puc delle osservazioni regionali di Valutazione Ambientale, il Comitato di Terralba.
Di nuovo? il suo rappresentante ha ormai calcato tutte le platee possibili, presenziando ai convegni, nei municipi, in comune, ai tavoli di discussione, dal piano urbanistico al dissesto idrogeologico, ovunque,occupando tempo e spazio, anche quando la questione c’entrava di striscio. Indubbiamente utile per Terralba, che sarà impressa nella memoria dei partecipanti, pure presso gli stralunati cittadini comuni, che avrebbero voluto sentire qualcos'altro, come in quest'occasione e non una mezz'ora di Terralba con claque al seguito.
Chissà, magari avere una visione un po’ più ampia, sapere quale sarà il futuro dell’abitato e del paesaggio, patrimonio di tutti e non soltanto il destino delle aree ferroviarie di Terralba, su cui erano previsti edificazioni in cambio di una messa a punto di linee metropolitane di superficie: proposta delle Ferrovie dal sapore ricattatorio s’intende.
Così all’ennesima riunione, grazie a chi si guarda soprattutto il suo ombelico, si sono avute “comode” risposte frettolose e poco articolate su tematiche più generali, che invece interessano tutti i cittadini. Come la proposta di “moratoria sul consumo di suolo” chiesta per la Liguria da Salvatore Settis sul Secolo XIX ( 22.1.14) e portata avanti dalla rete delle associazioni della “Città che vogliamo”, infatti a Genova ci sono quindicimila vani vuoti e dunque che senso ha costruire ancora? Però apparirebbe da “esproprio oltrecortina” la proposta presentata dalle associazioni di un “allontanamento delle popolazioni” da edifici o zone più o meno a rischio, via la Valbisagno o via la Foce.
Inquieta la preoccupazione degli uffici circa l’abbandono delle aree in collina se non si permette l’edificabilità anche a chi non fa agricoltura, come invece chiedono i giovani agricoltori, che lamentano una probabile impennata dei prezzi sui terreni agricoli se diverranno edificabili. E altrettanto dicasi per la richiesta della Coldiretti di tenersi stretti, ovviamente per trasferire o vendere, i diritti edificatori.
Non si sono ancora avute risposte puntuali per le aree a rischio idrogeologico, che ora sono rosse e poi potrebbero non esserlo più, dopo la costruzione dello scolmatore, e nemmeno è chiaro se si costruiranno altri megaparcheggi come quelli a monte nel levante: non è un caso che il terreno dei parchi di Nervi con i suoi alberi centenari che vengono giù, sia intriso d’acqua anche quando non è piovuto. Non sono un caso neppure le casette a picco sul mare sempre nel levante cittadino, quelle che stanno franando a Nervi, frutto di un condono dell’anno di grazia 1986.
Nessun chiarimento neppure sulle “porzioni” di verde che spettano a ciascun abitante, non soltanto l’aiuola-giardinetto o la porzione di mare libero, o al diritto di ciascuno a non vivere con troppi decibel e traffico inquinante con nuovi insediamenti. Invece di costruire le associazioni propongono una “rigenerazione urbana”, come il rinnovare anche dal punto di vista energetico per risparmiare magari sul riscaldamento, e sarebbe anche lavoro per le imprese edili, è vero, ma di questi tempi e con una popolazione anziana chi andrà a dire a migliaia di cittadini che dovrebbero ristrutturare le loro pareti o le loro finestre?
Tutto rinviato alla discussione nello specifico del solo Puc.
Da sottolineare previsioni demografiche ottimistiche degli uffici su eventuali futuri abitanti, previsioni che si rifanno ad un auspicio di città, più che a delle certezze. Si spera che verranno city users per l’università, per l’high tech, per il turismo, per altro lavoro e lo speriamo davvero per Genova, per i nostri giovani, non possiamo respingere queste speranze, ma la realtà di oggi ed il futuro che s’intravede dicono altro.
Prospettive occupazionali che mettono i brividi.
Grazie alla crisi che, per la nostra città, ha radici lontane, grazie allo spirito d’iniziativa dei nostri arditi imprenditori, che hanno investito sì nel territorio, ma al massimo nel mattone, grazie alla preminente politica industriale pseudo-pubblica, che ci ha travolto quando non ha più funzionato. A Genova sarà durissima vedere la mitica luce in fondo al tunnel, ma ancora luccicano i soliti noti, armatori, petrolieri, ministri, parlamentari, amministratori di aziende e istituzioni.
(Bianca Vergati)
Chissà, magari avere una visione un po’ più ampia, sapere quale sarà il futuro dell’abitato e del paesaggio, patrimonio di tutti e non soltanto il destino delle aree ferroviarie di Terralba, su cui erano previsti edificazioni in cambio di una messa a punto di linee metropolitane di superficie: proposta delle Ferrovie dal sapore ricattatorio s’intende.
Così all’ennesima riunione, grazie a chi si guarda soprattutto il suo ombelico, si sono avute “comode” risposte frettolose e poco articolate su tematiche più generali, che invece interessano tutti i cittadini. Come la proposta di “moratoria sul consumo di suolo” chiesta per la Liguria da Salvatore Settis sul Secolo XIX ( 22.1.14) e portata avanti dalla rete delle associazioni della “Città che vogliamo”, infatti a Genova ci sono quindicimila vani vuoti e dunque che senso ha costruire ancora? Però apparirebbe da “esproprio oltrecortina” la proposta presentata dalle associazioni di un “allontanamento delle popolazioni” da edifici o zone più o meno a rischio, via la Valbisagno o via la Foce.
Inquieta la preoccupazione degli uffici circa l’abbandono delle aree in collina se non si permette l’edificabilità anche a chi non fa agricoltura, come invece chiedono i giovani agricoltori, che lamentano una probabile impennata dei prezzi sui terreni agricoli se diverranno edificabili. E altrettanto dicasi per la richiesta della Coldiretti di tenersi stretti, ovviamente per trasferire o vendere, i diritti edificatori.
Non si sono ancora avute risposte puntuali per le aree a rischio idrogeologico, che ora sono rosse e poi potrebbero non esserlo più, dopo la costruzione dello scolmatore, e nemmeno è chiaro se si costruiranno altri megaparcheggi come quelli a monte nel levante: non è un caso che il terreno dei parchi di Nervi con i suoi alberi centenari che vengono giù, sia intriso d’acqua anche quando non è piovuto. Non sono un caso neppure le casette a picco sul mare sempre nel levante cittadino, quelle che stanno franando a Nervi, frutto di un condono dell’anno di grazia 1986.
Nessun chiarimento neppure sulle “porzioni” di verde che spettano a ciascun abitante, non soltanto l’aiuola-giardinetto o la porzione di mare libero, o al diritto di ciascuno a non vivere con troppi decibel e traffico inquinante con nuovi insediamenti. Invece di costruire le associazioni propongono una “rigenerazione urbana”, come il rinnovare anche dal punto di vista energetico per risparmiare magari sul riscaldamento, e sarebbe anche lavoro per le imprese edili, è vero, ma di questi tempi e con una popolazione anziana chi andrà a dire a migliaia di cittadini che dovrebbero ristrutturare le loro pareti o le loro finestre?
Tutto rinviato alla discussione nello specifico del solo Puc.
Da sottolineare previsioni demografiche ottimistiche degli uffici su eventuali futuri abitanti, previsioni che si rifanno ad un auspicio di città, più che a delle certezze. Si spera che verranno city users per l’università, per l’high tech, per il turismo, per altro lavoro e lo speriamo davvero per Genova, per i nostri giovani, non possiamo respingere queste speranze, ma la realtà di oggi ed il futuro che s’intravede dicono altro.
Prospettive occupazionali che mettono i brividi.
Grazie alla crisi che, per la nostra città, ha radici lontane, grazie allo spirito d’iniziativa dei nostri arditi imprenditori, che hanno investito sì nel territorio, ma al massimo nel mattone, grazie alla preminente politica industriale pseudo-pubblica, che ci ha travolto quando non ha più funzionato. A Genova sarà durissima vedere la mitica luce in fondo al tunnel, ma ancora luccicano i soliti noti, armatori, petrolieri, ministri, parlamentari, amministratori di aziende e istituzioni.
(Bianca Vergati)
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