Sono sul volo Tel Aviv – Roma, è fine estate, guardo dal finestrino, ormai la Palestina è alle mie spalle. Ripenso all'intenso viaggio appena terminato: ripercorro paesaggi, il deserto, i villaggi, gli insediamenti, campi profughi, check points, ricordo i volti, le testimonianze e il muro! Un muro che incute disagio e desolazione. Il muro di separazione formato da blocchi di cemento alti sette metri allineati su un percorso di 730km che dal 2002 impediscono la libertà di movimento di un'intera popolazione.
Stiamo ormai volando sul mar mediterraneo, vicino a me siedono due ragazzi di sedici anni, chiacchieriamo, mi chiedono di raccontare un po' di storia sulla Palestina.
Inizio con il 1947 quando la risoluzione dell'Onu 181 decide la spartizione del territorio palestinese tra due popoli: Israele per il 55% del territorio e la Palestina per il 45%.
Parlo della Nakba del 1948: la catastrofe per i palestinesi e la nascita dello Stato d'Israele per gli israeliani. La signora seduta nella fila davanti a noi, una bella donna sulla sessantina, si gira ed inizia ad urlarmi che quello che sto dicendo non è vero sostenendo che i palestinesi rubarono le case degli israeliani mandando via chi vi abitava. Le chiedo dove ha preso queste informazioni, a me non risultano. Dice che ha lavorato per i servizi segreti israeliani, a stretto contatto con le istituzioni sia israeliane che palestinesi, e che lei conosce la vera storia. La signora, un'ebrea nata e vissuta fino all'adolescenza in Romania, si vanta di sapere sette lingue e di aver girato il mondo in gioventù. Andiamo avanti con la discussione, afferma che i palestinesi siano dei violenti e che lei e tanti come lei lottino per la pace. Allora le chiedo cosa pensa del muro. Penso che chiunque “lotti per la pace” inorridisca davanti a ciò che taglia villaggi, divide famiglie, separa intere comunità da luoghi sanitari, scolastici e di culto, La signora mi risponde che ritiene il muro fondamentale per la difesa del popolo israeliano, continua dicendo che il lancio di pietre possono ammazzare gli israeliani. Le ricordo che durante operazione piombo fuso i militari israeliani sulla Striscia di Gaza non hanno lanciato pietre ma fosforo bianco sui civili, ammazzando 1387 palestinesi in 22 giorni. Armi chimiche non autorizzate dalla convenzione di Ginevra. La discussione si fa più accesa.
Le esprimo l'assurdità nell'adottare una “democrazia” difensiva per giustificare l'occupazione dei territori.
La signora non vuole più ascoltarmi, ormai ascolta solo se stessa, la discussione va avanti, mi viene rabbia. Ognuno di noi rimane sulle sue posizioni, La signora continua il suo monologo affermando che nelle scuole palestinesi c'è un indottrinamento alla violenza. Non accetto le convinzioni della signora e sicuramente lei non accetta le mie; penso ai ragazzi israeliani che sono costretti a prestare tre anni di servizio militare, penso al libro della scrittrice israeliana Nurit Peled “La Palestina nei testi scolastici israeliani: ideologia e propaganda nell'istruzione” che analizza le rappresentazioni della Palestina nei libri scolastici adottati dalle scuole superiori israeliane, in cui si trovano forme di razzismo verso il popolo palestinese; i palestinesi non sono mai rappresentati come esseri umani ma come problema. Provo ad esprimere questi miei pensieri anche se ormai tra me e lei si è alzato un muro, non c'è più confronto, il dialogo è naufragato.
Stiamo per atterrare, sono demoralizzata, mi domando come si può giustificare tanta disumanità e sofferenza dell'essere umano. Penso alle organizzazioni israeliane che lottano contro l'occupazione, alle donne ebree di “Machsom watch”, agli ex militari israeliani di “Breaking the silence”, alla Rete ECO “Ebrei contro l'occupazione”, agli attivisti israeliani che collaborano con i Comitati Popolari palestinesi.
Penso a cosa vuol dire lottare per la pace e subito mi vengono in mente le parole di un padre palestinese che aveva perso la figlia di dieci anni ammazzata da un militare israeliano: “prima di fare pace devi vivere la pace dentro di te”.
(Maria Di Pietro)
Stiamo ormai volando sul mar mediterraneo, vicino a me siedono due ragazzi di sedici anni, chiacchieriamo, mi chiedono di raccontare un po' di storia sulla Palestina.
Inizio con il 1947 quando la risoluzione dell'Onu 181 decide la spartizione del territorio palestinese tra due popoli: Israele per il 55% del territorio e la Palestina per il 45%.
Parlo della Nakba del 1948: la catastrofe per i palestinesi e la nascita dello Stato d'Israele per gli israeliani. La signora seduta nella fila davanti a noi, una bella donna sulla sessantina, si gira ed inizia ad urlarmi che quello che sto dicendo non è vero sostenendo che i palestinesi rubarono le case degli israeliani mandando via chi vi abitava. Le chiedo dove ha preso queste informazioni, a me non risultano. Dice che ha lavorato per i servizi segreti israeliani, a stretto contatto con le istituzioni sia israeliane che palestinesi, e che lei conosce la vera storia. La signora, un'ebrea nata e vissuta fino all'adolescenza in Romania, si vanta di sapere sette lingue e di aver girato il mondo in gioventù. Andiamo avanti con la discussione, afferma che i palestinesi siano dei violenti e che lei e tanti come lei lottino per la pace. Allora le chiedo cosa pensa del muro. Penso che chiunque “lotti per la pace” inorridisca davanti a ciò che taglia villaggi, divide famiglie, separa intere comunità da luoghi sanitari, scolastici e di culto, La signora mi risponde che ritiene il muro fondamentale per la difesa del popolo israeliano, continua dicendo che il lancio di pietre possono ammazzare gli israeliani. Le ricordo che durante operazione piombo fuso i militari israeliani sulla Striscia di Gaza non hanno lanciato pietre ma fosforo bianco sui civili, ammazzando 1387 palestinesi in 22 giorni. Armi chimiche non autorizzate dalla convenzione di Ginevra. La discussione si fa più accesa.
Le esprimo l'assurdità nell'adottare una “democrazia” difensiva per giustificare l'occupazione dei territori.
La signora non vuole più ascoltarmi, ormai ascolta solo se stessa, la discussione va avanti, mi viene rabbia. Ognuno di noi rimane sulle sue posizioni, La signora continua il suo monologo affermando che nelle scuole palestinesi c'è un indottrinamento alla violenza. Non accetto le convinzioni della signora e sicuramente lei non accetta le mie; penso ai ragazzi israeliani che sono costretti a prestare tre anni di servizio militare, penso al libro della scrittrice israeliana Nurit Peled “La Palestina nei testi scolastici israeliani: ideologia e propaganda nell'istruzione” che analizza le rappresentazioni della Palestina nei libri scolastici adottati dalle scuole superiori israeliane, in cui si trovano forme di razzismo verso il popolo palestinese; i palestinesi non sono mai rappresentati come esseri umani ma come problema. Provo ad esprimere questi miei pensieri anche se ormai tra me e lei si è alzato un muro, non c'è più confronto, il dialogo è naufragato.
Stiamo per atterrare, sono demoralizzata, mi domando come si può giustificare tanta disumanità e sofferenza dell'essere umano. Penso alle organizzazioni israeliane che lottano contro l'occupazione, alle donne ebree di “Machsom watch”, agli ex militari israeliani di “Breaking the silence”, alla Rete ECO “Ebrei contro l'occupazione”, agli attivisti israeliani che collaborano con i Comitati Popolari palestinesi.
Penso a cosa vuol dire lottare per la pace e subito mi vengono in mente le parole di un padre palestinese che aveva perso la figlia di dieci anni ammazzata da un militare israeliano: “prima di fare pace devi vivere la pace dentro di te”.
(Maria Di Pietro)
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