Demi 2 maggio, giovedì.
La sabbia è ancora bagnata quando indirizzo i miei piedi verso l'Oceano, ma prima passo da Aidà per un saluto. Sulla spiaggia una riga di ragazzini sfila sulla passerella del bagnasciuga con in mano pezzi di polistirolo, di reti e pesci fatti come quelli della lettera P nell’alfabeto dei bambini.
Torno a casa. L'acqua che abbiamo ci deve bastare finché non torna Dù ad azionare la pompa elettrica. Mi guardo allo specchio e mi sembra di somigliare a quell’arabo avvolto in una tunica blù, seduto sopra al bancone di una boutique ombrosa piena di pacchettini e stoffe colorate. Non ha voluto lo fotografassi, ‘sono vecchio’, mi ha detto sorridendo e guardandomi col suo sguardo intenso. Anche io a volte uso l'età per proteggermi.
Sotto lo sguardo di Hallah i parà francesi si esercitano su aerei militari provenienti da Dakar. Vestita di karitè aspetto che l’azzurro del cielo me lo trasformi in olio per massaggi. Ho un appuntamento con Aidà, alle cinque. Mi porterà a vedere les jardins (gli orti) del deserto. Mi lavo con l'acqua del pozzo e vado. Indosso l'abito afro comprato al Suq di Genova. Abita nell’ultima casa del villaggio verso il mare ed è la responsabile della Maison de Santé. Chiacchieriamo in francese. Il figlio più piccolo soffre d’infiammazione alla vescica. Gli amuleti di protezione legati con un cordoncino di cuoio alla vita e al collo sono lenti ad agire e la schiena di Aidà è spesso bagnata. E’ esperta nella medicina tradizionale ed usa, in genere, piante locali. Mi fa vedere l'albero antibiotico, la pianta per far venire le mestruazioni, quella per abortire. Il come usarla è un segreto di poche. E’ pericolosa anche se molto richiesta.
Mi conduce dai genitori. Suo padre maestro di Corano sta insegnando a un ragazzo la scrittura araba. La madre lavora il miglio fino alla consistenza della sabbia: c'è lì anche una giovane venditrice di liscivia, prodotta da lei. Ogni sacchettino peserà un etto. Gli orti sono in una località fuori dal villaggio con tanti pozzi scavati nella sabbia. Ogni famiglia ne ha uno dato in dotazione dal governo. Il marito, con i soldi guadagnati lavorando per cinque anni nel porto di Hong Kong ha comperato altri terreni. Ora vendono i loro prodotti a Dakar o nei mercati vicini. I cavoli saranno pronti fra venti giorni. La terra è cosparsa di conchiglie, pare sia un buon concime. Strappiamo erbe infestanti mentre Mohamed, il secondo figlio, si diverte a pisciare o sputare nei pozzi. Ha otto anni, ride, sa che non dovrebbe farlo. Arriva il marito, mi riconosce per quella che si era persa. E’ stato lui ad indicarmi la direzione di casa. Ha un fratello a Napoli e mi chiede se conosco Mario Balotelli. Pensa che la capitale d’Italia sia Milano. No, chiarisco, Milano ha due aeroporti, ma la capitale è Roma anche se ne ha uno solo. “Quanti aeroporti ci sono in Italia?”, mi chiede, “Non saprei quanti, tanti”, “Qui l'aeroporto è solo a Dakar,” dice.
Torno a casa con Aidà, i bambini e il cappello pieno di peperoni. Incontriamo montagne di conchiglie, capre d’appetito che mangiano anche carta, donne con abiti sgargianti e secchi ricolmi in testa, altre che cucinano couscous di miglio dentro a capanne scure piene di bambini. Oltre la strada mi indica un villaggio abitato da gente di un’etnia diversa che comunica poco con loro.
Dù ha preparato riso e gamberi. In una scatola di polistirolo con ghiaccio ci sono un mucchio di pesci. C'è anche una bottiglia di olio extravergine d'oliva comprato a Genova da Teresita in Vico delle Vigne. Ci rimprovera di non aver messo in valigia anche il pesto. Il solo pensiero gli mette appetito. Sa che con Mariella faremo un giro per conoscere altro del Senegal?
Hanno portato sei caprette, due ancora da latte. Dù, cosa se ne fa? Dice che è cresciuto con le capre e gli fa piacere averle vicine. Sfoglio il giornale che ha portato: L’Observateur. “M.le President, les femmes ne son pas contentes” scrive Odile Ndoumbe, presidente del consiglio senegalese per la parità femminile” “C'est la plus malheureuse Fête du Travail” dice Baklaw Dioungue, segretario nazionale dei lavoratori del Senegal.
Metto il giornale in valigia e vado a dormire con i belati nelle orecchie.
(Giulia Richebuono)
La sabbia è ancora bagnata quando indirizzo i miei piedi verso l'Oceano, ma prima passo da Aidà per un saluto. Sulla spiaggia una riga di ragazzini sfila sulla passerella del bagnasciuga con in mano pezzi di polistirolo, di reti e pesci fatti come quelli della lettera P nell’alfabeto dei bambini.
Torno a casa. L'acqua che abbiamo ci deve bastare finché non torna Dù ad azionare la pompa elettrica. Mi guardo allo specchio e mi sembra di somigliare a quell’arabo avvolto in una tunica blù, seduto sopra al bancone di una boutique ombrosa piena di pacchettini e stoffe colorate. Non ha voluto lo fotografassi, ‘sono vecchio’, mi ha detto sorridendo e guardandomi col suo sguardo intenso. Anche io a volte uso l'età per proteggermi.
Sotto lo sguardo di Hallah i parà francesi si esercitano su aerei militari provenienti da Dakar. Vestita di karitè aspetto che l’azzurro del cielo me lo trasformi in olio per massaggi. Ho un appuntamento con Aidà, alle cinque. Mi porterà a vedere les jardins (gli orti) del deserto. Mi lavo con l'acqua del pozzo e vado. Indosso l'abito afro comprato al Suq di Genova. Abita nell’ultima casa del villaggio verso il mare ed è la responsabile della Maison de Santé. Chiacchieriamo in francese. Il figlio più piccolo soffre d’infiammazione alla vescica. Gli amuleti di protezione legati con un cordoncino di cuoio alla vita e al collo sono lenti ad agire e la schiena di Aidà è spesso bagnata. E’ esperta nella medicina tradizionale ed usa, in genere, piante locali. Mi fa vedere l'albero antibiotico, la pianta per far venire le mestruazioni, quella per abortire. Il come usarla è un segreto di poche. E’ pericolosa anche se molto richiesta.
Mi conduce dai genitori. Suo padre maestro di Corano sta insegnando a un ragazzo la scrittura araba. La madre lavora il miglio fino alla consistenza della sabbia: c'è lì anche una giovane venditrice di liscivia, prodotta da lei. Ogni sacchettino peserà un etto. Gli orti sono in una località fuori dal villaggio con tanti pozzi scavati nella sabbia. Ogni famiglia ne ha uno dato in dotazione dal governo. Il marito, con i soldi guadagnati lavorando per cinque anni nel porto di Hong Kong ha comperato altri terreni. Ora vendono i loro prodotti a Dakar o nei mercati vicini. I cavoli saranno pronti fra venti giorni. La terra è cosparsa di conchiglie, pare sia un buon concime. Strappiamo erbe infestanti mentre Mohamed, il secondo figlio, si diverte a pisciare o sputare nei pozzi. Ha otto anni, ride, sa che non dovrebbe farlo. Arriva il marito, mi riconosce per quella che si era persa. E’ stato lui ad indicarmi la direzione di casa. Ha un fratello a Napoli e mi chiede se conosco Mario Balotelli. Pensa che la capitale d’Italia sia Milano. No, chiarisco, Milano ha due aeroporti, ma la capitale è Roma anche se ne ha uno solo. “Quanti aeroporti ci sono in Italia?”, mi chiede, “Non saprei quanti, tanti”, “Qui l'aeroporto è solo a Dakar,” dice.
Torno a casa con Aidà, i bambini e il cappello pieno di peperoni. Incontriamo montagne di conchiglie, capre d’appetito che mangiano anche carta, donne con abiti sgargianti e secchi ricolmi in testa, altre che cucinano couscous di miglio dentro a capanne scure piene di bambini. Oltre la strada mi indica un villaggio abitato da gente di un’etnia diversa che comunica poco con loro.
Dù ha preparato riso e gamberi. In una scatola di polistirolo con ghiaccio ci sono un mucchio di pesci. C'è anche una bottiglia di olio extravergine d'oliva comprato a Genova da Teresita in Vico delle Vigne. Ci rimprovera di non aver messo in valigia anche il pesto. Il solo pensiero gli mette appetito. Sa che con Mariella faremo un giro per conoscere altro del Senegal?
Hanno portato sei caprette, due ancora da latte. Dù, cosa se ne fa? Dice che è cresciuto con le capre e gli fa piacere averle vicine. Sfoglio il giornale che ha portato: L’Observateur. “M.le President, les femmes ne son pas contentes” scrive Odile Ndoumbe, presidente del consiglio senegalese per la parità femminile” “C'est la plus malheureuse Fête du Travail” dice Baklaw Dioungue, segretario nazionale dei lavoratori del Senegal.
Metto il giornale in valigia e vado a dormire con i belati nelle orecchie.
(Giulia Richebuono)
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