“Ilva. L’assemblea in fabbrica è stata tesa, per poco non si usciva in strada, aspettiamo mercoledì”, Rocco Genco, Fim, al Corriere Mercantile di Genova 2 giugno.
Nel merito, impressioni dissonanti: a molti è parso che l’assemblea - indetta da Fim e Uilm il 31 maggio, durata poco meno di un’ora - fosse di carattere informativo con reazioni di pacata, affranta consapevolezza. Della serie: aggiornamento bollettino di guerra, alla voce perdite.
Infatti il sindacalista ha toccato nervi storicamente scoperti dello stabilimento genovese a favore di un’analisi locale della partita ILVA, comunque nota a tutti i dipendenti del sito di Cornigliano (1742 di cui 1145 lavoratori in Contratto di Solidarietà)
Fim e Uilm hanno incontrato Enrico Martino, capo del personale dell’azienda, nel momento più difficile – quando di fatto era acefala, dal 25 maggio al 4 giugno - per “incalzarla” e capire “se la crisi di lavoro che abbiamo è dovuta ad un mercato che non siamo in grado di aggredire oppure all’approvvigionamento tarantino…”. Non si vorrebbe che l’azienda “penalizzasse Genova e favorisse altri siti…”
E’ stato confermato in assemblea che la crisi siderurgica genovese poco ha a che fare con le vicende dell’Ilva di Taranto. Deriva invece da scelte strategiche della famiglia Riva che sulla banda – stagnata s’intende - ha deciso di non investire affatto.
Un mercato quello di latta, grette e tappi a corona che in Italia vede come unico produttore proprio lo stabilimento di Genova e che ad oggi colloca circa 400 addetti. La scelta di rinunciare a questo settore strategico si è concretizzata negli anni, investendo solo “nella monocultura dello zincato”, in crisi anche quella.
Assemblee a parte, è noto da tempo che Riva ha rinunciato a un mercato nazionale di 700 – 800.000 tonnellate di banda, costringendo il potenziali clienti a rivolgersi a fornitori europei. Nel paese delle conserve alimentari siamo al miracolo della strategia industriale.
Nel 2012 Cornigliano ha prodotto, con impianti vecchi, poco meno di 100.000 tonnellate di stagnato a fronte di una capacità produttiva di 300.000.
La ragione? La svolta sull’Accordo di Programma con la rinuncia al nuovo impianto di stagnatura elettrolitica che aveva un obiettivo produttivo 710.000 tonnellate di latta.
Tra commissariamenti, bonifiche, magistrati, ministri, a Genova nei sindacati si è tornati a discutere dei prodotti, con la scoperta recente che del milione e settecentomila tonnellate di materiale sequestrate a novembre dalla magistratura e poi dissequestrate nello stabilimento di Taranto solo “quattromila” erano destinate ad essere lavorate a Genova. E' possibile?
Quindi di cosa stiamo parlando?
Il mantra rimane il solito: vocazione industriale, occasioni perse, tecnologia, investimenti, lavoro, salario, occupazione, ammortizzatori sociali. E forse, proprio da oggi, con Enrico Bondi commissario e la firma del nuovo decreto siamo davanti ad uno scenario nuovo: la speranza di una vera bonifica a Taranto, accompagnata da uno sguardo d’insieme che consideri Ilva una filiera, e che non metta in competizione gli stabilimenti del gruppo l’uno contro l’altro.
Che Bondi la mandi buona, a Genova per la produzione di banda, oggi, non rimangono che i Blues Brothers.
(Giovanna Profumo)
Nel merito, impressioni dissonanti: a molti è parso che l’assemblea - indetta da Fim e Uilm il 31 maggio, durata poco meno di un’ora - fosse di carattere informativo con reazioni di pacata, affranta consapevolezza. Della serie: aggiornamento bollettino di guerra, alla voce perdite.
Infatti il sindacalista ha toccato nervi storicamente scoperti dello stabilimento genovese a favore di un’analisi locale della partita ILVA, comunque nota a tutti i dipendenti del sito di Cornigliano (1742 di cui 1145 lavoratori in Contratto di Solidarietà)
Fim e Uilm hanno incontrato Enrico Martino, capo del personale dell’azienda, nel momento più difficile – quando di fatto era acefala, dal 25 maggio al 4 giugno - per “incalzarla” e capire “se la crisi di lavoro che abbiamo è dovuta ad un mercato che non siamo in grado di aggredire oppure all’approvvigionamento tarantino…”. Non si vorrebbe che l’azienda “penalizzasse Genova e favorisse altri siti…”
E’ stato confermato in assemblea che la crisi siderurgica genovese poco ha a che fare con le vicende dell’Ilva di Taranto. Deriva invece da scelte strategiche della famiglia Riva che sulla banda – stagnata s’intende - ha deciso di non investire affatto.
Un mercato quello di latta, grette e tappi a corona che in Italia vede come unico produttore proprio lo stabilimento di Genova e che ad oggi colloca circa 400 addetti. La scelta di rinunciare a questo settore strategico si è concretizzata negli anni, investendo solo “nella monocultura dello zincato”, in crisi anche quella.
Assemblee a parte, è noto da tempo che Riva ha rinunciato a un mercato nazionale di 700 – 800.000 tonnellate di banda, costringendo il potenziali clienti a rivolgersi a fornitori europei. Nel paese delle conserve alimentari siamo al miracolo della strategia industriale.
Nel 2012 Cornigliano ha prodotto, con impianti vecchi, poco meno di 100.000 tonnellate di stagnato a fronte di una capacità produttiva di 300.000.
La ragione? La svolta sull’Accordo di Programma con la rinuncia al nuovo impianto di stagnatura elettrolitica che aveva un obiettivo produttivo 710.000 tonnellate di latta.
Tra commissariamenti, bonifiche, magistrati, ministri, a Genova nei sindacati si è tornati a discutere dei prodotti, con la scoperta recente che del milione e settecentomila tonnellate di materiale sequestrate a novembre dalla magistratura e poi dissequestrate nello stabilimento di Taranto solo “quattromila” erano destinate ad essere lavorate a Genova. E' possibile?
Quindi di cosa stiamo parlando?
Il mantra rimane il solito: vocazione industriale, occasioni perse, tecnologia, investimenti, lavoro, salario, occupazione, ammortizzatori sociali. E forse, proprio da oggi, con Enrico Bondi commissario e la firma del nuovo decreto siamo davanti ad uno scenario nuovo: la speranza di una vera bonifica a Taranto, accompagnata da uno sguardo d’insieme che consideri Ilva una filiera, e che non metta in competizione gli stabilimenti del gruppo l’uno contro l’altro.
Che Bondi la mandi buona, a Genova per la produzione di banda, oggi, non rimangono che i Blues Brothers.
(Giovanna Profumo)
Nessun commento:
Posta un commento