Ikaria. A mattina inoltrata i tavolini del piccolo caffè sono ancora vuoti. Parliamo con un giovane amico che vive di musica e del poco che gli dà, una volta pagato l’affitto, un esercizio commerciale, emporio di generi di prima necessità di un villaggio abbastanza isolato, e insieme caffè e punto di ritrovo dei pochi abitanti, e dei turisti di passaggio, d'estate.
L'argomento è la crisi, tema su cui si cade immediatamente quando si parla con le persone di qui, e sfondo sonoro continuo, se per caso c'è un apparecchio televisivo acceso.
Cerchiamo di sostenere con lui le ragioni del rimanere in Europa, ma l'unico altro avventore, un anziano signore seduto vicino a noi, interviene quietamente dicendo: “Avevo una pensione di 1300 euro, ora me ne danno 900. Ecco cosa mi è restato dopo 45 anni di lavoro”.
Pochi giorni dopo, un’amica ateniese ci informerà che sono in arrivo altri tagli, che si sommeranno ai precedenti e colpiranno anche le pensioni minime, qui di 450 euro mensili, a cui verranno tolti 25 euro, e poi a crescere.
A queste condizioni non c'è spazio per discutere. Ogni speranza, ogni ipotesi è stata tagliata. Notizie come un lieve miglioramento del rating, o promesse di ripresa nel 2015 non vengono nemmeno commentate.
Ci dicono: aspettano di comprarci, che ci vendiamo tutto, per disperazione.
Conosciamo qui un anziano signore, è stato professore di letteratura francese al liceo e all’università di Atene. Conosce diverse lingue, tra cui l'italiano. Ha all’attivo traduzioni e diversi saggi. Gli argomenti variano dalla storia dell'occupazione italiana nell'isola di Ikaria durante la guerra, alle opere e biografie dei rappresentanti del filellenismo francese.
Leggere, corrispondere con un'amica lontana sono da anni le sue risorse. Ora sta perdendo la vista, ma l'intervento chirurgico di cui avrebbe bisogno è impossibile ottenerlo da una struttura pubblica, e farlo privatamente costa duemila euro, cosa che la sua pensione, tagliata come sopra, non permette.
Tutte le volte che lo incontriamo in paese il discorso torna sempre lì.
“Qui, nell'isola, le cose vanno un po' meglio. Qui non c'è la fame”. Te lo dicono tutti, qui, e va inteso in senso letterale. Ci sono gli orti, che danno patate, pomodori, zucchini, melanzane, fagioli, zucche, peperoni, cipolle. Ci sono il maiale e l'agnello, al singolare, che fatti a pezzi e surgelati forniscono la carne per tutto l'anno. Ci sono le galline con le uova, e i conigli, che danno anche il letame per l'orto. Ma stipendi e pensioni fatti a pezzi non permettono altro. Anche un impiego apparentemente sicuro, come un posto d’insegnante nella scuola professionale dell'isola, è diventato incerto: non si sa cosa vorranno fare di questa scuola. Forse toccherà andar via. L'ospedale, unico dell'isola, lo vogliono chiudere, e si infittiscono manifestazioni per tentare di difenderlo. La sanità, l'università per i figli, finire di sistemare la casa sono diventati obiettivi al di là del confine. C'è chi per avere una diagnosi dovrebbe fare una biopsia. Aspetterà un anno. Per farla privatamente i soldi non ci sono. Tutto è fermo. Anche andare e venire da Atene all'isola è diventata questione di calcoli attenti: i 35 euro del biglietto, il doppio almeno per l'automobile, sono costi che non ci si può più permettere con leggerezza.
Ci dicono: meno male che questo inverno è stato mite, abbiamo acceso il riscaldamento solo due volte, altrimenti con quel che è aumentato il petrolio come potevamo fare?
(Le cronache continueranno nei prossimi Oli)
Informazione: un documentario sull'isola di Ikaria verrà proiettato sabato 8 giugno alle 18.30 al Cinema Sivori, nell'ambito della rassegna "CINEA - Il filo di Gaia - Cinema ed educazione alla sostenibilità ambientale". Dal programma di sala leggiamo che narra la storia di un giovane disoccupato ateniese che ha lasciato la città per trasferirsi a Ikaria, per lavorare nell'apicultura, scoprendovi una comunità che sopravvive grazie a una particolare cultura incentrata sull'autonomia e la cooperazione.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
L'argomento è la crisi, tema su cui si cade immediatamente quando si parla con le persone di qui, e sfondo sonoro continuo, se per caso c'è un apparecchio televisivo acceso.
Cerchiamo di sostenere con lui le ragioni del rimanere in Europa, ma l'unico altro avventore, un anziano signore seduto vicino a noi, interviene quietamente dicendo: “Avevo una pensione di 1300 euro, ora me ne danno 900. Ecco cosa mi è restato dopo 45 anni di lavoro”.
Pochi giorni dopo, un’amica ateniese ci informerà che sono in arrivo altri tagli, che si sommeranno ai precedenti e colpiranno anche le pensioni minime, qui di 450 euro mensili, a cui verranno tolti 25 euro, e poi a crescere.
A queste condizioni non c'è spazio per discutere. Ogni speranza, ogni ipotesi è stata tagliata. Notizie come un lieve miglioramento del rating, o promesse di ripresa nel 2015 non vengono nemmeno commentate.
Ci dicono: aspettano di comprarci, che ci vendiamo tutto, per disperazione.
Conosciamo qui un anziano signore, è stato professore di letteratura francese al liceo e all’università di Atene. Conosce diverse lingue, tra cui l'italiano. Ha all’attivo traduzioni e diversi saggi. Gli argomenti variano dalla storia dell'occupazione italiana nell'isola di Ikaria durante la guerra, alle opere e biografie dei rappresentanti del filellenismo francese.
Leggere, corrispondere con un'amica lontana sono da anni le sue risorse. Ora sta perdendo la vista, ma l'intervento chirurgico di cui avrebbe bisogno è impossibile ottenerlo da una struttura pubblica, e farlo privatamente costa duemila euro, cosa che la sua pensione, tagliata come sopra, non permette.
Tutte le volte che lo incontriamo in paese il discorso torna sempre lì.
“Qui, nell'isola, le cose vanno un po' meglio. Qui non c'è la fame”. Te lo dicono tutti, qui, e va inteso in senso letterale. Ci sono gli orti, che danno patate, pomodori, zucchini, melanzane, fagioli, zucche, peperoni, cipolle. Ci sono il maiale e l'agnello, al singolare, che fatti a pezzi e surgelati forniscono la carne per tutto l'anno. Ci sono le galline con le uova, e i conigli, che danno anche il letame per l'orto. Ma stipendi e pensioni fatti a pezzi non permettono altro. Anche un impiego apparentemente sicuro, come un posto d’insegnante nella scuola professionale dell'isola, è diventato incerto: non si sa cosa vorranno fare di questa scuola. Forse toccherà andar via. L'ospedale, unico dell'isola, lo vogliono chiudere, e si infittiscono manifestazioni per tentare di difenderlo. La sanità, l'università per i figli, finire di sistemare la casa sono diventati obiettivi al di là del confine. C'è chi per avere una diagnosi dovrebbe fare una biopsia. Aspetterà un anno. Per farla privatamente i soldi non ci sono. Tutto è fermo. Anche andare e venire da Atene all'isola è diventata questione di calcoli attenti: i 35 euro del biglietto, il doppio almeno per l'automobile, sono costi che non ci si può più permettere con leggerezza.
Ci dicono: meno male che questo inverno è stato mite, abbiamo acceso il riscaldamento solo due volte, altrimenti con quel che è aumentato il petrolio come potevamo fare?
(Le cronache continueranno nei prossimi Oli)
Informazione: un documentario sull'isola di Ikaria verrà proiettato sabato 8 giugno alle 18.30 al Cinema Sivori, nell'ambito della rassegna "CINEA - Il filo di Gaia - Cinema ed educazione alla sostenibilità ambientale". Dal programma di sala leggiamo che narra la storia di un giovane disoccupato ateniese che ha lasciato la città per trasferirsi a Ikaria, per lavorare nell'apicultura, scoprendovi una comunità che sopravvive grazie a una particolare cultura incentrata sull'autonomia e la cooperazione.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
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