Capita di essere sommersi da sensazioni, profumi o ricordi; oggi mi è capitato con un parola: anomia.
Mi ha rimbombato nella testa come soluzione o spiegazione, non saprei, della condizione di questo momento.
Anomia come insoddisfazione e ricerca di “alternative” (anche criminose/illecite?) per porre fine alla mancanza di obiettivi raggiunti. O irraggiungibili.
Ma se la riuscita sociale è così in crisi, cosa si può fare affinché la riuscita personale ne esca in qualche modo soddisfatta?
Durkheim parlava di anomia prodotta da indeterminatezza degli obiettivi; ma questo vortice di orizzonti possibili si è schiantato lontano da qui, producendo un unico orizzonte, finito, limitato e paurosamente sovraffollato.
La prospettiva che immaginava Durkheim era una crescita dei suicidi nei momenti di crisi: l'Istat arriva in aiuto sottolineando che: “nel 2012 sono stati registrati 3048 suicidi, di cui 1412 per malattia, 324 per cause affettive e solo (aggiungo io) 187 per motivi economici. Cifre inferiori rispetto all'anno precedente, quando su 2986 casi, 198 erano dovuti a ragioni finanziarie”, e che quindi no, non è la crisi economica a spingere al suicidio. E che il suicidio non è, in ogni modo, la soluzione alla crisi. Sociale, personale o economica.
Mi rimane entrare nella prima prospettiva e perseguire con fini illeciti la scalata al successo? Sebbene comportamenti di questo tipo dovrebbero essere riconducibili a individui degli strati sociali più bassi, senza cultura e senza mezzi per conquistare un posto al sole. Un tempo una famiglia economicamente stabile, una laurea ed essere nati nell'emisfero ricco del mondo erano condizioni vantaggiose.
Sembra che ci si sia appiattiti verso il basso, e che anche i mezzi illeciti scarseggino, o che siano prerogativa di chi ha già molto e voglia semplicemente di più.
(Bice Pollastri)
Mi ha rimbombato nella testa come soluzione o spiegazione, non saprei, della condizione di questo momento.
Anomia come insoddisfazione e ricerca di “alternative” (anche criminose/illecite?) per porre fine alla mancanza di obiettivi raggiunti. O irraggiungibili.
Ma se la riuscita sociale è così in crisi, cosa si può fare affinché la riuscita personale ne esca in qualche modo soddisfatta?
Durkheim parlava di anomia prodotta da indeterminatezza degli obiettivi; ma questo vortice di orizzonti possibili si è schiantato lontano da qui, producendo un unico orizzonte, finito, limitato e paurosamente sovraffollato.
La prospettiva che immaginava Durkheim era una crescita dei suicidi nei momenti di crisi: l'Istat arriva in aiuto sottolineando che: “nel 2012 sono stati registrati 3048 suicidi, di cui 1412 per malattia, 324 per cause affettive e solo (aggiungo io) 187 per motivi economici. Cifre inferiori rispetto all'anno precedente, quando su 2986 casi, 198 erano dovuti a ragioni finanziarie”, e che quindi no, non è la crisi economica a spingere al suicidio. E che il suicidio non è, in ogni modo, la soluzione alla crisi. Sociale, personale o economica.
Mi rimane entrare nella prima prospettiva e perseguire con fini illeciti la scalata al successo? Sebbene comportamenti di questo tipo dovrebbero essere riconducibili a individui degli strati sociali più bassi, senza cultura e senza mezzi per conquistare un posto al sole. Un tempo una famiglia economicamente stabile, una laurea ed essere nati nell'emisfero ricco del mondo erano condizioni vantaggiose.
Sembra che ci si sia appiattiti verso il basso, e che anche i mezzi illeciti scarseggino, o che siano prerogativa di chi ha già molto e voglia semplicemente di più.
(Bice Pollastri)
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