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La Campagna Abiti Puliti (Clean Clothes Campaign), associazione internazionale nata per assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e lavoratrici del tessile, sta intervenendo denunciando i grandi marchi implicati tra cui Primark, Mango e l'italiana Benetton, quest'ultima in un primo momento aveva dichiarato di non aver legami diretti con le fabbriche del Rana Plaza.
L'agenzia AFP ha fotografato tra le macerie alcune t-shirt con etichetta “United Colors of Benetton”.
Inoltre Abiti Puliti è in possesso di una copia di un ordine d'acquisto da parte di Benetton per capi prodotti dalla New Wave, una della 5 fabbriche dell'edificio.
La Campagna Abiti Puliti sta facendo pressione sull'azienda veneta chiedendo di assumersi le proprie responsabilità su queste tragiche morti sostenendo i familiari delle vittime. “Aziende importanti come la Benetton hanno la responsabilità di accertare a quali condizioni vengono prodotti i loro capi” ha dichiarato Deborah Lucchetti - coordinatrice e referente italiana della Campagna Abiti Puliti - “e di intervenire adeguatamente e preventivamente per garantire salute e sicurezza nelle fabbriche da cui si riforniscono”.
Il crollo del Rana Plaza è una delle tante tragedie avvenute nel sud est asiatico: ricordiamo l'incendio della fabbrica pakistana Ali Enterprises dove lo scorso settembre sono arsi vivi 300 lavoratori per la mancanza di uscite di sicurezza e l'incendio di novembre della Tazreen Fashions in Bangladesh dove hanno perso la vita più di 100 operai che cucivano per C&A, Carrefour, Kik e Walmart, lavorando 12 ore al giorno per 30 dollari al mese.
Il tessile è un settore redditizio e le aziende occidentali di abbigliamento sono più interessate a massimizzare i profitti che alla sicurezza e ai diritti dei lavoratori. Il sud-est asiatico è il più grande esportatore di prodotti tessili al mondo, come possiamo notare dalle etichette che ogni giorno indossiamo.
Anche i consumatori spesso sono responsabili e complici inconsapevoli di questo processo in cui, attraverso l'acquisto di abbigliamento, contribuiscono a mantenere in schiavitù i lavoratori che cuciono e confezionano i nostri abiti per pochi dollari al mese.
Come consumatori consapevoli possiamo sostenere la campagna firmando la petizione online che chiede che i lavoratori in Bangladesh siano tutelati da norme di sicurezza più severe.
(Maria Di Pietro - foto da internet)
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