mercoledì 24 aprile 2013

OLI 374: SCHIAVITU' - A Genova Iqbal ha fatto scuola

(foto di Giovanna Profumo)
Mentre la scorsa settimana parte della classe politica italiana offriva ai cittadini uno spettacolo pietoso, a Genova i ragazzi della compagnia teatrale di Enrica Origo, attrice e maestra elementare, mettevano in scena la storia di Iqbal Masih, bambino, operaio, sindacalista, assassinato per il suo impegno contro la schiavitù infantile, il 16 aprile 1996.
A diciotto anni esatti dalla morte di Iqbal, Genova è tornata Città dei Diritti, dedicando alla memoria di questo stupendo bambino una giornata con tre momenti di riflessione.
Accanto ad Enrica Origo, regista del racconto teatrale, Ehsan Khan sindacalista pakistano che aveva liberato Iqbal dal fabbricante di tappeti che lo teneva schiavo.
Quarantatre bambini - età compresa tra dieci e sedici anni - nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, hanno dato voce alla breve e coraggiosa esistenza di Iqbal, una vita incatenata al lavoro per riscattare un debito contratto dal padre.
In un mondo possibile, l’assassinio di un dodicenne viene raccontato dai suoi coetanei che, attraverso il
(foto di Giorgio Bergami)
teatro, si sono fatti portavoce di migliaia di altri ragazzi schiavi del mercato globalizzato.
Come vediamo il sole e la luna – ha detto Ehsan Khan a Palazzo Tursi - possiamo riconoscere il problema della schiavitù dei bambini, chiedendoci da dove provengano caffè, banane, diamanti, abbigliamento, succhi di frutta, cellulari, computer, cotone.
Ehsan Khan ha ricordato la campagna promossa contro i prodotti Apple e contro Al Gore vincitore di un Premio Nobel ipocrita che, secondo il sindacalista pakistano, andrebbe restituito alla luce del ruolo che lo stesso Gore riveste nella compagnia informatica.
Khan ha, poi, chiesto ai presenti alla conferenza pomeridiana a Palazzo Tursi: Pensate davvero di non avere schiavi? Chi di voi ritiene di non avere schiavi? Ed ha segnalato iniziative ed inchieste promosse dai sostenitori della Global March Against Child Labour e della Slaveryfootprint che, attraverso la rete, favoriscono la crescita di una maggiore consapevolezza di quello che l’infanzia subisce nel mondo.
(Giovanna Profumo - Foto di Giorgio Bergami e dell'autrice)

Pubblichiamo di seguito il testo dell'intervento di Camillo Arcuri su Iqbal, che è stato letto da Enrica Origo in occasione della conferenza.


Siamo parte di una società che si definisce orgogliosamente informata, e non sappiamo niente o quasi della storia di Iqbal Masih. Sono i ragazzi come lui a raccontarci ciò che giornali e telegiornali non ci hanno mai fatto sapere: aveva solo dodici anni Iqbal quando gli hanno sparato, nel suo paese, in Pakistan. Lo hanno ucciso perché il suo esempio era considerato pericoloso. Da chi? Dal monopolio dei tappeti (una mafia diremmo qui), un potere spietato al quale aveva osato ribellarsi, non con le armi, ma semplicemente scappando dal buio di quel medioevo. Era andato all’estero, sottraendosi alla sua sorte di piccolo schiavo, venduto dalla famiglia ai padroni dei telai, e aveva testimoniato sulla tragedia generazionale che condanna migliaia di ragazzini come lui. Le sue parole avevano scosso molte coscienze e le vendite dei tappeti erano calate. Così, quando Iqbal Masih è tornato nel suo villaggio, ha trovato la vendetta in agguato. Con lui non è scomparso il disperato simbolo di riscatto che rappresenta. A rompere il silenzio preteso da tutte le mafie, ci pensa il pellegrinaggio di Ehsan Khan, il sindacalista che gli fu a fianco e che porta nel mondo la voce di Iqbal. Insieme a lui ci sono studenti e insegnanti delle scuole di tanti paesi, un moto spontaneo che a Genova ha trovato una convincente forma di espressione teatrale destinata a riprodursi nel progetto Parlaci di Iqbal che Enrica Origo, attrice, regista e insegnante, sta portando avanti con la sua Compagnia di ragazzi dal 2011. Parlaci di Iqbal non è solo uno spettacolo denso di emozioni; è anche e forse soprattutto un esperimento civile per rispondere al bisogno diffuso di “fare”, andando oltre l’esecrazione. Nel nome del loro coetaneo, eroe ignoto, i ragazzi sono entrati così in un ruolo di “moltiplicatori di consapevolezza”: una piccola lezione utile anche per colmare tanti vuoti mediatici.
Camillo Arcuri

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