Il 22 marzo ha preso un aereo ed è venuta a Cornigliano per raccontare di suo marito e dell’ILVA.
Francesca pare abituata a fare questa cosa in solitudine. Ma la sua è una faccenda di coppia. Francesca è una vedova di guerra. Perché a Taranto, da anni ormai, si combatte una guerra con due eserciti, due fronti e molte vittime. Una battaglia prima silenziosa e sotterranea che ha raggiunto visibilità ed impatto nazionale solo quando, un anno fa, la procura di Taranto ha aperto un indagine sull'inquinamento del siderurgico che ne minacciava la chiusura.
Il marito di Francesca si chiamava Antonio Mingolla, era dipendente di una ditta di appalto. E’ morto il 18 aprile 2006, intossicato dal gas con il quale aveva a che fare. Solo a dicembre 2012 la sentenza del tribunale ha stabilito che Antonio è morto perché non sufficientemente informato e formato in materia di sicurezza sul lavoro. Nella sentenza la parola "omicidio colposo" definisce i termini della tragedia.
Francesca Caliolo racconta la sua storia e quella di molti tarantini. L’Ilva è lo zaino che si porta sulle spalle con le morti sul lavoro, la difesa della sicurezza e la denuncia dell’impatto ambientale del siderurgico sulla città. Lei in questa guerra è stata schierata dalla vita, contro quelle morti definite cinicamente fisiologiche in base alle migliaia di posti di lavoro garantite dallo stabilimento.
Al Centro Civico di Cornigliano per la proiezione del docufilm “La svolta, donne contro l’ILVA” e all’incontro a seguire con Francesca si potevano contare prima una ventina, poi meno di dieci persone. Lo sciopero degli autobus può aver causato solo in parte la desolazione di una sala così vuota. Soprattutto perché Cornigliano è stata ed è ILVA. Se lo stabilimento scende in piazza il quartiere si avvita e la produzione di Genova è legata a quella di Taranto come un bambino al grembo della madre.
All’incontro del 22 marzo l’azienda, invitata a partecipare, ha mandato un suo funzionario che, cercando prima parole di comprensione per Francesca, ha ripetuto quello che ILVA ripete da mesi: non siamo i soli ad inquinare a Taranto. Non stupisce che sia stato massacrato anche dai pochi che erano in sala.
Assenti - con l'eccezione di chi scrive - i sindacati metalmeccanici genovesi. Gran parte di loro ritiene che non partecipare a queste iniziative eviti l’acuirsi dello scontro. Sono spesso gli stessi che hanno mostrato forte disappunto per la protesta del Comitato Liberi e Pensanti durante la manifestazione di agosto a Taranto e che si stupiscono del successo di Beppe Grillo alle elezioni.
In aprile l’agenda siderurgica tarantina offre le seguenti scadenze che inesorabilmente riguarderanno Genova:
7 aprile manifestazione nazionale contro la legge definita Salva Ilva
9 aprile pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge
14 aprile referendum consultivo sulla chiusura parziale o totale dell’Ilva
La siderurgia tarantina, ad oggi, garantisce salario a circa 14mila persone più l’indotto.
L’incontro tra difesa della salute e difesa del lavoro non può prescindere da Francesca e dalla sua testimonianza.
(Giovanna Profumo - immagine dell'autrice)
Il marito di Francesca si chiamava Antonio Mingolla, era dipendente di una ditta di appalto. E’ morto il 18 aprile 2006, intossicato dal gas con il quale aveva a che fare. Solo a dicembre 2012 la sentenza del tribunale ha stabilito che Antonio è morto perché non sufficientemente informato e formato in materia di sicurezza sul lavoro. Nella sentenza la parola "omicidio colposo" definisce i termini della tragedia.
Francesca Caliolo racconta la sua storia e quella di molti tarantini. L’Ilva è lo zaino che si porta sulle spalle con le morti sul lavoro, la difesa della sicurezza e la denuncia dell’impatto ambientale del siderurgico sulla città. Lei in questa guerra è stata schierata dalla vita, contro quelle morti definite cinicamente fisiologiche in base alle migliaia di posti di lavoro garantite dallo stabilimento.
Al Centro Civico di Cornigliano per la proiezione del docufilm “La svolta, donne contro l’ILVA” e all’incontro a seguire con Francesca si potevano contare prima una ventina, poi meno di dieci persone. Lo sciopero degli autobus può aver causato solo in parte la desolazione di una sala così vuota. Soprattutto perché Cornigliano è stata ed è ILVA. Se lo stabilimento scende in piazza il quartiere si avvita e la produzione di Genova è legata a quella di Taranto come un bambino al grembo della madre.
All’incontro del 22 marzo l’azienda, invitata a partecipare, ha mandato un suo funzionario che, cercando prima parole di comprensione per Francesca, ha ripetuto quello che ILVA ripete da mesi: non siamo i soli ad inquinare a Taranto. Non stupisce che sia stato massacrato anche dai pochi che erano in sala.
Assenti - con l'eccezione di chi scrive - i sindacati metalmeccanici genovesi. Gran parte di loro ritiene che non partecipare a queste iniziative eviti l’acuirsi dello scontro. Sono spesso gli stessi che hanno mostrato forte disappunto per la protesta del Comitato Liberi e Pensanti durante la manifestazione di agosto a Taranto e che si stupiscono del successo di Beppe Grillo alle elezioni.
In aprile l’agenda siderurgica tarantina offre le seguenti scadenze che inesorabilmente riguarderanno Genova:
7 aprile manifestazione nazionale contro la legge definita Salva Ilva
9 aprile pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge
14 aprile referendum consultivo sulla chiusura parziale o totale dell’Ilva
La siderurgia tarantina, ad oggi, garantisce salario a circa 14mila persone più l’indotto.
L’incontro tra difesa della salute e difesa del lavoro non può prescindere da Francesca e dalla sua testimonianza.
(Giovanna Profumo - immagine dell'autrice)
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