Vittorio Flick è mancato il 25 febbraio.
Le notizie di stampa lo ricordano per la sua attività di dirigente dell’Alfa Sud, responsabile dei rapporti con il personale, e perché per questo ruolo fu vittima di un attentato da parte del gruppo “Operai Combattenti per il comunismo”. Il 26 giugno 1977 gli spararono alle gambe.
Noi lo piangiamo perché era una persona generosa, intelligente, interessata ad ascoltare gli altri. E in continua ricerca di ragioni e soluzioni per immaginare un paese migliore.
Incontrare Vittorio era sempre occasione per parlare di politica e di futuro con passione.
E’ stato una voce preziosa di OLI e rileggere i suoi contributi passati e recenti permette di incontrarlo ancora.
Al suo funerale, alla Chiesa del Carmine, si sono potuti avvertire profondamente la disponibilità e l’affetto che ha regalato nella sua esistenza.
Con Vittorio abbiamo perso un vero amico. (Eleana Marullo - Paola Pierantoni - Giovanna Profumo)
Sono venuti fuori dal nulla, spuntati alla chetichella dopo decenni di oblio, con la tessera elettorale intonsa, o, spesso, addirittura senza la tessera. L’esercito degli astensionisti ha deciso in parte di scendere nella pubblica piazza ed esprimere il proprio voto.
Chi lavora nei seggi da molti anni non fatica a riconoscerli, anzi, neanche si deve sforzare. Lo dichiarano. Hanno dai 30 ai 45 anni, entrano affermando di non aver mai votato nella propria vita, o di non farlo da decenni. Alcuni neanche sapevano servisse la tessera e, avvertiti, se ne vanno via protestando contro la Loro burocrazia. “Loro” sono i nemici, quelli che sicuramente si frapporranno tra i neovotanti e la libera espressione del voto.
Arrivati davanti alla presidente di seggio, vengono muniti di schede e matita copiativa, ma loro no, non ci stanno. Quella, d’altronde, è una matita. E non vogliono votare con la matita: il loro unico, prezioso voto, invecchiato per 10, 20 anni senza venire mai espresso, deve stillare sulla scheda indelebilmente. Uno dice “E se voto con la mia penna?” “le annullo il voto”, risponde sorridendo la presidente, pensando ad una burla, uno scherzo faceto per sdrammatizzare l’apparato ufficiale delle elezioni. “Allora chiamo i carabinieri, lo metta a verbale che me lo cancella! I miei me lo hanno detto che li cancellate, mi hanno detto di portarmi la penna e votare con quella!”. Ricondotto alla ragione, va in cabina ed esprime il suo voto ma va via bofonchiando: “me lo cancellano, me lo cancellano, Loro.” Un altro, giovanottone over 30 fresco di lampada al battesimo del voto, entra e, alla consegna della matita copiativa, richiede una penna. Alla spiegazione che la matita copiativa è indelebile, va a votare dicendo, anche lui “Lo so che poi Voi li cancellate, avevano ragione, Voi ci fate votare a matita e poi li cancellate tutti!”.
Forse in molti non sanno che in un seggio è molto difficile imbrogliare: ci sono presidente, segretario e scrutatori, ci sono i rappresentanti di lista a garantire che lo scrutinio si svolga correttamente e senza brogli. Se qualcosa dovesse andare storto, il/la presidente di seggio ne risponde penalmente. La matita copiativa è lo strumento, indelebile, che si usa da sempre per votare e lascia un segno impossibile da cancellare senza rovinare la scheda.
Non è tanto l’ignoranza civica abissale che pervade il popolo di ex non votanti, a preoccupare, né il legittimo dubbio che, se gli astenuti non si fossero astenuti dalle scelte politiche per tanti anni forse l’Italia avrebbe seguito un destino diverso.
A preoccupare è il livore cieco che spinge a colpevolizzare, ed il pensiero paranoico che tutti siano acquattati nell’ombra ad tramare contro di loro, i giusti: ha un ché di paradossale, ha un sapore di tifoseria da stadio.
(Eleana Marullo - foto da internet)
Da qualche tempo c’è in città il Circo Togni, e un gruppo di cittadini, contrari all’utilizzo di animali negli spettacoli, ha reagito con una raccolta di firme per sollecitare il Comune a svolgere i controlli che gli competono, e cioè verificare il rispetto delle “Linee guida” sui criteri di mantenimento e detenzione degli animali stabiliti nel 2000 dalla Commissione Scientifica CITES del Ministero dell'Ambiente. In caso contrario chiedono che il Comune “ne vieti l’attendamento”.
Notizie di stampa del 23 febbraio (Il Secolo XIX, Il Mercantile) informano che l’ispezione è avvenuta, e riportano il comunicato del Comune: “Il reparto Ambiente della Polizia Municipale ha effettuato una prima visita, senza preavviso. L’ispezione ha verificato che, contrariamente a quanto segnalato, gli animali sono mantenuti in buone condizioni e in gabbie apparentemente adeguate”.
Questo episodio apre tre diversi livelli di riflessione.
Il primo riguarda la normativa vigente. La legge che disciplina la materia, la 337 del 1968, è una vecchia legge in cui non compare mai la parola ‘animali’. Non ci si pensava ancora agli animali, in allora. Nei quasi cinquanta anni successivi si sono sviluppate nuove conoscenze scientifiche e consapevolezze riguardo al comportamento, la psiche e la sensibilità animale, ma in Italia da tutto ciò non è conseguita alcuna evoluzione della legge sui circhi, diversamente da molti altri paesi, europei e no, dove l’utilizzo di animali per gli spettacoli è totalmente o parzialmente proibito (*).
Così, nella sua immobilità, la L. 337/68 continua a valorizzare “la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante” e a sostenerli con “contributi pubblici” senza porsi, in merito, altre domande. In assenza di norme di leggi vincolanti l’unico riferimento sono le citate ‘Linee guida’ CITES.
In questa indeterminatezza si aprono tutte le possibili gamme di comportamento, da quella di Comuni che non se ne occupano, a quella dei Comuni che vietano l’attendamento di circhi con animali.
Che fa in proposito il Comune di Genova? Qui si apre la seconda riflessione. Infatti il telegrafico comunicato stampa afferma che gli animali sono “mantenuti in gabbie apparentemente adeguate”. Ma a chi spetta il compito di stabilire una connessione tra apparenza e realtà? Se la Polizia Municipale non è in grado di assumersi la responsabilità di una valutazione che ci sta a fare? E perché travisare contenuti e senso della lettera dei cittadini affermando che questa (apparente) adeguatezza sussiste “contrariamente a quanto segnalato”? I firmatari infatti non ‘segnalavano’ nulla: esprimevano le ragioni culturali e filosofiche della loro contrarietà all’utilizzo degli animali nei circhi, e chiedevano al Comune di valutare se il Circo Togni rispetta o meno le ‘Linee guida CITES’, che riguardano una molteplicità di aspetti, e non solo le gabbie. Il che, ad ispezione effettuata, non è dato sapere.
Patetica infine la sottolineatura sull’ispezione fatta ‘senza preavviso’: presentare l’ovvio come merito induce più ai cattivi che ai buoni pensieri. La questione filosofica di fondo, e questo è il terzo ordine di riflessione, è ancora un’altra. E cioè l’accettabilità, e il valore educativo e sociale, di utilizzare gli animali per ‘fare spettacolo’, costringendoli alla detenzione e a comportamenti innaturali. Tanto più spettacolari quanto più innaturali.
Il fascino e l’incanto del nostro rapporto con le altre specie viventi è nella relazione che possiamo costruire con loro, rispettandole.
Si impara di più dal gatto di casa che dalla tigre nel circo.
Dopo una campagna elettorale fondata sul marketing, che ha visto protagonisti tv e radio, questo week-end gli italiani si sono recati alle urne per votare.
I candidati durante la loro campagna elettorale hanno offerto soluzioni "strategiche" alla crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, peccato però che in gran parte siano gli stessi responsabili che l’hanno causata. Questa sfiducia ha portato ad un calo di affluenza alle urne da parte degli elettori.
Il voto è importante perché è il mezzo con cui si può esprimere un giudizio, ma più importante è il voto che diamo ogni giorno con le nostre azioni e le nostre scelte quotidiane; noi, singoli cittadini, facciamo politica tutti i giorni, anche quando sosteniamo che la politica non ci interessa.
Votiamo quando andiamo a fare la spesa, quando scegliamo di acquistare un prodotto locale o un prodotto che arriva dal Sud America; votiamo quando decidiamo di andare in auto oppure in bici; votiamo ogni volta che decidiamo di guardare un programma in tv o leggere un libro; votiamo ogni volta che entriamo in un negozio, in un supermercato; ogni volta che scegliamo un film al cinema; quando decidiamo che stile dare alla nostra vita.
Di certo sono elezioni più difficili di quelle politiche, non dobbiamo mettere una croce su un simbolo né presentare un documento d’identità, ma dobbiamo metterci in gioco in prima persona. Diventiamo responsabili delle nostre scelte quotidiane e, dato che questi voti li distribuiamo comunque nostro malgrado, sarà utile farlo con la maggior consapevolezza possibile.
Tutte le scelte personali hanno un impatto e delle conseguenze sulla collettività e sull'ambiente, anche quelle più insignificanti e più superficiali.
Se partisse da noi stessi orientare eticamente la nostra vita affinché le nostre azioni promuovano la libertà e la dignità di tutti, riusciremmo a modificare la realtà che ci circonda senza dover delegare la responsabilità solo ed esclusivamente ai nostri politici.
Le responsabilità e le piccole attenzioni civiche provenienti "dal basso" sono il primo passo verso il reale cambiamento.
(Maria Di Pietro)
Un ragazzo dalla pelle chiara, muscoloso anche se non grosso, corre nella notte. I piedi nudi si appoggiano ritmicamente sulla linea bianca tratteggiata sull'asfalto. Attorno guardrail, oltre vi sono campi piatti circondati di buio.
Il ragazzo nudo corre sull'asfalto e non pensa a nulla. Un piede dopo l'altro. Quando i piedi sono entrambi sospesi in aria, a volte chiude gli occhi. Inspira. Sono brevi istanti di stupore in questa fuga silenziosa, inesorabile.
Il pene sbatte tra le cosce; gli occhi sono rivolti verso il nero orizzonte. Nonostante il freddo il ragazzo inizia a sudare. Corre.
Davanti a lui arriva una luce. Lui guarda la luce e continua a correre. Non aumenta il ritmo, non si ferma. Un piede dietro l'altro, una striscia bianca in mezzo all'autostrada. La luce è vicina, così vicina che non può non vederlo. Ispirando alza entrambi i piedi da terra, per un istante chiude gli occhi. Riappoggia il piede destro sull'asfalto che subito si risolleva: sbatte la testa contro il parabrezza che esplode.
Il ragazzo nudo vola in alto e cade in un campo distante diversi metri.
La macchina continua a correre tra un guard rail e l'altro fino a che il rumore della carrozzeria è sovrastato dalle urla sorprese di chi ha rischiato la vita.
Oltre la strada, nel buio, un battito d'ali si specchia negli occhi chiari del corridore nudo e il suo cuore smette di pulsare. (Arianna Musso - immagine da internet)
Dice che è colpa dei giornalisti se la sua immagine sui quotidiani risulta brutta e distorta.
Ma di tutti gli scatti fatti in piazza veramente pochi trasmettono la pacatezza che lui lamenta non venga inquadrata.
Dice che la vecchia classe politica è al capolinea, che le cose devono cambiare anche se non sa dove andranno a finire.
Parla dell’Italia, e delle famiglie di italiani che vanno alla mensa della Caritas, per certificare un baratro che forse, nella sua testa, poteva essere tollerato finché riguardava soltanto gli immigrati.
Parla delle aziende che chiudono e della miseria. Devono andare a casa tutti. Tutti fuori. Destra, sinistra centro! - dice.
E dice della guerra di oggi, delle macerie economiche, politiche e sociali, di cui l’Italia è piena. Nessuno deve rimanere indietro – urla.
E aggiunge che loro se ne devono andare subito, ma prima che se ne vadano gli italiani hanno il diritto di fare una piccola verifica fiscale sui loro conti, come hanno fatto sui nostri!
Al redditometro risponde con il politometro per certificare la congruità del patrimonio del politico prima, durante e dopo la sua presenza nelle istituzioni. In caso di incongruità, precisa, la magistratura interverrà affinché venga restituito agli italiani quello che è stato tolto.
Noi dobbiamo dare il conto di come spendiamo i nostri soldi? Dobbiamo rovesciare l’onere della prova – urla – sono loro che devono dire come spendono i nostri soldi!
Parla di riforme subito. Di reddito di cittadinanza. Dice che i soldi ci sono e che il movimento li prenderà – non ai paraplegici, alla Sla, alla sanità, alla scuola – ma dai rimborsi elettorali (tre miliardi e mezzo).
Dice che i suoi capolista sono per la maggior parte donne. Non con le labbra di polistirolo e il culo di tungsteno, ma donne che lavorano che tirano su i figli, famiglia, donne che si fanno un culo così dalla mattina alla sera!
Il punto g di Federica Salsi non è materia di comizio e nemmeno la sospensione dell’assessora di Mira, Roberta Agnoletto, di cui si è scritto che sia stata allontanata perché incinta.
Lui materializza il pensiero del cittadino medio dandogli corpo, riconosce la rabbia e l’angoscia degli italiani covata negli anni, elevandola. E lo fa con la precisione di un orologiaio svizzero mescolando i tempi della battuta scherzosa con quelli di incitamento alla ribellione. Nei suoi comizi, il canovaccio base si adegua al territorio, si piega alle attese della gente. I militanti sanno che lui è il movimento – padre padrone, cervello – e loro sono sangue pulito, cellule al lavoro veloci e solerti per l’Italia che vuole cambiare.
(Candidati liguri del M5Stelle alle elezioni politiche 2013)
In tv i suoi candidati non appaiono, non perché non parlino nei comizi ma perché l’informazione non se li fila affatto tutta intenta ad inquadrare soltanto lui.
Casini, con un approccio clinicamente schizofrenico, ha ammesso che Grillo è il termometro, non la causa della febbre. Che la causa è l’operato della politica degli anni.
Anche il Nobel Dario Fo è andato in piazza Duomo a sostenerlo. E a me è venuta in mente piazza San Giovanni, il 14 settembre 2002, un milione di persone in movimento che chiedevano ai politici italiani una politica migliore, radicalmente diversa.
E non si mandava affaculo nessuno.
(Giovanna Profumo - foto dall'autrice)
Dal 22 al 25 febbraio in tutto il mondo si celebrerà la quarta azione globale per la riapertura della Shuhada Street di Hebron che è stata chiusa nel 1994 dopo il massacro di 29 palestinesi, che pregavano nella moschea Ibrahim, da parte del colono israeliano Baruch Goldstein.
Shuhada street è la via principale del centro storico di Hebron, una volta la più importante via di comunicazione commerciale e molto affollata.
Ora è deserta.
I 500 negozi arabi di Shuhada Street sono stati sigillati e questo ha devastato l'economia locale, i palestinesi non sono autorizzati a percorrere “la strada dell'apartheid” e sono costretti a fare lunghe deviazioni per arrivare dall'altro lato della strada, solo gli israeliani possono transitarvi. Hebron è l'unica città della Cisgiordania dove 600 coloni, protetti da 2000 militari israeliani, vivono in cinque insediamenti all'interno della città vecchia. Inoltre è l’unica città in cui i check point ed i blocchi alla circolazione sono imposti all’interno del centro cittadino. Secondo il protocollo che definisce lo statuto di Hebron, la città è divisa in due parti: H1 sotto l'autorità palestinese e H2 sotto il controllo militare israeliano. La via del mercato arabo, parallela a Shuhada street, è coperta da una rete metallica che protegge i palestinesi da spazzatura, sputi, olio bollente, escrementi, che i coloni israeliani ogni giorno gettano dalle loro case sui passanti.
La violenza fisica e psicologica da parte dei coloni è una tragica realtà, le libertà personali dei palestinesi sono ridotte al minimo, i controlli sono eccessivi e a causa della “closure” molti servizi, inclusi quelli sanitari, risultano di fatto inutilizzabili.
L'imposizione ai palestinesi della chiusura della strada, dei coprifuochi, dei posti di blocco militari, la detenzione senza motivo delle persone e la mancanza di protezione dalle continue violenze ha spinto 15000 civili palestinesi a fuggire dalle loro case, trasformando il centro storico di Hebron in una città fantasma.
Il 25 febbraio ad Hebron ci sarà una grande manifestazione organizzata da Youth against Settlements insieme ad attivisti internazionali e pacifisti israeliani per chiedere la riapertura di Shuhada Street e la fine dell'occupazione. In varie città del mondo ci saranno iniziative di solidarietà, Anche a Genova verrà ricordata l'iniziativa Open Shuhada Street durante l'incontro con la mamma di Vittorio Arrigoni, Egidia Beretta, che sarà al teatro della Tosse domenica 24 febbraio h.18,30 con Don Andrea Gallo. (Maria Di Pietro - foto da internet)
Mercoledì 13 febbraio, davanti alla prefettura di Genova si è tenuto un presidio dei dipendenti della ASL 3 incaricati di garantire la sicurezza e la prevenzione degli incidenti sul lavoro. Il volantino della RSU denuncia che blocco delle assunzioni, assenza di investimenti, accorpamento di presidi sul territorio, metteranno in serio pericolo i livelli minimi di prevenzione e sorveglianza sui luoghi di lavoro - piccole aziende, grandi fabbriche, porto e cantieri. In mancanza di personale diventa impossibile visitare le aziende. L'allarme si trasforma in grido quando si riflette sui controlli che devono e dovranno essere effettuati sui cantieri del nodo ferroviario o del terzo valico - con duemila lavoratori in campo e ben quattro miliardi di investimento, dei quali, lamentano i lavoratori della ASL 3, non si conosce la percentuale prevista per la prevenzione e la tutela della sicurezza. Al Capo Gabinetto del Prefetto di Genova è stata fatta presente l'urgenza della situazione e sollecitata la convocazione di un tavolo con Regione Liguria e ASL3 per affrontare rapidamente la situazione. Nessun può chiamarsi fuori da questo problema - è scritto sul volantino - Ognuno, a partire dalle Istituzioni, deve assumersi le proprie responsabilità. (Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
Il decreto "Salva Italia" del governo Monti ci regala una nuova tassa in sostituzione di Tarsu e Tia: la Tares. Si sentiva il bisogno di una rivisitazione della norma sui rifiuti, analizziamo insieme i punti salienti per scoprire cosa nasconda la cinquantina di commi di cui è composta.
Il "Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi" è dovuto da chiunque utilizzi una superficie abitativa, commerciale, industriale o agricola a qualsiasi titolo, ha lo scopo di finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti urbani ma anche la manutenzione della città, oltre che i costi di acquisto dei servizi (energia elettrica, acqua, gas). Sostanzialmente è pensata per trasferire ai comuni l'onere di incassare direttamente tali somme, sottintendendo che i trasferimenti da Roma saranno ridotti o eliminati, con l'obbligo di finanziare l'azienda incaricata della raccolta dei rifiuti secondo le sue necessità economiche, comprendenti anche gli investimenti. La tassa che riguarda i servizi si paga sempre a metro quadrato, e il valore va da 30 a 40 centesimi di euro, quindi non costosissima ma aggiuntiva a quanto il cittadino paga già di Imu e Irpef e pagava di Tarsu/Tia. Inevitabile pensare che presto questa tassa di superficie sarà aumentata per dar modo ai comuni di avviare le manutenzioni cittadine che attendono da anni di partire.
Il tributo può essere trasformato in tariffa solo se l'azienda dei rifiuti inizia una misurazione "puntuale" del conferito, che ad esempio a Genova non avviene, anche se voci sindacali di Amiu spiegano che la direzione rassicura che l'azienda genovese continuerà a incassare direttamente la tassa. Il termine "puntuale" non viene definito esattamente, per cui ci si aspetta che sia oggetto di interpretazione da parte dei comuni con le inevitabili circolari interpretative del ministero: il solito tran tran legislativo.
L'unico riferimento alla raccolta differenziata, per nulla tenuta in considerazione nella nuova norma, è per indicare l'obbligo di una diminuzione di tariffa in proporzione alla quantità di differenziata raccolta, nulla più. Molto interessante è invece il riferimento alla eventuale violazione di termini di legge, per cui il cittadino ha diritto a pagare un massimo del 20% della tariffa piena in caso di manifesta e grave violazione delle norme sui rifiuti: la fantasia insegna che se messo in relazione alle quantità di differenziata di legge e reali, in pratica quasi ovunque in Italia sarà possibile chiedere la riduzione. Si vede che il legislatore non conosce affatto la situazione italiana sui rifiuti e che la legge è stata scritta a tavolino solo per dare modo ai comuni di avere a disposizione una leva fiscale utile alla propria sopravvivenza.
Rimandiamo un approfondimento ad alcuni prossimi articoli su Oli. (Stefano De Pietro - immagine da internet)
-A ridosso dell’ingresso adibito al personale dell’aeroporto di Roma Fiumicino, terminale3, settore partenze, alle ore 10.35 del 15 febbraio 2013, Il signor X di anni 19, di nazionalità Ivoriana, veniva accompagnato in maniera coatta verso il desk doganale per favorire le incombenze di rimpatrio. Chiesogli dal funzionario doganale se avesse qualcosa da dichiarare egli ha aperto la borsa estraendone una tanica di litri tre contenente benzina. Dopo che il signor X ha rovesciato la quasi totalità del contenuto della già citata tanica di liquido infiammabile sopra il di lui corpo, io mi sono avvicinato al soggetto. Il signor X ha dato fuoco alla di lui giacca, avvampando quindi nel corpo tutto. Essendo io collegato al di lui corpo tramite il mio braccio destro ho iniziato anche io a bruciare. La signora F.D., prontamente intervenuta, ha spento le fiamme con un estintore dato in dotazione all’aeroporto.
La funzionaria della dogana:
-Stamattina, come sempre, ero al mio posto nel gabbiotto. A un certo punto un odore di benzina, un fumo, un ché di pollo arrosto. Una gran luce e poi le urla. Non so neanche perché sono uscita e ho preso l’estintore. Ma così, d’istinto. Non so neanche come ho fatto. Poteva pensarci qualcun altro. Appena li ho visti ho fatto fuoco. Cioè, non è che ho fatto fuoco, ho usato l’estintore: prima sul poliziotto che sembrava ballasse, con tutto il braccio luminoso. Pensavo: colpisci le fiamme, colpisci le fiamme. Quello ballava e io ferma con le gambe aperte, ben piantata sui miei tacchi, fino a quando il braccio si è tutto coperto di una spessa schiuma bianca. Intorno a me ancora urla: – Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Spe-gni-lo! Allargai le gambe, mi piantai sui tacchi, tirai su entrambe le braccia, presi la mira e feci fuoco, cioè non è che feci fuoco veramente, ma non mi fermai finché non finii tutta la schiuma dell’estintore. Li ho salvati? Non lo sapevo, me l’anno detto dopo.
Un passeggero:
-E alla fine ci ha fatto perdere l’aereo, a me e a mia moglie. Dovevamo andare a Londra da mia figlia e con tutto questo macello non sappiamo neanche se potremmo partire. E adesso chi la sente mia figlia? Una puzza poi. Certo mi spiace per questo qui -diciamo- abbronzato, ma che ci posso io, se non c’è lavoro neanche per i nostri figli, non è che possiamo farli entrare così. Non si può mica, c’è la crisi e noi dobbiamo pensare ai nostri problemi. Che poi adesso: chi glielo pagava l’aereo a ‘sto qui? Noi; mentre il viaggio per Londra me lo pago da me. E ora che si è tutto bruciato, poveretto, chi gli paga l’ospedale? Sempre noi. Mentre l’altro giorno ho fatto un esame e sai quanti euri gli ho dato di ticket? Che io gli direi: – Senti, ti vuoi dar fuoco? Ma datti fuoco a casa tua che se c’hai dei problemi non è mica colpa mia.
L’incendiario:
Ho 18 anni, a quindici ho perso mia madre e mia sorella. Sono scappato per il deserto. Ho lavorato in Libia. ‘E scoppiata la guerra anche lì. Ho preso una barca. Nessuno sapeva guidarla. Sono arrivato in Italia. Ho iniziato a lavorare, avevo una casa, avevo il cellulare, dei vestiti puliti, magari avrei potuto essere felice. Mi hanno arrestato. Mi volevano far tornare indietro. Ma indietro dove? Nella notte. E allora nella luce canto i versi di Dadié:
Sono più di 3848 i palestinesi arrestati nel 2012, secondo i dati ufficiali diffusi dal Dipartimento di Statistica presso il ministero degli Affari dei detenuti di Ramallah, tra cui 881 bambini e 67 donne. La media mensile degli arresti è stata di 321 palestinesi, quella giornaliera di 11.
Gli arresti da parte delle forze militari israeliane sono all'ordine del giorno: accademici, giornalisti, insegnanti, figure di spicco in campo politico della società palestinese, componenti dei comitati popolari vengono aggrediti ed arrestati con la scusa della “sicurezza”.
Sono tanti i prigionieri che protestano con lo sciopero della fame, il caso più discusso in questi giorni è quello di Samer Tarek al-’Issawi di 34 anni arrestato per la seconda volta il 7 luglio 2012 con l’accusa di aver organizzato attività politiche e visitato alcune zone della Cisgiordania; il pubblico ministero israeliano ha chiesto di condannarlo a vent’anni di carcere. Samer viveva nel villaggio di al-'Issawiya a nord est di Gerusalemme. I suoi genitori sono stati più volte arrestati; nel 1994 è morto il fratello di Samer di 16 anni ucciso da un soldato israeliano durante gli scontri che seguirono il massacro della moschea di al-Ibrahim a Hebron. Un altro fratello è detenuto in un carcere israeliano e lo hanno messo in isolamento, non può incontrare la sua famiglia.
Samer, che ha già perso 47 chili, sta portando avanti una battaglia contro le condizioni di vita a cui sono costretti i detenuti palestinesi nel sistema carcerario israeliano.
" ... non sapere se tuo figlio morirà, attendere con angoscia che ti dicano che non ce l'ha fatta. Non potergli stare vicino in un simile momento”, ha dichiarato la mamma, “Lo so, dobbiamo essere coraggiosi: ci hanno preso la terra, hanno ucciso nostro figlio, e ora hanno in mano Samer e Medhat".
I militari israeliani non perdono l'occasione per arrestare durante le manifestazioni anche attivisti internazionali che protestano insieme ai palestinesi contro l'occupazione. Sabato scorso a Canaan è stato arrestato un attivista italiano, Marco Di Rienzo, uno inglese dell'ISM (International Solidarity Movement) e 12 palestinesi di cui 4 giornalisti. Gli attivisti stavano costruendo il quinto villaggio formato da tende come segno di protesta contro gli insediamenti illegali israeliani.
Di Renzo ha deciso di seguire lo sciopero della fame avviato tre giorni fa in solidarietà con i detenuti politici palestinesi in carcere in Israele, in particolare con Samer Issawi.
Il ministero dell’Informazione in Cisgiordania ha paragonato il protrarsi della detenzione di al-’Issawi ad “una condanna a morte, eseguita lentamente da uno Stato che dichiara di rispettare le leggi internazionali e si vanta di non applicare la pena di morte”. (Maria Di Pietro )
Corrado Clini, Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, è stato invitato sabato 9 febbraio alla Prima Conferenza Programmatica del PD di Genova, titolo Connessioni, fare per fermare il declino.
Interpellato sulla questione ILVA, il Ministro ha rilasciato la seguente dichiarazione:
Il relatore della legge su Ilva ha fatto un lavoro preziossimo in una situazione molto difficile.
Quello che noi abbiamo fatto è stato applicare le direttive europee.
Sostanzialmente abbiamo riscritto l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) utilizzando come riferimento la lista delle migliori tecnologie che vanno applicate nella siderurgia europea, pubblicate dalla Commissione Europea a marzo del 2012, l’abbiamo trasferita nell’autorizzazione per ILVA, abbiamo detto all’azienda: questo è il contesto nel quale le attività industriali possono essere esercite. Abbiamo detto chiaramente all’azienda che non c’erano margini di contestazione, cioè se loro volevano aprire una contestazione come avevano fatto negli anni passati - conflitti, attacchi ecc. – noi, sostanzialmente, non avremmo concesso margini, perché ormai il tempo era andato troppo oltre e su questo l’azienda ha accettato e ha sottoscritto un piano di interventi. Come sapete c’è in atto una polemica, che è ancora ovviamente in corso, sulla possibilità di chiudere, perché i danni erano troppo grandi, eccetera. Noi siamo rimasti fermi su un principio: che se si rispettano le direttive europee e le leggi nazionali c’è la garanzia per la protezione dell’ambiente. Ci sono dei problemi di eredità del passato che sono pesantissimi, ma che vanno separati, perché altrimenti, se non si afferma questo principio, viene a mancare un riferimento che non vale solo per l’ILVA, ma che vale per qualunque attività. E su questo abbiamo tenuto il punto.
C’è un dialogo in corso con la magistratura di Taranto che mi sembra si stia evolvendo in modo positivo. L’azienda oggi a Taranto è in condizioni di produrre pienamente perché l’unico sequestro rimasto attivo riguarda una quota di prodotti finiti in un periodo per altro molto limitato. Il problema che abbiamo ora è, purtroppo – posso dire purtroppo perché avrei voluto non avere questo problema di fronte – la verifica dell’affidabilità dell’azienda in termini di investimenti per attuare completamente le prescrizioni dell’AIA. Su questo stiamo lavorando con l’impresa. Abbiamo chiesto all’impresa – come è già stato chiesto, per altro giustamente, anche dalle organizzazioni sindacali – di legare la riqualificazione industriale, prevista dall’Autorizzazione Integrata Ambientale, con un piano industriale dell’impresa e con un piano finanziario e su questo stiamo lavorando. Io sono abbastanza confidente, perché credo che una parte importante dei problemi è stata risolta. Abbiamo anche previsto nella legge, nel caso in cui l’azienda non sia in grado di corrispondere ai suoi impegni, subentrano altre procedure di gestione dello stabilimento perché comunque consideriamo questo un presidio industriale strategico per il paese. Penso che anche questo sia un tema che rimarrà aperto nei prossimi mesi, perché sarà necessario continuare a lavorare nell’area, verificare che cosa avviene. In parallelo è partito il piano del risanamento del territorio, abbiamo insediato la struttura a Taranto che si sta occupando di questo, legata anche alla riqualificazione del porto, per cui tutto sommato oggi gli elementi positivi sono molto più importanti degli elementi negativi. (a cura di Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
Vico Del Papa si trova nella zona della Maddalena.
Il miracolo si manifesta con particolare evidenza ai passanti alla sera, attraverso una fila di vetrine illuminate che improvvisamente interrompono l’oscurità dei vicoli.
Che sia giorno o che sia sera, comunque, chi guardi attraverso i vetri vedrà persone che ballano, oppure cantano, parlano tra loro con parole o gesti, come i giovani sordi di 'Mani in movimento', fanno yoga, ginnastica, suonano, oppure recitano, giocano con bambini piccolissimi, guardano insieme dei video, fotografano, discutono, ascoltano, si scambiano libri, oppure imparano a comunicare tra loro nell’oscurità.
Il gruppo "Mani in movimento"
Le attività che si svolgono all’interno spaziano su territori molto articolati, espressione di una produzione culturale diffusa di cui sono produttrici e attrici una quantità di associazioni, gruppi, insiemi di persone.
Scorrendo il calendario che definisce gli orari di occupazione degli spazi se ne contano a decine. In alcuni casi sono appuntamenti di confronto e discussione episodici, o almeno non sistematici, in altri invece si tratta di attività permanenti che si svolgono per tutto l’anno, settimana dopo settimana.
Il gruppo "Le vie del Canto"
Come è avvenuto? Che storia c’è dietro? E dove stava, prima, tutta la gente che si avvicenda ora i questi spazi? Inaugurato meno di un anno fa, il 24 aprile 2012, questo spazio ha preso materialmente vita a partire dallo scorso settembre. Il nome che lo identifica è: “Laboratorio Sociale di Vico Papa” (lo trovate su Facebook ), concepito e realizzato nell’ambito del “Progetto Integrato Territoriale” della Maddalena promosso dal Comune di Genova e finanziato dalla Regione Liguria con i fondi del POR (Programma Operativo Regionale) 2007 / 2013, Asse 3 / sviluppo urbano. Soggetto attuatore RiGenova Srl, società partecipata dal Comune.
Lo scopo, si legge nel dépliant del Comune che nel 2009 fissava caratteristiche e tempistiche del progetto, è “dare valore alle energie esistenti nel quartiere che non hanno luoghi e modi di esprimersi; sostenere le forme aggregative presenti, attrarne di nuove, favorendo l’integrazione col quartiere; rompere l’isolamento dell’area … favorire lo scambio di esperienze e punti di vista dei residenti; aggregare attorno al laboratorio un soggetto culturale collettivo in grado di leggere i bisogni del territorio ed interloquire col sistema decisionale”.
Le frasi di questo dépliant hanno alle spalle un lavoro collettivo, un’esperienza già compiuta, quella del laboratorio sociale “50 rosso” della Maddalena, e si sente.
Negli anni di attuazione del progetto, dalla identificazione dei locali alla loro ristrutturazione, sono intercorsi continui rapporti con le realtà culturali e associative che si candidavano ad utilizzare questi spazi.
Sostenere la produzione culturale diffusa, farla uscire dal sottosuolo dove la spaventosa mancanza di spazi di questa città la relega da anni, metterla in comunicazione con la città, è un progetto politico. Aggiungo: un progetto politico di sinistra.
Paola Borelli, entusiasta ed appassionata responsabile della gestione di Vico Papa, mi dice che è in cantiere una realtà analoga in Via Pre.
Bisogna andare oltre, estendere questi spazi in tutti i quartieri. La vita culturale di Genova non può esaurirsi a Palazzo Ducale. (Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
La schermata di un Hangout così come mostrata sul canale Youtube
In uno spassoso libro di Luciano De Crescenzo intitolato Ordine e Disordine, si fa riferimento al minino di ordine che occorre trovare all'interno della cosa più disordinata che esiste, la rivoluzione, riassumibile in un concetto molto semplice: a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare. Parole sante, che suppongono che la comunicazione di questi dati sia fatta incontrandosi. Oggi il sistema più immediato per mettere su una congrega di carbonari senza soldi e con molte idee si chiama Hangout, è una tecnologia di Google, è gratuita e funziona egregiamente. Hangout è uno strumento di collaborazione video che consente il collegamento a distanza geografica di dieci postazioni, di mandare in diretta su Youtube la trasmissione e di trovarsela registrata una volta terminata la diretta. E' il pezzetto mancante tra un semplice sistema di trasmissione "televisiva" in streaming e la vera collaborazione interattiva a distanza.
Fare un Hangout richiede un account su Google+ (il nuovo sistema social di Google), una webcam, un computer, oppure uno smartphone collegato a internet. Pochi strumenti che oggi sono in possesso di moltissime persone; ovviamente non devono mancare amici e qualcosa da dirsi.
La tecnologia è così stabile, utile e ben congegnata che il tour elettorale di Beppe Grillo si sta svolgendo interamente in diretta con un operatore sul palco che si collega usando un semplice smartphone ad un Hangout aperto dalla regia a Milano. La regia monta i titoli, fa un minimo di commento e il tutto finisce in onda in diretta, papere comprese, tipo una signora che a Parma arringa il "povero" sindaco Pizzarotti in un fuori onda un po' tragicomico. Hangout rappresenta una novità editoriale davvero notevole. Mette fuori uso la televisione, consentendo a chiunque, gratuitamente, di disporre un semplice studio di regia basato su pochi comandi. E' interamente online, non richiede quindi l'installazione di programmi sul proprio computer. Si usa in pochi secondi e, una volta accesa la trasmissione, ci si dimentica di stare a centinaia di chilometri di distanza dai propri interlocutori.
Lo strumento ideale per la rivoluzione globalizzata, per dirsi, appunto, a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare, in un modo moderno. (Stefano De Pietro)
A partire dal 31 gennaio, OLINEWS pubblica i contributi di Arianna Musso che, ispirandosi ad una notizia, ne trarrà un testo letterario.
da la Repubblica: Sale parto ferme (*)
- Oggi devo nascere!
Il bambino si sporge oltre le nuvole. Il musetto imbronciato, il pancione in avanti. La bis-bisnonna lo trattiene spaventata, è una donna giovane, morta di parto in un'isola della Sicilia diversi decenni prima. I capelli sono raccolti in una spessa treccia nera.
-Te lo assicuro. Oggi è il grande giorno, l'epifania, oggi nasco io. Fammi volare, alla mamma sono già iniziate le doglie. Non la senti?
La bis-bisnonna lo trattiene per il braccino, cerca con gli occhi qualcuno che la possa aiutare. Lassù, tra le nuvole si vedono solo uccelli pronti ad acchiappare il nascituro appena lei lo lascerà partire. Si prende coraggio ed esclama a voce talmente bassa e impastata da essere completamente sovrastata dalle urla concitate del piccolo:
-Non si può fare. Quest'oggi non puoi nascere.
Visto che il piccolo non l'ha sentita ripete con voce più forte, forse adesso troppo forte perché le esce quasi un ruggito.
-Non si può. Quest'oggi non puoi nascere. Hanno altro da fare laggiù. Aspetta domani.
-Ma io devo rivelarmi, devo andare!
Insiste il pupo cercando di divincolarsi dalle mani forti che lo stringono, ma la bis-bisnonna continua:
-C'è una gran confusione, non ci sono dottori, non ti possono aiutare, credimi, è una cosa delicata questa, lasciami dire, non è che arrivi tu e patapim! Senti ammia, hanno indetto sciopero, sciopero nazionale di tutti i dottori e di tutte le ostetriche.
-Ma nonna, io nasco da solo, la so la strada, non ti preoccupare.
-Tutti nasciamo soli e tutti moriamo soli. E' che, per amore di nonna, aspetta domani...
Il piccolo spalanca gli occhi grigi e si lascia cadere giù dalla nuvola a peso morto, un gabbiano si butta in picchiata e lo prende al volo. Il bambino lo abbraccia e con la piccola manina saluta la bis-bisnonna che lancia un grido muto.
La donna si è sporta dalla nuvola di scatto, quasi a volerlo seguire e lo continua a guardare, la treccia tra le labbra in un moto di angoscia. Quanto dovrà aspettare ora? Chi dovrà attendere? Forse nessuno, forse andrà tutto bene. Ma chi sono queste donne e questi uomini che la fanno stare così in pena? Hanno costruito gli ospedali: bravi. Hanno debellato le setticemia, le gestosi quasi, hanno inventato l'episiotomia, hanno perfezionato il cesareo e tutte le altre cuciture. Bravi. Ma perché proprio oggi, che deve nascere il suo bis-bisnipotino, ci deve essere sciopero nazionale? E tutti i discorsi che sente con il suo orecchio fine di trapassata: contenziosi, colpa medica, legali, responsabilità oggettiva, strutture sanitarie, diritti… tutto le sembra così distante a lei che è morta nel 1924. (Arianna Musso - foto da internet)
(*)http://www.repubblica.it/salute/2013/02/11/news/sciopero_sale_parto-52438815/?ref=HREC2-7
Un compagno venticinquenne mi parla dell’ANPI, del circolo di Pegli in particolare, mi dice di quello che fanno, delle cose che organizzano, di quanto ci sia partecipazione e voglia di fare. Mi chiede qualche tempo fa - visto che quest’anno l’ANPI si impegna in particolare rispetto ai temi della legalità e della violenza maschile contro le donne - se mi interessa intervenire, che ha fatto il mio nome alla presidente del circolo. Io non esito, mi sento contenta, mi piace molto questa proposta.
Chiedo come mi devo vestire, quanto devo parlare, quanta gente ci sarà e tutto quanto. Poi arriva sabato pomeriggio, il posto è carino, sul lungomare di Pegli, c’è aria di sagra, c’è da bere e da mangiare, in brevissimo la sala si riempie, c’è calore e grande attenzione.
La presidente introduce, cantano due canzoni, il gruppo musicale dell’associazione Multedo 1930, due canzoni che parlano di donne, poi tocca a me.
Sono emozionata e felice, prendo il microfono, tutto rimbomba e appena inizio a parlare non ho più freddo. La sala mi ascolta e mi guarda con grande attenzione, mi aspettavo tanti uomini - pregiudizi - all’ANPI e invece per la maggior parte sono donne.
Fanno sì con la testa, quando dico che violenza maschile contro le donne è anche il silenzio in cui sono state schiacciate le partigiane, accusate anziché onorate, di non esser state al loro posto. Dicono “è vero!”, e battono le mani.
Dico cos’è per me, parlo di responsabilità, parlo del fatto che non è e non può essere un problema delle donne. Dico che finchè non cambierà la cultura, finchè non si smetterà di accettare che violenza e possesso siano scambiati per amore ci sarà spazio per una cultura maschilista e prevaricatrice.
Poi interviene Andrea - il compagno di cui sopra - parla di legalità, di eroi, dell’impossibilità di costruire “a compartimenti stagni”, dell’urgenza di attivarsi sui valori, senza scivolare nei personalismi, del fatto che il 25 aprile non è una festa facile perché ci ricorda che lì, allora, è stata fatta una scelta, si è scelto da che parte stare e non tutt* hanno scelto allo stesso modo. Gli battiamo le mani, sorride, contento.
Il coro riprende, ci si ristora con il “rinfresco partigiano”, si fanno le tessere, si ascoltano le canzoni vecchie e nuove, note e meno note. È la festa del tesseramento, la festa dell’inizio delle attività previste per l’anno, è una festa calda, forse un po’ malinconica, ma forte, viva. Mi siedo e compilo la tessera, mentre si intonano canzoni e ci si passa vassoi di focaccia e di emozioni, una signora mi bacia sulla testa, mi viene vicino, mi dice “brava, hai detto delle cose giuste”, e parla un po’ genovese e un po’ in italiano e poi si scusa che è emozionata e ci soffermiamo un po’, e mi chiede, e poi un’altra, e un’altra, e mi danno la mano e mi dicono che se ci siamo noi c’è speranza, e io mi confondo e sono più emozionata di loro.
Finchè non cantiamo tutt* Bella ciao, e mentre ci si avvia all’uscita un’altra signora, commossa, con chi le diceva “ma no, ma dai, non si piange!”, sempre in genovese, dice che queste cose non si possono, non si devono dimenticare, che lei l’ha visto com’è, che noi giovani non dobbiamo permetterlo, che non dev’essere mai più. Mi prende sotto il mento, piano, con la mano leggera, mi guarda negli occhi con un’intensità rara “sei bella!” “anche lei, bellissima!”, rispondo, e piango anch’io di quell’emozione. Le do la mia parola: non lo permetteremo. (Valentina Genta)
A Genova, alla Casa delle Donne in Salita del Prione, in questi giorni si svolgono brevi lezioni di danza, una ‘specifica’ danza.
Il motivo sta nel titolo e nelle parole (*) che accompagnano la musica, break the chain, spezza la catena: la catena della violenza sulle donne.
Appena arrivate nella sala, prima di iniziare, le donne guardano perplesse un video scoraggiante per chi non sia adolescente o giovanissima: pare impossibile riuscire a imparare quella sequanza complicata, impossibile imitare quei movimenti veloci ed elastici.
Però non c’è dubbio che si debba e si voglia tentare, e le donne si dispongono in file sotto la guida di Gloria, una giovane e bravissima insegnante di danza.
Incredibilmente, in un’ora di pazienti ripetizioni dei gesti, l’obiettivo è raggiunto.
Si tornerà magari ancora una volta, per mettere a punto i dettagli, ma il fatto è che l’impossibile è diventato possibile.
Altre stanno imparando la sequenza di danza studiandosela attraverso il video didattico che circola in internet.
Questa cosa sta avvenendo in tutto il mondo, e in tutto il mondo il 14 febbraio le donne si riuniranno per ballare su questo ritmo, o per esserci e basta.
Questo flash mob planetario è stato ideato e lanciato dalla scrittrice americana Eve Ensler, ed ha per sigla One billion rising: "Un miliardo di donne violate è un’atrocità, un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione, un miliardo di donne che danzano scuoterà la Terra”. Il video che presenta l’iniziativa è da vedere:
A Genova la manifestazione si svolgerà alle ore 17.00 del 14 febbraio 2013, in Piazza De Ferrari.
L’hanno organizzata insieme le donne di “Se non ora quando Genova” e della “Rete di donne per la politica”, coordinamento che raccoglie venti associazioni di donne (**): un mondo di diversità che ha trovato la strada per agire insieme.
(*) Le parole di ‘Break the chain’:
Sollevo le braccia al cielo
Prego in ginocchio
Non ho più paura
Io attraverserò quella soglia
Cammina, danza, sollevati
Posso vedere un mondo
dove tutte viviamo
sicure
e libere da ogni oppressione
Non più stupro, o incesto, o abuso
Le donne non sono proprietà
T
u non mi hai mai posseduta,
neppure sai chi sono.
Io non sono invisibile,
sono semplicemente meravigliosa
Sento il mio cuore prendere la corsa per la prima volta
Mi sento viva, mi sento straordinaria
Danzo perché amo
Danzo perché sogno
Danzo perchè non ne posso più
Danzo per arrestare le grida
Danzo per rompere le regole
Danzo per fermare il dolore
Danzo per rovesciare tutto sottosopra.
E' ora di spezzare la catena,
oh sì
Spezzare la catena
Danza, sollevati
Nel mezzo di questa follia, noi ci ergeremo,
Io so che c'è un mondo migliore,
Prendi per mano le tue sorelle e i tuoi fratelli
Cerca di raggiungere ogni donna e ogni bambina
Questo è il mio corpo, il mio corpo è sacro
Basta scuse, basta abusi
Noi siamo madri, noi siamo maestre,
Noi siamo bellissime, bellissime creature
Danza, sollevati
Sorella, non mi aiuterai?
Sorella, non ti solleverai?
Danza, sollevati
E' ora di spezzare la catena,
oh sì
Spezzare la catena
(**) Elenco delle associazioni della ‘Rete di donne per la politica’: Laboratorio politico di donne, UDI Genova 25 novembre 2008, Generazioni di donne, Marea, UDI Genova Biblioteca Margherita Ferro, Società per Azioni Politiche di Donne, Coordinamento Donne CGIL Genova e Liguria, Coordinamento pari opportunità UIL di Genova e della Liguria, Asociazione Usciamo dal silenzio, Rete delle donne per la rivoluzione gentile, AIED, Archinaute, Laboratorio AG-AboutGender, Co.Li.Do.Lat, Legendaria, Gruppo Mafalda Sampierdarena, Il Cerchio delle Relazioni, Arcilesbica, Rete 194. (Paola Pierantoni)
Vorrei segnalare un'importante iniziativa di questa campagna elettorale, che credo potrà incidere in maniera determinante sul risultato della stessa.
L’evento fa sicuramente leva su tutti gli elettori, e non sono pochi, ad oggi ancora d’orientamento incerto.
Il politico che desidera incrementare il proprio corpo elettorale si presenta al più vicino “Centro per l'impiego” della propria città, dove può consultare la lista dei disoccupati e da questa scegliere un nominativo.
Stipula con il disoccupato un regolare contratto con il quale si impegna a versargli mensilmente 1/5 del proprio stipendio, oltre ad accompagnarlo personalmente nel percorso di ricerca di un lavoro.
La rata mensile verrà sospesa quando il reinserimento lavorativo avrà prodotto per il disoccupato un regolare contratto di lavoro.
L’iniziativa, deducibile fiscalmente, trattandosi di spese per campagna elettorale, produrrà per il politico una sostanziale portata di voti, quali, oltre a quello del disoccupato stesso, quelli di amici e parenti vicini e lontani.
I “Centri per l'impiego” invitano i politici interessati ad una sollecita presentazione agli sportelli. (Maria Profumo)
Sono passati tre anni da quando su Oli 249 abbiamo parlato del Pubblico registro delle lamentele instaurato con un decreto legge in Portogallo nel lontano 2005. A Genova, nel Consiglio comunale del 29 gennaio 2013, una soluzione simile è stata prospettata dal gruppo del M5Stelle, ed ha ottenuto un insperato successo che non ha però portato alla sua adozione, per un solo voto.
L'occasione per la proposta è stata l'approvazione da parte del Consiglio comunale di un nuovo regolamento per i controlli dell'attività amministrativa del Comune e delle sue aziende partecipate, voluto dal Sindaco e dalla Giunta anche per ottemperare sul fotofinish al solito obbligo di legge. Con un emendamento inserito nell'articolo riguardante, in un qualche modo, le metodologie di lavoro, il M5Stelle ha proposto la creazione di un registro digitale pubblico, dove potessero essere inserite le proposte e le segnalazioni dei cittadini nei confronti del lavoro degli uffici pubblici. Il Registro, liberamente consultabile, avrebbe dovuto entrare a far parte del sistema di qualità certificata del Comune, per trasformare le segnalazioni di possibili non conformità, con l'obbligo quindi di correzione da parte dell'ufficio interessato.
Oggi il Comune usa il classico sistema della segnalazione fatta in modo privato, per cui non esiste la possibilità per il cittadini di vedere l'insieme delle segnalazioni. Il registro proposto avrebbe risolto questa mancanza, e avrebbe costituito un forte impulso alla trasparenza dell'amministrazione.
L'emendamento ha ottenuto 18 voti favorevoli e 19 contrari. Peccato per due assenti che con la loro presenza avrebbero potuto cambiare il risultato e dotare Genova di un valido strumento di interlocuzione democratica con il Comune, facile da usare, online e significativo.
Si osserva un silenzio della stampa locale su questo fatto, interessata invece al gravissimo problema delle pietre "filosofali" di Via Garibaldi, a detta di alcuni non numerate prima di essere rimosse. Riportiamo per completezza di informazione l'Ordine del giorno del Consiglio comunale citato. Da notare l'adozione della procedura d'urgenza, che viene normalmente utilizzata tutte le settimane, anche per consentire di far votare le delibere di Giunta del giovedi in Consiglio già il martedi successivo. Stay tuned!
Un anno fa pareva non ci fosse speranza per la Valletta di San Nicola (OLI 333) . I nodi da sciogliere erano troppi insieme ai soldi sprecati e a quelli in ballo.
Loro parlavano di orti urbani, vivai e serre storiche, per un’area dove la parola parcheggio occhieggiava furbastra tra le fronde del territorio in abbandono, fissata nero su bianco nel PUC. E ne parlavano mentre andava in onda l’agonia dell’Istituto Assistenziale Brignole grazie ad una gestione amministrativa dissennata e priva di controllo.
Oggi la situazione per l’Istituto Brignole, al quale fa capo l’area, è come allora, ma almeno ci si può permettere di sperare.
Cambiata la giunta comunale, l'intenzione dei nuovi arrivati sembra essere quella di bloccare l’edificazione dei silos (su cui anche la Regione ha espresso parere negativo) alla Valletta di San Nicola e di acquisire l’area di proprietà del Brignole – non appena superati i vincoli della legge di stabilità. Per questo, il vicesindaco Stefano Bernini e l’assessore Valeria Garotta si sono dimostrati interessati alla proposta del Comitato Le Serre che ha elaborato un progetto affinché l'area venga utilizzata come giardino di quartiere, con orti urbani collettivi e individuali, con la valorizzazione turistico-museale delle serre contenenti le collezioni di felci e piante esotiche e una sperimentazione per la riproduzione vivaistica di flora autoctona. Il Comitato presenterà il proprio progetto in un incontro pubblico il 14 febbraio alle ore 21.00 nell’Auditorium della Parrocchia di San Nicola.
(Giovanna Profumo)
Firenze, pensilina dell'autobus.
Una giovane donna bionda alza il cappuccio della figlia più grande. La bambina sta giocando con i piedi della sorellina che escono dal marsupio. La piccola avrà sei mesi, occhi azzurri, cappellino rosa.
- Look, bird! - Esclama la donna indicando un merlo che vola.
- Dove?- La grande smette di torturare il piede della sorellina e alza il naso.
- Dove si dice where. Anche se non abitiamo più a Zurigo può sempre capitare che incontri dei bambini non italiani, magari dei turisti, devi saper parlare con loro - La mamma le parla sorridendo, con un dito tra le mani della piccola.
- Dei bambini come Anne?- La bimba continua a tirare il piedino della sorellina.
- Come Anne, come Can, come Didier.
- Ma Can era turco.
- Ma parlavamo in inglese, ti ricordi ?
- Torniamo a Zurigo ?
- No amore, non torniamo più a Zurigo perché la mamma ha cambiato lavoro: non faccio più la ricercatrice in medicina molecolare ma vendo i panini col lampredotto più buoni di Firenze.-
- Insieme a nonna Gilda!- grida la bambina e saltella felice del tono entusiasta della sua mamma.
Arriva l'autobus, la mamma la prende per mano e la tira per farla salire; la bimba sfila inavvertitamente la scarpina di lana rosa della sorella che cade sul marciapiede. (Arianna Musso) Segnalazione: venerdì 8 febbraio ore 17,30
circolo Zenzero, via G. Torti 35
Genova, presentazione del numero 4 della rivista "Quaderni di San Precario"