Sono stata contenta di aver fatto un giro insensato per tornare a casa in motorino. Averci impiegato troppo tempo. Così ho potuto assaporare il desiderio di arrivare a casa presto per scrivere, e ho colto davvero il senso di quella piazza bloccata per l’intera giornata, con la voce che gridava forte dentro di me: “perché con loro non si è fermata e non si ferma l’intera città?” Loro sono gli operai dell’ILVA.
Di questi minuti il “decreto salva Ilva” che Monti ha definito più ampiamente “salva ambiente, salute, lavoro”. Hanno battuto le mani, quando Grondona ha detto - la voce distorta dalle casse - che c’era il decreto, che si tornava a lavorare. Hanno fischiato e cantato, io con loro, il corteo studentesco partito da Caricamento e solidale alla loro lotta, con loro. Sono arrivata passando sotto i fili di plastica bianchi e rossi della polizia, ho camminato in piazza Corvetto con la mia idea romantica della fabbrica, della lotta. Ho le mani pulite, le fabbriche le ho visitate con la scuola, da bambina. Uno di loro potrebbe essere mio padre? Potrebbe essere mio fratello, un amico, un compagno? Certo. Lo sono, o sento come se lo fossero, forse con idealismo ed emozione, senz’altro senza retorica.
Solo uomini davanti alla prefettura, e un odore acre di bruciato che mi è rimasto impigliato nel maglione, che non si addice alla piazza di una città. Due cassonetti sono capovolti. Chiedo cos’hanno bruciato, mi dicono “carta”, mi dicono “per scaldarci”. Certo. È freddo. Parlo con alcuni di loro, sono in imbarazzo, io, loro non mi pare, parlano a capannelli, le ruote delle macchine alte come me, fischiano e gridano. Chiedo se li stanno ascoltando. Un signore grande, con le mani in tasca, gli occhi stanchi, mi dice “certo che no, ci stanno prendendo per il culo”.
Nel suo sguardo c’è anche un “come sempre”, ma non lo pronuncia, lo sento io. Cammino con le mani in tasca anch’io, tra quell’umanità a cui non sono avvezza ma a cui mi sento legata. Arriva il corteo, piccolo ma determinato, slogan e solidarietà: “il nostro futuro, non si tocca, studenti e operai, uniti nella lotta”! Banale, certo. Ma sta accadendo, è una dimostrazione, siamo qui, sono qui. Si può essere, mi chiedo, femminist* senza essere contro il razzismo? Si può essere ambientalist* senza lottare contro l’omofobia? Ci si può spendere per i propri diritti pensando esclusivamente a quelli? Si può essere contro la mafia e non contro il sessismo? Il concetto di trasversalità è scivoloso a volte ma in questo senso, in questo caso, nel non lottare cioè “a compartimenti stagni”, considerando con coscienza che ciò che viene tolto ad un compagno (che sia il nostro migliore amico o un perfetto sconosciuto) viene tolto, in quell’esatto istante, anche a noi, forse è uno strumento chiave. Credo che il cambiamento reale possa avvenire, di qualunque lotta si tratti, quando ogni persona si sente realmente coinvolta. Gli operai hanno bloccato la città, il disagio che manifestavano non ha niente a che vedere con il disagio che ha avuto chi ha fatto tardi, o ha faticato a rientrare a casa. Perché? Perché il primo - e la lotta che ne consegue - ci ricorda che nessun diritto è per sempre e che se non poniamo attenzione e scrupolo ogni giorno un mattino potremmo non aver bisogno di arrivare in orario da nessuna parte, tanto meno al lavoro, poiché - nell’assordante silenzio che a volte si sente - ci avranno tolto anche quello.
(Valentina Genta - Foto dell'autrice)
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