Dalla settimana scorsa la riforma del lavoro è diventata legge dello Stato. E’ una legge certamente migliorabile: occorre lavorare ancora per un contrasto più efficace alla precarietà del lavoro, per un regime universale di ammortizzatori sociali e per la certezza della tutela contro i licenziamenti illegittimi, ma la sua approvazione rappresenta una grande conquista per i cittadini immigrati: non perderanno più il permesso di soggiorno sei mesi dopo aver perso il lavoro. A causa di una norma irrazionale e dannosa che condizionava il rinnovo del documento di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro, accadeva che, annualmente, centinaia di migliaia di immigrati regolarmente soggiornanti (anche da vent’anni) non riuscissero a rinnovare i loro permessi di soggiorno. Venivano cacciati nella clandestinità, costretti a lavorare in nero con gravi danni all’economia del Paese già a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e venivano vanificati, con molta superficialità, percorsi di integrazione faticosamente intrapresi. Ora, questa norma non esiste più, è stata modificata dalla riforma Fornero, e il disoccupato immigrato avrà diritto alle stesse prestazioni di sostegno al reddito cui ha diritto il disoccupato italiano; nel frattempo la regolarità del suo soggiorno è garantita, comunque per un periodo non inferiore a dodici mesi. Inoltre, al termine di tale periodo, è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che il cittadino immigrato dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Il grave danno all’integrazione ed all’economia del paese era noto, da quindici anni, ai vari governi politici di centro destra e centro sinistra ma essi non sono stati capaci di rimuoverlo. Al governo tecnico sono bastati sette mesi. Per sfortuna prima o poi torneranno a governare i politici.
(Saleh Zaghloul - disegno di Guido Rosato)
martedì 3 luglio 2012
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