ESTERI - Egitto, per la prima volta un fratello musulmano è eletto presidente (Saleh Zaghloul)
SINDACATO - Cgil, tra Mary Poppins e azione unitaria (Giovanna Profumo)
PORTO ANTICO - Chi si occupa della marea nera? (Eleana Marullo)
CITTA’ – Artrè chiude (Ferdinando Bonora)
SOCIETA' - Freud e gli scontrini fiscali (Ivo Ruello)
PAROLE DEGLI OCCHI - Uomini alla prova di Lilith (a cura di Giorgio Bergami)
mercoledì 27 giugno 2012
martedì 26 giugno 2012
OLI 349: ESTERI - Egitto, per la prima volta un fratello musulmano è eletto presidente
Il secondo turno delle elezioni presidenziali egiziane è stato vinto da Muhammad Mursi, candidato dei Fratelli Musulmani, il quale ha preso circa 13 milioni dei voti (51,73 %) contro i circa 12 milioni (48,27%) del suo rivale Ahmad Shafiq, candidato del vecchio regime e del consiglio militare. Al secondo turno Mursi si è presentato come il candidato di tutte le forze della rivoluzione del 25 gennaio contro il ritorno del vecchio regime rappresentato da Shafiq, ultimo primo ministro di Mubarak. Questa linea gli ha permesso di raddoppiare i voti dei fratelli musulmani ottenuti al primo turno e di vincere le elezioni. Al primo turno, infatti, Mursi aveva ottenuto 5.764.952 voti e Shafiq 5.505.327. Nessuno dei rappresenti del movimento del 25 gennaio e del popolo che ha dato inizio alle manifestazioni contro Mubarak è riuscito a superare il primo turno. Il candidato dei laici democratici egiziani Hamadin Sabahi era arrivato terzo con 4.820.273 voti, senza disporre dei mezzi economici e mediatici di cui disponevano Mursi (sostenuto dal Qatar e dalla TV del suo emiro al Jazeera e Shafiq (sostenuto dall’Arabia Saudita e dal 90 per cento dei media arabi finanziati da questo paese). I Fratelli Musulmani erano un partito “illegale” ai tempi di Mubarak, ma la loro opposizione non rappresentava un problema, riuscivano a convivere col regime. La loro opposizione era invece fortissima durante il governo laico socialista ed anti imperialista di Nasser. Negli ambienti della sinistra araba si dice che la loro politica sia stata storicamente coordinata con gli inglesi prima e con gli USA dopo e che non abbiano mai fatto vera opposizione ai regimi dittatoriali filo americani. Ora festeggiano la prima volta che un loro esponente viene eletto presidente di un paese arabo, del più importante paese arabo. Ad essere precisi gli islamici avevano vinto le elezioni in Algeria, agli inizi degli anni novanta, ma i militari algerini hanno impedito loro di governare facendo precipitare il paese nella violenza sanguinaria durata per molti anni.
Per i laici e i democratici egiziani, ha vinto il meno peggio, ha perso il vecchio regime di Mubarak e sono maggiori le possibilità di continuare il processo di cambiamento. Non sarà facile, le difficoltà maggiori provengono dal pericolo di militarizzazione più che da quello dell’islamizzazione del paese. Il futuro del paese sarà sempre più determinato dalla volontà del popolo di ottenere democrazia, giustizia sociale e un ruolo arabo dell’Egitto, a sostegno ad esempio dei palestinesi, fuori dalla politica filo americana e filo israeliana di Mubarak. Il neo presidente ed i suoi collaboratori - consapevoli della forza limitata dei Fratelli Musulmani nel paese (circa il 25% dei voti al primo turno) e degli interessi forti dei militari al potere dopo Mubarak -, non sta facendo altro che mandare messaggi rassicuranti a tutti: “sarò il presidente di tutti gli egiziani, lavorerò per assicurare democrazia e giustizia sociale, apprezzo esercito, polizia e giudici, rispetterò l’autonomia dei giudici, condividerò il governo con le altre forze della rivoluzione egiziana, la rivoluzione continua”. Vedremo.
(Saleh Zaghloul - immagine da internet)
Per i laici e i democratici egiziani, ha vinto il meno peggio, ha perso il vecchio regime di Mubarak e sono maggiori le possibilità di continuare il processo di cambiamento. Non sarà facile, le difficoltà maggiori provengono dal pericolo di militarizzazione più che da quello dell’islamizzazione del paese. Il futuro del paese sarà sempre più determinato dalla volontà del popolo di ottenere democrazia, giustizia sociale e un ruolo arabo dell’Egitto, a sostegno ad esempio dei palestinesi, fuori dalla politica filo americana e filo israeliana di Mubarak. Il neo presidente ed i suoi collaboratori - consapevoli della forza limitata dei Fratelli Musulmani nel paese (circa il 25% dei voti al primo turno) e degli interessi forti dei militari al potere dopo Mubarak -, non sta facendo altro che mandare messaggi rassicuranti a tutti: “sarò il presidente di tutti gli egiziani, lavorerò per assicurare democrazia e giustizia sociale, apprezzo esercito, polizia e giudici, rispetterò l’autonomia dei giudici, condividerò il governo con le altre forze della rivoluzione egiziana, la rivoluzione continua”. Vedremo.
(Saleh Zaghloul - immagine da internet)
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OLI 349: SINDACATO - Cgil, tra Mary Poppins e azione unitaria
(una scena dal film Mary Poppins) |
Probabilmente solo in parte hanno cercato le ragioni della manifestazione romana con Cisl e Uil, in un sabato di giugno, in nome di un’unità sindacale umiliata nei fatti alla Fiat.
Ma risulta che molti tesserati si stiano chiedendo come la Cgil intenda proteggerli da un governo che ricorda nei metodi e nelle intenzioni il banchieri avidi del film Mary Poppins, pellicola tanto cara a Matteo Renzi che sull’articolo 18 - “utilizzando un tecnicismo giuridico” - dichiara: “non me ne po’ fregà de meno”.
Chi in Cgil afferma che da marzo ad oggi sono cambiate le cose dovrebbe cercare di spiegarlo agli iscritti che faticano a scorgere la nuova fase e non si illudono affatto che il decreto lavoro possa essere contrastato con dei presidi. Perché molti di loro fanno i conti con disoccupazione, cassintegrazione, licenziamenti, precariato, blocco del turn over e dei contratti con un governo che è passato dalla lotta allo spread alla spending review con risultati invisibili rispetto ai sacrifici richiesti.
Nemmeno la famiglia, ammortizzatore per vocazione – religiosamente evocata dagli squallidi governi precedenti – è rimasta in agenda. Anzi si avvia ad essere l’officina dove assenza di lavoro e tutele per giovani e meno giovani offrirà nuovi ruoli alla miseria. La notizia del vertiginoso incremento degli sfratti è già segnale.
Per queste e altre ragioni – aumento dei ticket, tagli alla spesa sanitaria, welfare al collasso – è doveroso chiedersi quando la forza dell’azione unitaria sindacale produrrà proposte concrete o quanto meno lo scatto in avanti che faccia sentire i lavoratori parte di un progetto di crescita e non vittime di una guerra.
Nel frattempo se i momenti di mobilitazione in agenda rimarranno quelli di un sabato romano di giugno e l’azione di contrasto al governo verrà lasciata alla sola Fiom, Monti e i suoi ministri potranno procedere senza timori, tenuti a rispondere anziché agli interessi dei cittadini, unicamente a quelli delle banche.
(Giovanna Profumo - foto da internet)
OLI 349: PORTO ANTICO - Chi si occupa della marea nera?
E’ evidente, e come tutte le cose eclatanti, è sfuggito a più di uno sguardo. Sarà sfuggito a molti dei 65mila che hanno visitato il Suq, appena concluso, rispecchiandosi durante queste luminose serate estive in un mare nero come la pece, in cui i cefali – tipici di solito come i piccioni veneziani a piazza San Marco - sono scomparsi. Non se ne saranno accorti neppure coloro che percorrono quotidianamente la sopraelevata, che da qualche tempo vedono le banchine srotolarsi sopra un mare cupo color terriccio. E magari non tutti quelli che stanno leggendo se ne sono resi conto ancora, ma il mare all’Expò è diventato nero, proprio nero, e da qualche tempo. Qualche notizia fresca si trova, da qualche ora, soltanto su la Repubblica e relativo blog: http://genova.repubblica.it/cronaca/2012/06/26/news/fiorisce_l_alga_oscura_mare_nero_al_porto_antico-37978141/: la macchia nera si estende nel bacino del Porto Antico di Genova, tra i Magazzini del Cotone ed il Museo del Mare. Da quanto riportato si legge che la Capitaneria di Porto, l’Arpal e l’Università sono intervenute solo sabato scorso (il 23 giugno), a fronte di un fenomeno che è iniziato da almeno una decina di giorni. Le cause della chiazza nera sono ancora in corso di accertamento: tra le più probabili, la fioritura di un’alga che produce polline nero, tingendo il mare. All’acqua nera, in questi ultimi due giorni si è aggiunta la spazzatura che galleggia in superficie: depositata durante l’anno dal Rio Carbonara, che sfocia presso Ponte Morosini, sale a galla dal fondale in circostanze particolari. Ma chi deve occuparsene, a questo punto? Per legge (Legge 84/94 e D.M. 14.11.1994, poi precisati dalla Circolare prot. N. 5201164 datata 13 marzo 1996 del Ministero dei Trasporti e della Navigazione), la competenze sulla salute dell’acqua portuale sono ripartite tra attività anti-inquinamento, riservata all’Autorità Marittima, ed attività di disinquinamento delle acque, che spetta invece all’Autorità Portuale. L’autorità portuale dovrebbe poi dare il servizio in appalto; in particolare, a Genova, se ne occupa la Sepg, Servizi Ecologici del Porto di Genova, società partecipata dell’Autorità Portuale. Altro ente preposto a vigilare sulla qualità delle acque costiere è la Regione, che tramite l’Arpal ha il compito di monitorare l’ecosistema costiero. I custodi delle acque portuali sono numerosi e ben definiti dalla normativa, ma è certo che qualcuno non ha vigilato abbastanza, o non si è mosso con zelo sufficiente: la marea nera con tanto di spazzatura galleggiante è ancora un mistero senza spiegazione e dipinge un’immagine decadente, che stride con la definizione di Liguria come “regina delle bandiere blu”.
(Eleana Marullo - foto dell'autrice)
(Eleana Marullo - foto dell'autrice)
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OLI 349: CITTA’ – Artrè chiude
A fronte dell’apertura nel centro storico genovese di nuove iniziative che scommettono sul futuro nell’ambito del Patto per lo sviluppo della Maddalena, altre attività chiudono i battenti.
È il caso di Artrè, la galleria d’arte contemporanea aperta nel 2004 in piazza delle Vigne da Bruna Solinas, architetto che affittò una piccola bottega con uno scantinato reso praticabile a sue spese, divenendo con passione e competenza un punto di riferimento per artisti giovani e meno giovani, più o meno affermati, offrendo loro la possibilità di esporre le proprie opere in una delle più belle piazze della città vecchia, abbandonata da tempo al degrado e che solo ultimamente sta ritrovando condizioni di vita accettabili. Ma molto resta ancora da fare, per completare quel recupero avviato nel 1994 con la costituzione dell’Associazione piazza delle Vigne fra abitanti e proprietari e il conseguente programma organico di intervento, in un’epoca in cui il degrado fisico e sociale era ai massimi livelli.(*)
Merita di essere ricordata la clamorosa protesta della compianta Enrica Percoco, che esasperata dall’insolente spaccio di stupefacenti che avveniva a tutte le ore davanti alla sua profumeria – nello stesso locale che sarebbe stato poi occupato da Artrè – intraprese nel luglio 1993 uno sciopero della fame che da un lato innescò una forte coesione tra i residenti, i quali a turno l’assistevano giorno e notte, seduta su una sdraio in piazza, e dall’altro ottenne alla fine lo stazionamento permanente di un’autovettura della polizia. Presidio indubbiamente utile, ma ben poco risolutivo se non si fosse poi giunti all’apertura di nuovi richiami per una frequentazione “sana” – come il caffè e il ristorante coi tavolini all’aperto, nonché la stessa galleria Artrè – e ai restauri delle facciate condotti dai proprietari, in parte favoriti da contributi e sgravi fiscali quando nel 2004 Genova fu capitale europea della cultura.
Ora però Bruna Solinas – determinata a riaprire e proseguire altrove – è stata costretta a chiudere alle Vigne, strozzata dall’esorbitante richiesta per il rinnovo del contratto di affitto, da 500 a 800 euro mensili, da parte di una famiglia che già utilizza da molti anni un proprio ex negozio nello stesso palazzo come autorimessa: una vetrina che potrebbe portare vitalità rimane sempre sbarrata, con tanto di cartello del passo carrabile, aprendosi solo per far entrare e uscire l’auto. Ora un’altra saracinesca s’è chiusa, chissà fino a quando.
È il libero mercato, Bellezza! e ben poco valgono i desideri e le buone intenzioni di tanti quando prevalgono le ragioni del profitto di pochi.
(*) Vedi Dalla parte degli abitanti. Il libro delle Vigne. Un progetto di riqualificazione urbana a Genova, a cura di Mariolina Besio, Umberto Allemandi & C., Torino, 1999.
(Ferdinando Bonora - foto dell'autore e da internet)
È il caso di Artrè, la galleria d’arte contemporanea aperta nel 2004 in piazza delle Vigne da Bruna Solinas, architetto che affittò una piccola bottega con uno scantinato reso praticabile a sue spese, divenendo con passione e competenza un punto di riferimento per artisti giovani e meno giovani, più o meno affermati, offrendo loro la possibilità di esporre le proprie opere in una delle più belle piazze della città vecchia, abbandonata da tempo al degrado e che solo ultimamente sta ritrovando condizioni di vita accettabili. Ma molto resta ancora da fare, per completare quel recupero avviato nel 1994 con la costituzione dell’Associazione piazza delle Vigne fra abitanti e proprietari e il conseguente programma organico di intervento, in un’epoca in cui il degrado fisico e sociale era ai massimi livelli.(*)
Merita di essere ricordata la clamorosa protesta della compianta Enrica Percoco, che esasperata dall’insolente spaccio di stupefacenti che avveniva a tutte le ore davanti alla sua profumeria – nello stesso locale che sarebbe stato poi occupato da Artrè – intraprese nel luglio 1993 uno sciopero della fame che da un lato innescò una forte coesione tra i residenti, i quali a turno l’assistevano giorno e notte, seduta su una sdraio in piazza, e dall’altro ottenne alla fine lo stazionamento permanente di un’autovettura della polizia. Presidio indubbiamente utile, ma ben poco risolutivo se non si fosse poi giunti all’apertura di nuovi richiami per una frequentazione “sana” – come il caffè e il ristorante coi tavolini all’aperto, nonché la stessa galleria Artrè – e ai restauri delle facciate condotti dai proprietari, in parte favoriti da contributi e sgravi fiscali quando nel 2004 Genova fu capitale europea della cultura.
Ora però Bruna Solinas – determinata a riaprire e proseguire altrove – è stata costretta a chiudere alle Vigne, strozzata dall’esorbitante richiesta per il rinnovo del contratto di affitto, da 500 a 800 euro mensili, da parte di una famiglia che già utilizza da molti anni un proprio ex negozio nello stesso palazzo come autorimessa: una vetrina che potrebbe portare vitalità rimane sempre sbarrata, con tanto di cartello del passo carrabile, aprendosi solo per far entrare e uscire l’auto. Ora un’altra saracinesca s’è chiusa, chissà fino a quando.
È il libero mercato, Bellezza! e ben poco valgono i desideri e le buone intenzioni di tanti quando prevalgono le ragioni del profitto di pochi.
(*) Vedi Dalla parte degli abitanti. Il libro delle Vigne. Un progetto di riqualificazione urbana a Genova, a cura di Mariolina Besio, Umberto Allemandi & C., Torino, 1999.
(Ferdinando Bonora - foto dell'autore e da internet)
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OLI 349: SOCIETA' - Freud e gli scontrini fiscali
Pomeriggio, due succhi di frutta in un bar di Via XX Settembre, pago 6 euro alla cassa, la signora mi consegna uno scontrino per un ammontare di 14 euro, replico: “questo scontrino non è mio”, lei, sul piano vicino alla cassa, cerca invano il mio tra una decina di scontrini un pò stropicciati, poi mi batte uno scontrino regolare da 6 euro. Bene, un errore.
Uscendo, su una colonna del bar vedo una grande scritta: “TRISTE ESEMPIO DI DISINFORMAZIONE?”, al di sotto la fotocopia di un articolo del Secolo XIX del 6 giugno, titolo: "Via Venti, caffè 'corretto all’Iva'", che denunciava la presenza negli scontrini del bar di una misteriosa voce “IVA 21%”. Nell'articolo i proprietari del locale replicavano che c'era stato un errore: si trattava del costo di un bicchiere d’acqua, battuto erroneamente sullo scontrino con una voce sbagliata. Il giorno successivo un nuovo articolo su Il Secolo XIX “E nel bar di Via Venti scompare l’Iva sul caffè”, rende conto della fine dell’errore, comunque a danno dei clienti.
Ma quanti errori ... Freud, forse, parlerebbe di "atti mancati".
(Ivo Ruello, foto dell'autore)
Uscendo, su una colonna del bar vedo una grande scritta: “TRISTE ESEMPIO DI DISINFORMAZIONE?”, al di sotto la fotocopia di un articolo del Secolo XIX del 6 giugno, titolo: "Via Venti, caffè 'corretto all’Iva'", che denunciava la presenza negli scontrini del bar di una misteriosa voce “IVA 21%”. Nell'articolo i proprietari del locale replicavano che c'era stato un errore: si trattava del costo di un bicchiere d’acqua, battuto erroneamente sullo scontrino con una voce sbagliata. Il giorno successivo un nuovo articolo su Il Secolo XIX “E nel bar di Via Venti scompare l’Iva sul caffè”, rende conto della fine dell’errore, comunque a danno dei clienti.
Ma quanti errori ... Freud, forse, parlerebbe di "atti mancati".
(Ivo Ruello, foto dell'autore)
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OLI 349: PAROLE DEGLI OCCHI - Uomini alla prova di Lilith
(Foto di Giovanna Profumo) |
In fotografia un istante delle prove poco prima dello spettacolo del 22 giugno.
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martedì 19 giugno 2012
OLI 348: SOMMARIO
CITTA' - Abbazia di S.Giuliano, un angolo d’illegalità (Bianca Vergati)
IMMIGRAZIONE - Una delega per Doria (Saleh Zaghloul)
CULTURA - Berio, femminismo in biblioteca (Eleana Marullo)
CITTA' - Faber homeless? (Ivo Ruello)
MEMORIA - Bicicletta partigiana (Giovanna Profumo)
CITTA' - La sfida: musica e cultura contro le slot machines (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Rapallizzazione (a cura di Giorgio Bargami)
IMMIGRAZIONE - Una delega per Doria (Saleh Zaghloul)
CULTURA - Berio, femminismo in biblioteca (Eleana Marullo)
CITTA' - Faber homeless? (Ivo Ruello)
MEMORIA - Bicicletta partigiana (Giovanna Profumo)
CITTA' - La sfida: musica e cultura contro le slot machines (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Rapallizzazione (a cura di Giorgio Bargami)
OLI 348: CITTA' - Abbazia di S.Giuliano, un angolo d’illegalità
Spicca nel tramonto il decoro a righe dell’abbazia di S.Giuliano, finalmente liberata almeno dalle transenne che la circondavano da anni, così da goderne la visuale intera, pur se i lavori sono fermi e incompleti. Il sagrato è abbandonato con macerie a vista e più degradato ancora appare l’accesso, un pezzo di strada dall’asfalto rabberciato e il piccolo piazzale ingombro di auto e motorini. Siamo sul Lungomare Lombardo, riqualificato dalla parte a levante con un camminamento di sanpietrini, che conduce all’unica spiaggia libera della promenade più preziosa della città, un biglietto da visita per chi percorre la passeggiata dalla Fiera a Boccadasse, su cui si affacciano manufatti silenziosamente allargati, sopraelevati, con aggiunte di piani terrazzati, scalette intricate: il tutto in mascherata illegalità, accanto all’antica chiesa, dove un tempo sposarsi era oltremodo chic.
Lungo la discesina verso monte spiccano un piccolo cubo in cemento serrato da una stonata saracinesca in alluminio, giardinetti fioriti dall’aria più campestre che marina, di sicuro niente che assomigli ad un’insolita nicchia di “borgo marinaro”.
Vedere il mare è un’impresa perché gli stabilimenti hanno eretto palizzate, manufatti scadenti: altro che “cannocchiale vista mare”, in barba alla Variante di salvaguardia di litorale del Levante del 2010, che prescriveva anche precise norme di “decoro di arredo urbano”.
Lungomare Lombardo è segnalata come “zona pedonale”.
Ci si ferma a guardare l’ingombro di veicoli, che quasi non permette il passaggio.
Ecco arrivare una signora a rimuovere le sbarre, che dovrebbero impedire l’accesso ai motorizzati, comincia ad inveire contro quel parcheggio selvaggio, dirigendosi verso una Smart: non è anziana, non ha il bastone, insomma non sembra bisognosa del parcheggio sotto casa mentre a pochi metri su corso Italia ci sono gli spazi autorizzati zona blu per residenti.
Sarà lei la titolare del passo carrabile con autorizzazione dal numero cancellato?
No, il permesso gliel’hanno dato i Beni Culturali e lei non lavora ai Beni Culturali, abita lì da tempo, indicando le casette all’interno del cortile dell’abbazia. Dunque sono abitazioni private le piccole costruzioni. Chi mai avrà dato il permesso di costruire nel perimetro di un edificio tutelato, di trasformare in residenze quelle che un tempo forse erano capanni per gli attrezzi, magari per la cura del giardino e dell’orto?
Probabilmente la Soprintendenza non ha avuto il tempo di verificare, fa fatica a distinguere tra sacro e profano, tra beni pubblici e interessi privati, tra precari abusivi e beni comuni.
Così l’abbazia aspetta il completamento dell’infinito restauro, le risorse con il contagocce.
Forse non è un caso perché avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Soprintendenza suddetta, ma i dipendenti hanno fermamente respinto l’ipotesi di trasferimento: troppo lontana dal centro, troppo scomoda rispetto a via Balbi per treni e bus. Forse la vista mare non è gradita, forse non sanno che qui passa l’autobus 31, poche fermate e capolinea alla stazione Brignole.
Intanto in Municipio il rappresentante della Lega si lamenta della mancata realizzazione del Lido, dove avrebbe dovuto trovare spazio “un asilo per nonni” e auspica che all’interno dell’abbazia possa trovare ospitalità un centro per anziani, ”come onere di ritorno sul quartiere”, già richiesto a suo tempo dal Municipio in cambio della cessione perpetua di un altro bene comune, il litorale.
(Bianca Vergati, foto da Internet)
Lungo la discesina verso monte spiccano un piccolo cubo in cemento serrato da una stonata saracinesca in alluminio, giardinetti fioriti dall’aria più campestre che marina, di sicuro niente che assomigli ad un’insolita nicchia di “borgo marinaro”.
Vedere il mare è un’impresa perché gli stabilimenti hanno eretto palizzate, manufatti scadenti: altro che “cannocchiale vista mare”, in barba alla Variante di salvaguardia di litorale del Levante del 2010, che prescriveva anche precise norme di “decoro di arredo urbano”.
Lungomare Lombardo è segnalata come “zona pedonale”.
Ci si ferma a guardare l’ingombro di veicoli, che quasi non permette il passaggio.
Ecco arrivare una signora a rimuovere le sbarre, che dovrebbero impedire l’accesso ai motorizzati, comincia ad inveire contro quel parcheggio selvaggio, dirigendosi verso una Smart: non è anziana, non ha il bastone, insomma non sembra bisognosa del parcheggio sotto casa mentre a pochi metri su corso Italia ci sono gli spazi autorizzati zona blu per residenti.
Sarà lei la titolare del passo carrabile con autorizzazione dal numero cancellato?
No, il permesso gliel’hanno dato i Beni Culturali e lei non lavora ai Beni Culturali, abita lì da tempo, indicando le casette all’interno del cortile dell’abbazia. Dunque sono abitazioni private le piccole costruzioni. Chi mai avrà dato il permesso di costruire nel perimetro di un edificio tutelato, di trasformare in residenze quelle che un tempo forse erano capanni per gli attrezzi, magari per la cura del giardino e dell’orto?
Probabilmente la Soprintendenza non ha avuto il tempo di verificare, fa fatica a distinguere tra sacro e profano, tra beni pubblici e interessi privati, tra precari abusivi e beni comuni.
Così l’abbazia aspetta il completamento dell’infinito restauro, le risorse con il contagocce.
Forse non è un caso perché avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Soprintendenza suddetta, ma i dipendenti hanno fermamente respinto l’ipotesi di trasferimento: troppo lontana dal centro, troppo scomoda rispetto a via Balbi per treni e bus. Forse la vista mare non è gradita, forse non sanno che qui passa l’autobus 31, poche fermate e capolinea alla stazione Brignole.
Intanto in Municipio il rappresentante della Lega si lamenta della mancata realizzazione del Lido, dove avrebbe dovuto trovare spazio “un asilo per nonni” e auspica che all’interno dell’abbazia possa trovare ospitalità un centro per anziani, ”come onere di ritorno sul quartiere”, già richiesto a suo tempo dal Municipio in cambio della cessione perpetua di un altro bene comune, il litorale.
(Bianca Vergati, foto da Internet)
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OLI 348: IMMIGRAZIONE - Una delega per Doria
Sono convinto che i genovesi abbiano scelto il sindaco giusto e mi trovo in sintonia con la maggiore parte delle prime scelte e mosse del nostro sindaco. Naturalmente egli potrebbe aver sbagliato qualche scelta ma, fosse vero, avrà tutto il tempo per aggiustare le cose.
Molto probabilmente non è stata azzeccata la scelta di dare la delega all’immigrazione ad un assessore che ne detiene altre importanti. Infatti, in continuità con la precedente giunta, la delega all’immigrazione è stata assegnata all’assessore alle politiche sociali. Le giunte Sansa e Pericu, che hanno lavorato bene sull’immigrazione, avevano un assessore con delega principale all’immigrazione. L’assessore era prima di tutto assessore all’immigrazione. Ciononostante, quelle esperienze avanzate avevano evidenziato un limite: da una parte sembrava che pensare e fare sull’immigrazione fosse compito soltanto dell’assessore all’immigrazione e dall’altra, quando questi si occupava di una questione riguardante i migranti di competenza di un altro assessorato, le cose non procedevano senza problemi. Perciò, per fare un salto di qualità nel governo dell’immigrazione, la scelta avrebbe dovuto essere, allora come oggi, attribuire la delega all’immigrazione al sindaco stesso, l’unico in grado di garantire che tutti gli assessori svolgano la parte di loro competenza riguardante i migranti (lavoro, casa, giovani, cultura, servizi sociali ecc.) e al contempo, un forte ed autorevole coordinamento tra i vari assessori.
Infatti, malgrado si fossero realizzate iniziative molto importanti per l’integrazione, il Comune di Genova non aveva, e non ha ancora, una chiara politica sull’immigrazione: è necessario essere schierati per una società solidale, aperta, accogliente ed antirazzista, ma non è sufficiente. Occorre un vero e proprio progetto politico, un piano di governo dell’immigrazione, per la precisione di governo dell’integrazione, con chiari obbiettivi da realizzare da qui a fine legislatura e chiare priorità sulle quali lavorare e su cui concentrare le poche risorse disponibili. Il problema abitativo, l’integrazione dei giovani migranti e figli dei migranti, la rimozione delle discriminazioni, in particolare nell'accesso ai diritti e ai servizi, e l’intercultura sono obbiettivi prioritari. Se il governo dell’integrazione è veramente importante per il futuro della nostra città, di tutta la città, occorre una vera e propria struttura comunale stabile e durevole che pensi, progetti e realizzi le politiche per l’integrazione. Una piccola struttura, ma dignitosa, con personale (e dirigente) qualificato, motivato ed interessato.
(Saleh Zaghloul - disegno di Guido Rosato)
Molto probabilmente non è stata azzeccata la scelta di dare la delega all’immigrazione ad un assessore che ne detiene altre importanti. Infatti, in continuità con la precedente giunta, la delega all’immigrazione è stata assegnata all’assessore alle politiche sociali. Le giunte Sansa e Pericu, che hanno lavorato bene sull’immigrazione, avevano un assessore con delega principale all’immigrazione. L’assessore era prima di tutto assessore all’immigrazione. Ciononostante, quelle esperienze avanzate avevano evidenziato un limite: da una parte sembrava che pensare e fare sull’immigrazione fosse compito soltanto dell’assessore all’immigrazione e dall’altra, quando questi si occupava di una questione riguardante i migranti di competenza di un altro assessorato, le cose non procedevano senza problemi. Perciò, per fare un salto di qualità nel governo dell’immigrazione, la scelta avrebbe dovuto essere, allora come oggi, attribuire la delega all’immigrazione al sindaco stesso, l’unico in grado di garantire che tutti gli assessori svolgano la parte di loro competenza riguardante i migranti (lavoro, casa, giovani, cultura, servizi sociali ecc.) e al contempo, un forte ed autorevole coordinamento tra i vari assessori.
Infatti, malgrado si fossero realizzate iniziative molto importanti per l’integrazione, il Comune di Genova non aveva, e non ha ancora, una chiara politica sull’immigrazione: è necessario essere schierati per una società solidale, aperta, accogliente ed antirazzista, ma non è sufficiente. Occorre un vero e proprio progetto politico, un piano di governo dell’immigrazione, per la precisione di governo dell’integrazione, con chiari obbiettivi da realizzare da qui a fine legislatura e chiare priorità sulle quali lavorare e su cui concentrare le poche risorse disponibili. Il problema abitativo, l’integrazione dei giovani migranti e figli dei migranti, la rimozione delle discriminazioni, in particolare nell'accesso ai diritti e ai servizi, e l’intercultura sono obbiettivi prioritari. Se il governo dell’integrazione è veramente importante per il futuro della nostra città, di tutta la città, occorre una vera e propria struttura comunale stabile e durevole che pensi, progetti e realizzi le politiche per l’integrazione. Una piccola struttura, ma dignitosa, con personale (e dirigente) qualificato, motivato ed interessato.
(Saleh Zaghloul - disegno di Guido Rosato)
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OLI 348: CULTURA - Berio, femminismo in biblioteca
Alla Berio, il 13 giugno, è stata presentata la nascita di una biblioteca femminista, che ha avuto origine dalla donazione dei “Libri di quegli anni” da parte del gruppo Generazioni di donne ad Archimovi. “Quegli anni” è un’espressione sinteticamente efficace per indicare gli anni dal 1975 ai primi anni ’80, periodo in cui nacque il “Coordinamento donne” nelle fabbriche e nel sindacato e maturarono le esperienze delle 150 ore. Le esperienze che seguirono fecero nascere incontri e relazioni tra donne che agirono insieme, perseguendo ideali comuni all’interno del rapporto donne-lavoro, donne-politica. A distanza di qualche decennio, i documenti prodotti sono stati recuperati e resi fruibili attraverso il recupero dell’Archivio Donne FLM, mentre il riallacciarsi di contatti ha prodotto la nascita del gruppo Generazioni di Donne: proprio in questo ambito, di riflessione e contatto tra donne di età e percorsi differenti, è maturata l’esigenza di raccogliere e rendere disponibili le letture che avevano contraddistinto, ma anche anticipato, preparato e seguito “quegli anni”; il periodo di tempo toccato dalle pubblicazioni quindi, in alcuni casi si dilata fino a toccare gli inizi del 2000, in altri affonda le radici alla metà del Novecento.
I libri donati sono circa trecento (l'elenco è disponibile sul sito di Generazioni di donne), testimonianza di percorsi collettivi ma anche individuali. I temi toccati vanno dal rapporto donna e lavoro, alle lotte nelle fabbriche e nel sindacato, alla sessualità, alla devianza, ai diari di donne, ad approfondimenti in campi specialistici, come la psicoanalisi, la storia, il diritto. Alcuni libri vengono citati più volte dalle relatrici invitate a presentare la nascita della biblioteca (Livia Botta di Generazioni di donne, Ferdinanda Vigliani di Pensiero Femminile, Paola De Ferrari di Archimovi): titoli come “L’acqua in gabbia” o “Noi e il nostro corpo” oppure “Sputare su Hegel” o autrici come Muraro e Irigaray ritornano spesso, puntellando come capisaldi la struttura della biblioteca che poi si diversifica, fino a trattare argomenti come la storia della caccia alle streghe, lo yoga o la condizione della donna nell’Islam. I libri hanno quindi lasciato scaffali e cantine per confluire alla sede di Archimovi, nella biblioteca Berio, a disposizione di chi vorrà consultarli, rileggerli o rifletterci su, ma anche per creare uno spazio di riflessione e di pensiero che prima non c’era: dal personale al politico, anche oggi, come “in quegli anni”.
(Eleana Marullo, foto di Ivo Ruello)
I libri donati sono circa trecento (l'elenco è disponibile sul sito di Generazioni di donne), testimonianza di percorsi collettivi ma anche individuali. I temi toccati vanno dal rapporto donna e lavoro, alle lotte nelle fabbriche e nel sindacato, alla sessualità, alla devianza, ai diari di donne, ad approfondimenti in campi specialistici, come la psicoanalisi, la storia, il diritto. Alcuni libri vengono citati più volte dalle relatrici invitate a presentare la nascita della biblioteca (Livia Botta di Generazioni di donne, Ferdinanda Vigliani di Pensiero Femminile, Paola De Ferrari di Archimovi): titoli come “L’acqua in gabbia” o “Noi e il nostro corpo” oppure “Sputare su Hegel” o autrici come Muraro e Irigaray ritornano spesso, puntellando come capisaldi la struttura della biblioteca che poi si diversifica, fino a trattare argomenti come la storia della caccia alle streghe, lo yoga o la condizione della donna nell’Islam. I libri hanno quindi lasciato scaffali e cantine per confluire alla sede di Archimovi, nella biblioteca Berio, a disposizione di chi vorrà consultarli, rileggerli o rifletterci su, ma anche per creare uno spazio di riflessione e di pensiero che prima non c’era: dal personale al politico, anche oggi, come “in quegli anni”.
(Eleana Marullo, foto di Ivo Ruello)
OLI 348: CITTA' - Faber homeless?
In Oli 347 (*) Giovanna Profumo aveva commentato criticamente la “nuova casa” dei cantautori genovesi di Via del Campo 29 rosso.
Chi ha abbastanza anni ricorda le precedenti “case” di via del Campo, a partire dallo storico negozio di Mario Salvarani, contiguo a Porta dei Vacca, nei cui locali oggi si trova un’aula universitaria. Mario Salvarani, “un corpo da Hitchcock e una faccia un po’ come Totò”, come lo descriveva Gianni Tassio che lavorava con lui come commesso (**), vendeva dischi e strumenti musicali. Ricordo un negozio che, al sottoscritto allora quattordicenne, sembrava un po’ demodé, come una vecchia casa di campagna ingombra di mobili assortiti in maniera casuale: ma che fascino, tra quei vecchi banchi di legno consumato! Poi a Mario Salvarani seguì Gianni Tassio, il negozio fu ammodernato, in anni recenti si trasferì al 29 rosso, mantenendo comunque un carattere semplice, un po’ ruspante, che Gianni Tassio assicurava con la propria umanità e simpatia, offrendo al contempo un panorama completo sulla canzone d’autore locale. E questa è storia che non si ripete.
Giustamente Enzo Costa, nel suo commento all'articolo di OLI 347, rende merito alla giunta Vincenzi per aver evitato la chiusura definitiva del negozio di Tassio. Spiace però che tutto lo sforzo si sia risolto nel risultato poco esaltante che abbiamo sotto gli occhi: un luogo asettico, che non aiuta i visitatori ad entrare davvero in contatto né con la storia, né con la contemporaneità, della vita musicale genovese, e dove anche la chitarra “Esteve”, congelata nella sua teca di vetro, risulta incomprensibilmente estraniata e allontanata dal pubblico.Distrazione? Incompetenza? Carenza di capacità emotiva? In ogni caso un’occasione mancata. Sicuramente Faber, se fosse ancora tra noi, si aggirerebbe più volentieri nei vicoli circostanti, homeless tra le sue anime salve.
(*) http://www.olinews.info/2012/06/oli-347-citta-fabrizio-de-andre-in-un.html
(**) http://miziocontro.wordpress.com/2011/12/03/7-a-una-chitarra-al-cielo-un-negozio-in-posizione-strategica/
(Ivo Ruello - Foto dell'autore)
Chi ha abbastanza anni ricorda le precedenti “case” di via del Campo, a partire dallo storico negozio di Mario Salvarani, contiguo a Porta dei Vacca, nei cui locali oggi si trova un’aula universitaria. Mario Salvarani, “un corpo da Hitchcock e una faccia un po’ come Totò”, come lo descriveva Gianni Tassio che lavorava con lui come commesso (**), vendeva dischi e strumenti musicali. Ricordo un negozio che, al sottoscritto allora quattordicenne, sembrava un po’ demodé, come una vecchia casa di campagna ingombra di mobili assortiti in maniera casuale: ma che fascino, tra quei vecchi banchi di legno consumato! Poi a Mario Salvarani seguì Gianni Tassio, il negozio fu ammodernato, in anni recenti si trasferì al 29 rosso, mantenendo comunque un carattere semplice, un po’ ruspante, che Gianni Tassio assicurava con la propria umanità e simpatia, offrendo al contempo un panorama completo sulla canzone d’autore locale. E questa è storia che non si ripete.
Giustamente Enzo Costa, nel suo commento all'articolo di OLI 347, rende merito alla giunta Vincenzi per aver evitato la chiusura definitiva del negozio di Tassio. Spiace però che tutto lo sforzo si sia risolto nel risultato poco esaltante che abbiamo sotto gli occhi: un luogo asettico, che non aiuta i visitatori ad entrare davvero in contatto né con la storia, né con la contemporaneità, della vita musicale genovese, e dove anche la chitarra “Esteve”, congelata nella sua teca di vetro, risulta incomprensibilmente estraniata e allontanata dal pubblico.Distrazione? Incompetenza? Carenza di capacità emotiva? In ogni caso un’occasione mancata. Sicuramente Faber, se fosse ancora tra noi, si aggirerebbe più volentieri nei vicoli circostanti, homeless tra le sue anime salve.
(*) http://www.olinews.info/2012/06/oli-347-citta-fabrizio-de-andre-in-un.html
(**) http://miziocontro.wordpress.com/2011/12/03/7-a-una-chitarra-al-cielo-un-negozio-in-posizione-strategica/
(Ivo Ruello - Foto dell'autore)
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OLI 348: MEMORIA - Bicicletta partigiana
Di solito non trasmettono nulla. Ed è inevitabile perché i nomi – con data di nascita e morte – non restituiscono il senso più intimo della loro storia. Genericamente si sa che si tratta di giovani partigiani. Ma le targhe non ci parlano della loro vita, con le imboscate, le fughe, le amicizie e le riunioni politiche. Restituiscono il dato anagrafico, lapidario, appunto.
Che una guida ciclistica si ponga come traguardo l’unire la passione della “pedalata serena” con quella della “memoria” non è cosa da poco di questi tempi e in quest’Italia.
Lorenzo Torre con il suo libro ha ripercorso i passi di chi ha scelto, dopo il 1943, di battersi per la libertà. Bicicletta Partigiana (Joker edizioni) propone al lettore ciclista dodici itinerari corredati da accurate schede tecniche e informazioni storiche, con l’obbiettivo di ridare alla memoria il peso specifico che le spetta. Siamo nelle valli appenniniche comprese nel poligono che ha come estremi Genova, Varazze, Ovada e Tortona, Voghera, Bobbio e Sestri Levante, per entrare nella 6° Zona Operativa. Negli itinerari c’è modo di ricordare, tra gli altri, anche i partigiani sovietici che si unirono ai nostri, c’è la memoria degli eccidi – dalla Benedicta alla strage di Portofino – per pedalare alla Scoffera nel ricordo di Ramon, Quarto e Nato fucilati il 27 luglio 1944, che sono solo tre delle molte vite che emergono nella guida.
L’auspicio è che il lavoro di Lorenzo Torre trovi diffusione, oltre che tra i ciclisti, anche tra gli amanti della Liguria e della sua storia.
(Giovanna Profumo)
Che una guida ciclistica si ponga come traguardo l’unire la passione della “pedalata serena” con quella della “memoria” non è cosa da poco di questi tempi e in quest’Italia.
Lorenzo Torre con il suo libro ha ripercorso i passi di chi ha scelto, dopo il 1943, di battersi per la libertà. Bicicletta Partigiana (Joker edizioni) propone al lettore ciclista dodici itinerari corredati da accurate schede tecniche e informazioni storiche, con l’obbiettivo di ridare alla memoria il peso specifico che le spetta. Siamo nelle valli appenniniche comprese nel poligono che ha come estremi Genova, Varazze, Ovada e Tortona, Voghera, Bobbio e Sestri Levante, per entrare nella 6° Zona Operativa. Negli itinerari c’è modo di ricordare, tra gli altri, anche i partigiani sovietici che si unirono ai nostri, c’è la memoria degli eccidi – dalla Benedicta alla strage di Portofino – per pedalare alla Scoffera nel ricordo di Ramon, Quarto e Nato fucilati il 27 luglio 1944, che sono solo tre delle molte vite che emergono nella guida.
L’auspicio è che il lavoro di Lorenzo Torre trovi diffusione, oltre che tra i ciclisti, anche tra gli amanti della Liguria e della sua storia.
(Giovanna Profumo)
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OLI 348: CITTA' - La sfida: musica e cultura contro le slot machines
Domenica sera, passando davanti al bar Continental, angolo tra S. Lorenzo e Via Cavour, si poteva vedere l'insolito spettacolo di avventori al bancone o seduti ai tavoli che, mentre bevevano gli aperitivi, assistevano ad una rappresentazione teatrale costruita su testi di Edgar Lee Masters ed Italo Calvino, messa in scena all'interno del bar da una compagnia amatoriale.
Solo pochi mesi fa, invece, dalle vetrine si potevano vedere solo clienti ossessivamente impegnati alle slot machines, e l’atmosfera del posto risultava parecchio scoraggiante.
Un cambiamento sensibile e coraggioso in anni come questi, in cui le slots hanno invaso i bar, e dove si assiste al proliferare delle sale gioco.
Al termine dello spettacolo parliamo con Dominic, il nuovo e giovane gestore, di questo cambiamento, visibile anche nella estetica del locale, che l’arte e la disponibilità di un amico hanno decorato con le grandi figure del rock e del jazz: Jimi Hendriks, John Lennon, Janet Joplin, Satchmo. Gli chiediamo come sta andando.
Ci risponde che è una scommessa molto, molto difficile. Infatti, con un affitto di 3600 € al mese (Iva inclusa), a cui aggiungere le spese per utenze e personale, non è facile rinunciare al guadagno delle slots, e puntare ad un radicale cambiamento della clientela.
Tanto per dare un’idea, su La Repubblica del 1 marzo, Corrado Zunino nel suo articolo “L’azzardo è come il fumo. Basta agli spot sui giochi” parla di una rinuncia, in media, di 20.000 € all’anno per i gestori che vogliano espellere le macchinette.
Inoltre lo sforzo di qualificare un locale con attività musicali e culturali si scontra col fatto che - come ci dice Dominic - queste serate sono, quasi senza eccezione, in perdita.
Girando tra i blog troviamo un coro di conferma alle sue parole: chi ha un locale il più delle volte con la musica dal vivo ci rimette, e chi suona ci guadagna un’elemosina.
Gli unici a godere, a quanto pare, sono l’Enpals (l’Ente di previdenza per i lavoratori dello spettacolo) che prevede un’aliquota contributiva del 33% (!) a serata per ogni artista anche se già assicurato Inps e suona gratis, e comunque con un onere minimo di 15€, e la Siae, il cui sito informa che la tariffa dovuta è pari al 10% dell’incasso lordo, con un minimale di 94€ per un locale con meno di 100 posti.
Certamente le vecchie facce che non si fanno più vedere, e quelle nuove che ora frequentano il locale sono una soddisfazione e una gioia, e dimostrano che la scommessa era giusta, ma praticare questa strada di rinascita richiede un entusiasmo che sfiora la temerarietà.
Senza modifiche legislative che riducano le rendite di posizione, la battaglia di chi prova a combattere l’azzardo puntando su musica e cultura è troppo solitaria e rischiosa.
(Paola Pierantoni - Foto di Giovanna Profumo)
Solo pochi mesi fa, invece, dalle vetrine si potevano vedere solo clienti ossessivamente impegnati alle slot machines, e l’atmosfera del posto risultava parecchio scoraggiante.
Un cambiamento sensibile e coraggioso in anni come questi, in cui le slots hanno invaso i bar, e dove si assiste al proliferare delle sale gioco.
Al termine dello spettacolo parliamo con Dominic, il nuovo e giovane gestore, di questo cambiamento, visibile anche nella estetica del locale, che l’arte e la disponibilità di un amico hanno decorato con le grandi figure del rock e del jazz: Jimi Hendriks, John Lennon, Janet Joplin, Satchmo. Gli chiediamo come sta andando.
Ci risponde che è una scommessa molto, molto difficile. Infatti, con un affitto di 3600 € al mese (Iva inclusa), a cui aggiungere le spese per utenze e personale, non è facile rinunciare al guadagno delle slots, e puntare ad un radicale cambiamento della clientela.
Tanto per dare un’idea, su La Repubblica del 1 marzo, Corrado Zunino nel suo articolo “L’azzardo è come il fumo. Basta agli spot sui giochi” parla di una rinuncia, in media, di 20.000 € all’anno per i gestori che vogliano espellere le macchinette.
Inoltre lo sforzo di qualificare un locale con attività musicali e culturali si scontra col fatto che - come ci dice Dominic - queste serate sono, quasi senza eccezione, in perdita.
Girando tra i blog troviamo un coro di conferma alle sue parole: chi ha un locale il più delle volte con la musica dal vivo ci rimette, e chi suona ci guadagna un’elemosina.
Gli unici a godere, a quanto pare, sono l’Enpals (l’Ente di previdenza per i lavoratori dello spettacolo) che prevede un’aliquota contributiva del 33% (!) a serata per ogni artista anche se già assicurato Inps e suona gratis, e comunque con un onere minimo di 15€, e la Siae, il cui sito informa che la tariffa dovuta è pari al 10% dell’incasso lordo, con un minimale di 94€ per un locale con meno di 100 posti.
Certamente le vecchie facce che non si fanno più vedere, e quelle nuove che ora frequentano il locale sono una soddisfazione e una gioia, e dimostrano che la scommessa era giusta, ma praticare questa strada di rinascita richiede un entusiasmo che sfiora la temerarietà.
Senza modifiche legislative che riducano le rendite di posizione, la battaglia di chi prova a combattere l’azzardo puntando su musica e cultura è troppo solitaria e rischiosa.
(Paola Pierantoni - Foto di Giovanna Profumo)
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martedì 12 giugno 2012
OLI 347: SOMMARIO
POLITICA – Guerello bacia l’anello (Ferdinando Bonora)
PORTO ANTICO E DUCALE - 1992/2012, il lato oscuro di un anniversario (Paola Pierantoni)
CITTA' - Fabrizio De André in un memory shop (Giovanna Profumo)
CITTA’ – Lovingenova (Ferdinando Bonora)
CULTURA - Lo spiazzamento (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Grecia al voto (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Anche la malattia discrimina (Paola Repetto)
PORTO ANTICO E DUCALE - 1992/2012, il lato oscuro di un anniversario (Paola Pierantoni)
CITTA' - Fabrizio De André in un memory shop (Giovanna Profumo)
CITTA’ – Lovingenova (Ferdinando Bonora)
CULTURA - Lo spiazzamento (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Grecia al voto (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Anche la malattia discrimina (Paola Repetto)
OLI 347: POLITICA – Guerello bacia l’anello
Bene ha fatto Marco Doria, neo sindaco di Genova, a non presenziare sabato scorso alla processione del Corpus Domini e, la domenica precedente, al pellegrinaggio del Mondo del Lavoro al Santuario della Guardia, riti cristiani cattolici.
Meno bene ha fatto Giorgio Guerello, presidente del Consiglio comunale delegato a rappresentare l’intera Città, con tanto di fascia tricolore, a salutare l’arcivescovo baciandogli l’anello.
Male hanno fatto alcuni sindacalisti e diversi operai di Finmeccanica, Fincantieri, Piaggio e Ilva partecipanti alla processione a rammaricarsi per l’assenza del sindaco alle due manifestazioni e a criticarlo, tirando addirittura in ballo l’“educazione istituzionale”.
Si continua ad avvertire una grande confusione circa i diversi livelli e àmbiti, civili e religiosi, troppo spesso impropriamente mescolati. Sarebbe opportuno riflettere e giungere a una maggiore chiarezza, nell’interesse generale.
Processioni e pellegrinaggi sono manifestazioni di fede, che tutti sono tenuti a rispettare, ma alle quali è giusto che partecipino senza esibizionismi solo coloro che condividono il sistema di valori e di verità della Chiesa romana, siano essi operai, figure pubbliche o altri, che in Italia, paese di millenaria presenza cattolica, sono la maggioranza – per convinzione o per consuetudine o per convenienza – ma non sono certo tutti. Sono molti infatti – da sempre e ora ancor di più, con l'arrivo di nuovi cittadini da altri parti del mondo – a credere altrimenti – aderendo ad altre confessioni religiose, o per agnosticismo o ateismo – convinti che quanto proposto dalla Chiesa non corrisponda al vero.
Diverso è il discorso riguardante un evento come la processione il 24 giugno per san Giovanni, da secoli patrono della città, nella quale questioni di fede si fondono con istanze di identità civica e nella quale tutti possono riconoscersi indipendentemente dalle scelte religiose.
Un civico amministratore, che in quanto tale rappresenta la totalità dei cittadini e dei loro differenti credi, non può nella sua veste pubblica fare ciò che sarebbe liberissimo di fare in privato, ossia con l'atto simbolico del bacio dell’anello riconoscere la superiore autorità del gerarca di una delle religioni professate sul territorio – sia pur radicata da tempo e numericamente preponderante – e ribadire di conseguenza la supremazia assoluta di tale religione, data per scontata quando non lo è affatto.
Tale gesto, che non è passato inosservato, ricorda precedenti illustri: dall’ormai remoto genuflettersi a papa Pacelli del presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi nel 1955, al più recente duplice bacio del primo ministro Silvio Berlusconi all’anello piscatorio di papa Ratzinger nel 2008. Ne scaturirono dibattiti comprensibilmente accesi.
Quanto all’attenzione che il cardinale manifesta per i gravi problemi che affliggono i lavoratori, ben venga! Però la concertazione tra Doria e Bagnasco per affrontare e tentare di risolvere le difficoltà della città non ha bisogno di plateali ostentazioni, ma si sviluppa in incontri privati già avvenuti e che verranno, come ha chiarito lo stesso sindaco nella replica alle critiche mossegli (vedi articolo di Raffaele Niri su la Repubblica, edizione di Genova, 11 giugno 2012, pag. IV).
(Ferdinando Bonora, foto di Fabio Bussalino per la Repubblica, Genova)
OLI 347: PORTO ANTICO E DUCALE - 1992/2012, il lato oscuro di un anniversario
Il 20 maggio, in giorni tormentati dalla bomba di Brindisi e dal terremoto, si sono celebrati, in forma minore, i venti anni del Porto Antico e del Ducale.
Ma il maggio del 1992, insieme a queste belle novità, aveva portato a Genova anche un fenomeno molto diffuso nel mondo, e poco piacevole: il repulisti della città da quel che poteva fare disordine, non essere in sintonia con la festa.
Ad esempio gli immigrati.
Ho tra le mani alcuni documenti che ricordano quel che avvenne: due articoli (“Le retate sulla pelle” sul Secolo XIX e “Vogliono renderci invisibili” su Il Lavoro del 12 maggio 1992), il testo della “lettera aperta” che in quei giorni scrissero alla città di Genova i rappresentanti delle comunità immigrate, e una nota molto preoccupata che le segreterie di Cgil, Cisl, Uil inviarono al Prefetto, al Questore e al Sindaco, in allora il socialdemocratico Romano Merlo.
Diceva il documento degli immigrati: “Le retate di Colombo, tempi duri per i neri: così titolavano i giornali genovesi di sabato 9 maggio 1992, in riferimento alle operazioni di controllo precolombiane da parte delle forze dell’ordine in corso in questi giorni nei confronti dei cittadini immigrati … in questi giorni nella città storica vengono controllati coloro che hanno la pelle nera, coloro che hanno un aspetto diverso. Vengono fermati i ‘neri’ ed accompagnati nelle caserme. Anzi, non solo i neri!! Si vuole che per un po’ di tempo diventino ‘invisibili’ tutti gli emarginati. Questo è un obiettivo diverso dal dare risposte alla sicurezza collettiva. E poi una città militarizzata è un po’ inquietante per tutti. … Noi viviamo il 1992 come un’occasione per riaffermare la necessità di costruire un mondo nuovo, multiculturale, città della convivenza pacifica e democratica tra diversi, ed è ciò che stiamo costruendo insieme ai cittadini genovesi che hanno una tradizione di solidarietà e di accoglienza”.
Gli anni 1992 e 1993 furono per Genova anni difficili, segnati da gravi episodi d’intolleranza verso gli immigrati. Ci ha salvato una rete di associazioni che è riuscita a stabilire un ponte tra gli immigrati che non sapevano niente di noi, e noi che non sapevano niente di loro, supplendo a quello che il pubblico non faceva, e incalzandolo a fare: informazione, insegnamento dell’italiano, assistenza nelle procedure burocratiche, assistenza sanitaria, iniziative culturali.
Nel 1989 si costituisce il Coordinamento delle associazioni degli immigrati extracomunitari, nel 1990 nascono gli Uffici Immigrati della Cgil, della Cisl e della Uil; nel 1992 si inaugura il Centro Servizi Integrato della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro e nel 1994 l’Ambulatorio internazionale di Città Aperta; negli stessi anni operano in città Auxilium Caritas, Città Aperta, Sant’Egidio, il Grappolo, l’Arci … realtà che operano singolarmente ma anche – quel che più conta – in continua relazione tra loro, e infatti nel 1995 si costituisce il Forum Antirazzista di Genova, che vivrà fino al 2001, quando gli venne tolta la parola dagli stessi sindacati che ne facevano parte, spaventati da quel che poteva avvenire nella Genova militarizzata del G8 (vedi Oli 310)
Per restituire alla città la sua storia gli anniversari vanno ricordati per intero.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
Ma il maggio del 1992, insieme a queste belle novità, aveva portato a Genova anche un fenomeno molto diffuso nel mondo, e poco piacevole: il repulisti della città da quel che poteva fare disordine, non essere in sintonia con la festa.
Ad esempio gli immigrati.
Ho tra le mani alcuni documenti che ricordano quel che avvenne: due articoli (“Le retate sulla pelle” sul Secolo XIX e “Vogliono renderci invisibili” su Il Lavoro del 12 maggio 1992), il testo della “lettera aperta” che in quei giorni scrissero alla città di Genova i rappresentanti delle comunità immigrate, e una nota molto preoccupata che le segreterie di Cgil, Cisl, Uil inviarono al Prefetto, al Questore e al Sindaco, in allora il socialdemocratico Romano Merlo.
Diceva il documento degli immigrati: “Le retate di Colombo, tempi duri per i neri: così titolavano i giornali genovesi di sabato 9 maggio 1992, in riferimento alle operazioni di controllo precolombiane da parte delle forze dell’ordine in corso in questi giorni nei confronti dei cittadini immigrati … in questi giorni nella città storica vengono controllati coloro che hanno la pelle nera, coloro che hanno un aspetto diverso. Vengono fermati i ‘neri’ ed accompagnati nelle caserme. Anzi, non solo i neri!! Si vuole che per un po’ di tempo diventino ‘invisibili’ tutti gli emarginati. Questo è un obiettivo diverso dal dare risposte alla sicurezza collettiva. E poi una città militarizzata è un po’ inquietante per tutti. … Noi viviamo il 1992 come un’occasione per riaffermare la necessità di costruire un mondo nuovo, multiculturale, città della convivenza pacifica e democratica tra diversi, ed è ciò che stiamo costruendo insieme ai cittadini genovesi che hanno una tradizione di solidarietà e di accoglienza”.
Gli anni 1992 e 1993 furono per Genova anni difficili, segnati da gravi episodi d’intolleranza verso gli immigrati. Ci ha salvato una rete di associazioni che è riuscita a stabilire un ponte tra gli immigrati che non sapevano niente di noi, e noi che non sapevano niente di loro, supplendo a quello che il pubblico non faceva, e incalzandolo a fare: informazione, insegnamento dell’italiano, assistenza nelle procedure burocratiche, assistenza sanitaria, iniziative culturali.
Nel 1989 si costituisce il Coordinamento delle associazioni degli immigrati extracomunitari, nel 1990 nascono gli Uffici Immigrati della Cgil, della Cisl e della Uil; nel 1992 si inaugura il Centro Servizi Integrato della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro e nel 1994 l’Ambulatorio internazionale di Città Aperta; negli stessi anni operano in città Auxilium Caritas, Città Aperta, Sant’Egidio, il Grappolo, l’Arci … realtà che operano singolarmente ma anche – quel che più conta – in continua relazione tra loro, e infatti nel 1995 si costituisce il Forum Antirazzista di Genova, che vivrà fino al 2001, quando gli venne tolta la parola dagli stessi sindacati che ne facevano parte, spaventati da quel che poteva avvenire nella Genova militarizzata del G8 (vedi Oli 310)
Per restituire alla città la sua storia gli anniversari vanno ricordati per intero.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
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OLI 347: CITTA' - Fabrizio De André in un memory shop
È possibile che la maggioranza delle persone ne sia rimasta entusiasta.
E che il flusso turistico nella zona abbia registrato un incremento mai visto.
E che sia assolutamente vero che quella - come declama il banner all’altezza di Porta dei Vacca - sia “la nuova casa dei cantautori genovesi”. Anche se altri hanno prodotto il certificato di residenza.
Tuttavia entrando nel negozio di via del Campo 29 rosso – piccola galleria con vetrine di oggetti, foto e ricordi che si apre in uno spazio adibito a memory shop – è lecito provare tristezza. E poiché la tristezza in De André è stata declinata in molte canzoni, concesso è immaginare la sua nel veder trasformato lo storico negozio di Gianni Tassio in tappa di partenza di un “pellegrinaggio laico” per migliaia di suoi fan. Privilegio di Faber è non toccare con mano, per provare la distaccata costernazione di chi non è più tra noi. A sostenere la trovata geniale il Gruppo Viziano e il Comune di Genova.
Adesso Fabrizio De André è “progetto”, parte di “itinerari certificati viadelcampo29rosso”, prodotto, anche Fondazione: l’esatto contrario di quello che cantava nelle sue canzoni. Non ci sarebbe da stupirsi nel vedere il suo nome associato ad una marca di olio, pesto o salsa di noci.
Viene in mente la Corazzata Potemkin di fantozziana memoria.
(Giovanna Profumo, foto di Ivo Ruello)
E che il flusso turistico nella zona abbia registrato un incremento mai visto.
E che sia assolutamente vero che quella - come declama il banner all’altezza di Porta dei Vacca - sia “la nuova casa dei cantautori genovesi”. Anche se altri hanno prodotto il certificato di residenza.
Tuttavia entrando nel negozio di via del Campo 29 rosso – piccola galleria con vetrine di oggetti, foto e ricordi che si apre in uno spazio adibito a memory shop – è lecito provare tristezza. E poiché la tristezza in De André è stata declinata in molte canzoni, concesso è immaginare la sua nel veder trasformato lo storico negozio di Gianni Tassio in tappa di partenza di un “pellegrinaggio laico” per migliaia di suoi fan. Privilegio di Faber è non toccare con mano, per provare la distaccata costernazione di chi non è più tra noi. A sostenere la trovata geniale il Gruppo Viziano e il Comune di Genova.
Adesso Fabrizio De André è “progetto”, parte di “itinerari certificati viadelcampo29rosso”, prodotto, anche Fondazione: l’esatto contrario di quello che cantava nelle sue canzoni. Non ci sarebbe da stupirsi nel vedere il suo nome associato ad una marca di olio, pesto o salsa di noci.
Viene in mente la Corazzata Potemkin di fantozziana memoria.
(Giovanna Profumo, foto di Ivo Ruello)
OLI 347: CITTA’ – Lovingenova
Da qualche giorno è stato caricato in rete, visibile quindi in tutto il mondo, il trailer (durata 7’27”) di un video lungo circa 18’, ideato da M&R Comunicazione, realizzato da Dennis Cabella e Marcello Ercole di Illusion e interpretato da Manuela Parodi e Riccardo Vianello (tutti genovesi), per conto dell’Ufficio Sviluppo e Promozione del Turismo del Comune di Genova.
Un ottimo prodotto fatto in casa, senza il provincialismo di dover per forza ricorrere a risorse esterne ritenute più valide, altamente professionale, che presenta una città splendida e desiderabile quale in effetti Genova è e soprattutto dovrebbe essere, finalmente sottratta a localistici compiacimenti ripiegati su se stessi e proiettata invece in una dimensione di metropoli internazionale di grande respiro nella quale è piacevole vivere.Un bel video, fin troppo bello: le accurate inquadrature, il montaggio serrato, il sottofondo musicale, l’uso sapiente di effetti speciali che concretizzano via via le parole-chiave del marchio Lovingenova (ancient, new, magic, true) e un diffuso elegante erotismo propongono un prodotto patinato e simpaticamente ruffiano che ci si augura possa stimolare arrivi da tutto il globo.
Ma quale città siamo realmente in grado di offrire ai forestieri? Non è una novità che Genova sia ancora largamente in preda a una diffusa sciatteria e sporcizia, sovente maleodorante di piscio e rumenta, ostica nei confronti di chi non appartiene al proprio ristretto giro, incapace di spalancarsi come dovrebbe. Aspetti negativi di cui sono innanzitutto responsabili i suoi abitanti, oltre che certi settori della pubblica amministrazione. Per fare un esempio tra i tanti possibili, basta confrontare il banco di informazioni all’aeroporto quale appare nel filmato, efficiente e ospitale, e la situazione da noi denunciata un paio di settimane fa. Per quanto riguarda poi l’accoglienza in negozi, ristoranti e altri servizi, qualcosa si è evoluto rispetto alle situazioni sbeffeggiate alcuni anni fa negli sketch comici di Balbontin, Casalino e Ceccon, col tormentone “la torta di riso è finita!”, e negli esilaranti ridoppiaggi di scene di film famosi curati da Fabrizio Casalino, ma molto resta ancora da fare.
(Ferdinando Bonora)
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OLI 347: CULTURA - Lo spiazzamento
Sono ad una riunione di Archimovi, Associazione per un archivio dei movimenti.
Si discutono alcune modifiche allo statuto e Francesca inizia la lettura degli articoli da modificare; soce e soci la ascoltano.
Come immaginate la doverosa attenzione ad utilizzare la doppia forma del maschile e del femminile appesantisce non poco il discorso, e Francesca, con naturalezza, dice: “sentite, è una noia mettere ogni volta sia il femminile che il maschile, leggiamo tutto al femminile, d’accordo?”. E così, con naturalezza, avviene.
Era la prima volta che mi accadeva! Posso dirvi di aver provato un’improvvisa botta di gioia e allegria?
Quando vi capita provateci.
(Paola Pierantoni)
Si discutono alcune modifiche allo statuto e Francesca inizia la lettura degli articoli da modificare; soce e soci la ascoltano.
Come immaginate la doverosa attenzione ad utilizzare la doppia forma del maschile e del femminile appesantisce non poco il discorso, e Francesca, con naturalezza, dice: “sentite, è una noia mettere ogni volta sia il femminile che il maschile, leggiamo tutto al femminile, d’accordo?”. E così, con naturalezza, avviene.
Era la prima volta che mi accadeva! Posso dirvi di aver provato un’improvvisa botta di gioia e allegria?
Quando vi capita provateci.
(Paola Pierantoni)
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OLI 347: PAROLE DEGLI OCCHI - Grecia al voto
OLI 347: LETTERE - Anche la malattia discrimina
Negli ultimi tempi, ammettiamolo, la mia salute non è stata un granchè: sono stata operata due volte in poco più di un mese, sempre con metodologie a bassa invasività ma, insomma, mi sono beccata due anestesie totali in meno di 40 giorni. La seconda operazione, in particolare, è stata abbastanza impegnativa e il decorso post operatorio alquanto doloroso. Sono stata dimessa due giorni dopo l’operazione e attualmente sono ospite a casa di mia madre, che, nonostante non sia più giovane e a sua volta piena di acciacchi, è ben contenta di potersi occupare di me, aiutata da mia sorella, un’infermiera ad alta professionalità che mi sorveglia con occhio d’aquila con la collaborazione di altri amici e parenti. Tutta l’organizzazione funziona anche perché, a parte un gatto viziato, non ho altre responsabilità familiari. Mi domando, però, cosa sarebbe successo se, appunto, non avessi potuto contare su una rete di relazioni personali così ricca. Mi domando come avrei potuto cavarmela se fossi stata anziana e sola, oppure se fossi stata una donna giovane con figli che dipendevano da me. Sarei riuscita a stare a riposo completo (che, lo garantisco, è necessario!) se le urgenze della vita familiare fossero state lì, sotto i miei occhi? Anche la malattia discrimina per genere: se una donna sta a casa, malata o sana che sia, ci si aspetta che comunque si prenda cura degli altri e sembra quasi innaturale che qualcuno si prenda cura di lei. Anche in questi casi si misura, dunque, come le donne paghino sempre il doppio per il peso del lavoro di cura che in larga misura sostengono: pagano in termini di maggiore fatica, ma anche di minore assistenza, perché, se, come giusto, l’ospedale deve essere il luogo degli interventi su malattie acute, allora è sulle famiglie e quindi sulle donne che ricade interamente il peso dell’assistenza post acuta. Accorciare i tempi di degenza, aumentare la produttività degli ospedali è senz’altro buona politica, ma fa male alle donne se non si accompagna al trasferimento di risorse sul territorio per organizzare una rete credibile di servizi rivolti alle fasi post acute della malattia. Guardare il mondo con occhi di donna vuol dire anche questo.
(Paola Repetto - Disegno di Guido Rosato)
(Paola Repetto - Disegno di Guido Rosato)
martedì 5 giugno 2012
OLI 346: SOMMARIO
COMUNE - Doria, Repetti, giunta: una telefonata cambia la vita (Giovanna Profumo)
COMUNE - Assessori: il curriculum non basta (Paola Pierantoni)
CITTA' - Gli illuminati costruttori genovesi (Bianca Vergati)
SOCIETA' - Il mercato dei fiori (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - L'altro sindaco (a cura di Giorgio Bergami)
COMUNE - Assessori: il curriculum non basta (Paola Pierantoni)
CITTA' - Gli illuminati costruttori genovesi (Bianca Vergati)
SOCIETA' - Il mercato dei fiori (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - L'altro sindaco (a cura di Giorgio Bergami)
OLI 346: COMUNE - Doria, Repetti, giunta: una telefonata cambia la vita
Qualcuno osserva: “Ma perché non l’ha chiamato? Insomma vede il suo nome sui giornali per un mese e non gli dà un colpo di telefono? Ma non ha senso! Bastava che lo chiamasse!”
Però, no. Dalla lettura di giornali pare non funzioni così la politica locale. Sembra invece caratterizzata da molti sussurri. Così è successo quando Burlando non parlava con Vincenzi e quando Vincenzi non veniva invitata a cena da Bersani e per quella passata alla storia come la cena dei bolliti, in cui si era parlato molto di sanità in assenza dell’assessore competente, Claudio Montaldo.
Una politica in cui gli interessati anche se diretti, non si parlano direttamente e si affidano a “amici” comuni o personalità della vita pubblica per comunicare. La stampa asseconda questo sistema, agendo da portavoce, mescolando tempi istituzionali e gossip politico. Così da parer fuori dal mondo anche a me, lettrice, che il direttore del Teatro Stabile Carlo Repetti potesse chiamare Doria.
Certo di cariche da vicesindaco non si può parlare al telefono, ma forse ha ragione chi suggerisce che un incontro vis a vis potevano concederselo.
Il piatto più amaro è riservato ai lettori di Repubblica, edizione genovese, il 2 e 3 giugno con l’intervista a Carlo Repetti e la relativa risposta di Marco Doria .
Il primo che - pur ammettendo di non aver “mai parlato” con il nuovo sindaco - dichiara che forse la sua presenza come vicesindaco era “troppo ingombrante” per Doria, “per età, esperienza amministrativa” e schiettezza. E aggiunge che il suo nome “è stato usato come coperchio di una pentola a pressione, il tam tam sulla giunta”, chiedendosi perché Doria non abbia avuto la cortesia di chiamarlo per avvisarlo che non se ne faceva nulla.
Doria che risponde all’intervista riconoscendo che il nome di Repetti gli era stato fatto dal Pd, che “trova irriguardoso” che venga ipotizzato che franchezza ed autonomia siano ragioni che possano indurlo a “non avvalersi della collaborazione di persone valide e competenti”, che non ha bisogno di yes men o yes women e che a fronte di “un compito impegnativo” - quello di formare una giunta - ha compiuto autonomamente scelte in maniera meditata, senza chiamare tutti quelli che la stampa citava come possibili assessori.
Che il nuovo sindaco abbia agito in totale autonomia non ci sono dubbi. Giunta più nuova non ci poteva essere. Peccato che in squadra ci sia anche chi, “disgustato dall’attuale sistema politico”, non ha nemmeno votato ma esita a lasciare la propria occupazione per calarsi nel ruolo politico di assessore perché non può “stare fuori dal mercato per cinque anni”.
Peccato che Marco non abbia chiamato Carlo, e che Carlo non abbia chiamato Marco e che tutti i nomi che apparivano sui giornali non abbiano chiamato Marco perché, fedeli ai tempi istituzionali, aspettavano di essere chiamati.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice e di Ivo Ruello)
Però, no. Dalla lettura di giornali pare non funzioni così la politica locale. Sembra invece caratterizzata da molti sussurri. Così è successo quando Burlando non parlava con Vincenzi e quando Vincenzi non veniva invitata a cena da Bersani e per quella passata alla storia come la cena dei bolliti, in cui si era parlato molto di sanità in assenza dell’assessore competente, Claudio Montaldo.
Una politica in cui gli interessati anche se diretti, non si parlano direttamente e si affidano a “amici” comuni o personalità della vita pubblica per comunicare. La stampa asseconda questo sistema, agendo da portavoce, mescolando tempi istituzionali e gossip politico. Così da parer fuori dal mondo anche a me, lettrice, che il direttore del Teatro Stabile Carlo Repetti potesse chiamare Doria.
Certo di cariche da vicesindaco non si può parlare al telefono, ma forse ha ragione chi suggerisce che un incontro vis a vis potevano concederselo.
Il piatto più amaro è riservato ai lettori di Repubblica, edizione genovese, il 2 e 3 giugno con l’intervista a Carlo Repetti e la relativa risposta di Marco Doria .
Il primo che - pur ammettendo di non aver “mai parlato” con il nuovo sindaco - dichiara che forse la sua presenza come vicesindaco era “troppo ingombrante” per Doria, “per età, esperienza amministrativa” e schiettezza. E aggiunge che il suo nome “è stato usato come coperchio di una pentola a pressione, il tam tam sulla giunta”, chiedendosi perché Doria non abbia avuto la cortesia di chiamarlo per avvisarlo che non se ne faceva nulla.
Doria che risponde all’intervista riconoscendo che il nome di Repetti gli era stato fatto dal Pd, che “trova irriguardoso” che venga ipotizzato che franchezza ed autonomia siano ragioni che possano indurlo a “non avvalersi della collaborazione di persone valide e competenti”, che non ha bisogno di yes men o yes women e che a fronte di “un compito impegnativo” - quello di formare una giunta - ha compiuto autonomamente scelte in maniera meditata, senza chiamare tutti quelli che la stampa citava come possibili assessori.
Che il nuovo sindaco abbia agito in totale autonomia non ci sono dubbi. Giunta più nuova non ci poteva essere. Peccato che in squadra ci sia anche chi, “disgustato dall’attuale sistema politico”, non ha nemmeno votato ma esita a lasciare la propria occupazione per calarsi nel ruolo politico di assessore perché non può “stare fuori dal mercato per cinque anni”.
Peccato che Marco non abbia chiamato Carlo, e che Carlo non abbia chiamato Marco e che tutti i nomi che apparivano sui giornali non abbiano chiamato Marco perché, fedeli ai tempi istituzionali, aspettavano di essere chiamati.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice e di Ivo Ruello)
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OLI 346
OLI 346: COMUNE - Assessori: il curriculum non basta
Sono a una riunione con altre amiche, e il Secolo XIX del 4 giugno passa di mano in mano lasciandosi dietro una scia di cattivo umore. Il titolo dell’articolo sotto esame è: “Lanzone: Io part time? Potrei lasciare la giunta”, e dà conto di una intervista fortemente “rivendicativa” della nuova assessora, che suona come una sorta di contrattazione pubblica della sua collocazione politico - professionale. Magari è anche vero che l’attività che Lanzone prefigura “nelle retrovie della Asl3” possa essere compatibile col suo ruolo di assessore, anche se l’attività di amministratore mi pare così impegnativa e assorbente, talmente di elevata responsabilità, che fatico a pensarla se non svolta a tempo pieno, ma la definizione di questa evetuale compatibilità non dovrebbe avvenire sulle pagine della stampa.
L’intervista pone una questione di rilievo. Lanzone dice di aver inviato il suo curriculum a Doria, che poi “Mi ha telefonato domenica, chiedendomi se volevo fare parte della sua squadra. Ammetto che, all’inizio, sono rimasta un po’ spiazzata. Ma poi alla fine ho accettato”. Ora per le “assunzioni” i curriculum sono importanti, ma servono almeno altrettanto i colloqui faccia a faccia, in cui fare le domande che servono, guardarsi negli occhi, mettere in chiaro i punti spinosi, farsi – dall’una e dall’altra parte – un’idea ben chiara dello scambio che sta per compiersi, ed essere ben certi della condivisione del progetto politico. La sensazione è che nel caso di Lanzone, ed anche in quello di Oddone, per cui sono state necessarie forti pressioni pubbliche perché lasciasse Datasiel, qualche passaggio sia stato saltato.
(Paola Pierantoni - Foto di Giovanna Profumo)
L’intervista pone una questione di rilievo. Lanzone dice di aver inviato il suo curriculum a Doria, che poi “Mi ha telefonato domenica, chiedendomi se volevo fare parte della sua squadra. Ammetto che, all’inizio, sono rimasta un po’ spiazzata. Ma poi alla fine ho accettato”. Ora per le “assunzioni” i curriculum sono importanti, ma servono almeno altrettanto i colloqui faccia a faccia, in cui fare le domande che servono, guardarsi negli occhi, mettere in chiaro i punti spinosi, farsi – dall’una e dall’altra parte – un’idea ben chiara dello scambio che sta per compiersi, ed essere ben certi della condivisione del progetto politico. La sensazione è che nel caso di Lanzone, ed anche in quello di Oddone, per cui sono state necessarie forti pressioni pubbliche perché lasciasse Datasiel, qualche passaggio sia stato saltato.
(Paola Pierantoni - Foto di Giovanna Profumo)
OLI 346: CITTA' - Gli illuminati costruttori genovesi
Quando si dice:” Averne di questi imprenditori!”. Infatti a sentire la proposta del presidente di Assedil non si può che dargli ragione: “Le grandi opere sono lontane e invece bisognerebbe dedicarsi a tanti piccoli interventi nell’edilizia, a cominciare dalla ristrutturazione degli edifici scolastici così malandati”. Il costruttore pensa a salvare l’edilizia, parlando alla Festa del Muratore, invoca investimenti di relativa entità per non perdere posti di lavoro e dice la verità sulle nostre scuole, spesso in luoghi ed edifici inadeguati.
Vedi l’ex Nautico di piazza Palermo, chiuso da anni e patrimonio comunale, di cui si era previsto persino di farne un autopark e che potrebbe, se ristrutturato, divenire Polo scolastico della Foce, mentre la scuola media Doria del quartiere sta pagando l’affitto.
Dove trovare i soldi però? I Comuni sono in crisi di liquidità, è vero, ma si potrebbero ogni tanto utilizzare gli oneri di urbanizzazione, cioè quanto viene versato al Comune dal costruttore per edificare, per mettere a posto le scuole, invece di finire nella spesa corrente della gestione della macchina amministrativa. Come ad esempio i circa trecentomila euro di oneri per Villa Raggio, da pagare al Comune dilazionati in più anni, mentre gli appartamenti da duecento metri quadri ad ottomila euro al mq “in grezzo” sono già stati venduti e l’impresa in parte incassa prima.
Alla fin fine, come nel caso della media Doria, si risparmierebbero pure i soldi dell’affitto.
E di casi così ce ne sono sul territorio comunale.
I ragionamenti degli edili si fanno però più interessanti e interessati in occasione del convegno dell’Associazione culturale La Maona quando, prendendo spunto dai decreti Monti per rilanciare l’Italia, si discute di grandi opere. Così a partire dai Comuni, a seguire i porti, l’idea è che sia l’impresa a presentare il progetto (e fin qui nessuna novità) al Comune che, se lo valuterà positivamente, lo metterà in gara, ed è qui la novità: all’imprenditore proponente resterà il diritto di prelazione, mentre il progetto verrà inserito automaticamente nelle opere pubbliche.
Da sottolineare che l’inconsueto iter sarebbe al di fuori di normative nazionali ed europee.
Quali le opere pubbliche individuate dall'associazione costruttori?
Innanzi tutto lo scolmatore, opera da 400 milioni di euro in su, da farsi con “projet bond”, ovvero il Comune individua edifici di pari valore nel suo patrimonio immobiliare e propone di sottoscrivere dei bond che abbiano come garanzia quegli immobili: reggeranno le casse comunali?
E poi, udite, udite, ben altre cinque importanti opere pubbliche.
Ovvero, cinque megaparcheggi in centro città!
Parcheggi possibili, già individuati dalle precedenti Amministrazioni. Ancora? Sempre meno abitanti e più vecchi, tutti nonni sprint e pluriautomuniti.
Gli ineludibili park potrebbero essere sotto le stazioni Principe e Brignole: ma qui non c’è stata l’alluvione? Un altro potrebbe essere in piazza Santa Maria dei Servi, alla Foce, dove la biblioteca della Chiesa omonima posta nelle cantine, ha rischiato di finire sott’acqua. Si smantellerebbero poi i giardini delle Caravelle per far posto alle auto della polizia invece di fare una convenzione per le volanti con il park sotterraneo di piazza della Vittoria spesso vuoto, come quello di piazza Dante, dove anche qui si propone di farne un altro nuovo.
Così mentre si auspica un maggior uso dei mezzi pubblici, si propongono altri parcheggi in città, accentratori di traffico secondo i più aggiornati studi sulla viabilità, e non si fanno i park d’interscambio.
Illuminati i nostri costruttori genovesi, gran belle opere pubbliche.
(Bianca Vergati - disegno di Guido Rosato)
Vedi l’ex Nautico di piazza Palermo, chiuso da anni e patrimonio comunale, di cui si era previsto persino di farne un autopark e che potrebbe, se ristrutturato, divenire Polo scolastico della Foce, mentre la scuola media Doria del quartiere sta pagando l’affitto.
Dove trovare i soldi però? I Comuni sono in crisi di liquidità, è vero, ma si potrebbero ogni tanto utilizzare gli oneri di urbanizzazione, cioè quanto viene versato al Comune dal costruttore per edificare, per mettere a posto le scuole, invece di finire nella spesa corrente della gestione della macchina amministrativa. Come ad esempio i circa trecentomila euro di oneri per Villa Raggio, da pagare al Comune dilazionati in più anni, mentre gli appartamenti da duecento metri quadri ad ottomila euro al mq “in grezzo” sono già stati venduti e l’impresa in parte incassa prima.
Alla fin fine, come nel caso della media Doria, si risparmierebbero pure i soldi dell’affitto.
E di casi così ce ne sono sul territorio comunale.
I ragionamenti degli edili si fanno però più interessanti e interessati in occasione del convegno dell’Associazione culturale La Maona quando, prendendo spunto dai decreti Monti per rilanciare l’Italia, si discute di grandi opere. Così a partire dai Comuni, a seguire i porti, l’idea è che sia l’impresa a presentare il progetto (e fin qui nessuna novità) al Comune che, se lo valuterà positivamente, lo metterà in gara, ed è qui la novità: all’imprenditore proponente resterà il diritto di prelazione, mentre il progetto verrà inserito automaticamente nelle opere pubbliche.
Da sottolineare che l’inconsueto iter sarebbe al di fuori di normative nazionali ed europee.
Quali le opere pubbliche individuate dall'associazione costruttori?
Innanzi tutto lo scolmatore, opera da 400 milioni di euro in su, da farsi con “projet bond”, ovvero il Comune individua edifici di pari valore nel suo patrimonio immobiliare e propone di sottoscrivere dei bond che abbiano come garanzia quegli immobili: reggeranno le casse comunali?
E poi, udite, udite, ben altre cinque importanti opere pubbliche.
Ovvero, cinque megaparcheggi in centro città!
Parcheggi possibili, già individuati dalle precedenti Amministrazioni. Ancora? Sempre meno abitanti e più vecchi, tutti nonni sprint e pluriautomuniti.
Gli ineludibili park potrebbero essere sotto le stazioni Principe e Brignole: ma qui non c’è stata l’alluvione? Un altro potrebbe essere in piazza Santa Maria dei Servi, alla Foce, dove la biblioteca della Chiesa omonima posta nelle cantine, ha rischiato di finire sott’acqua. Si smantellerebbero poi i giardini delle Caravelle per far posto alle auto della polizia invece di fare una convenzione per le volanti con il park sotterraneo di piazza della Vittoria spesso vuoto, come quello di piazza Dante, dove anche qui si propone di farne un altro nuovo.
Così mentre si auspica un maggior uso dei mezzi pubblici, si propongono altri parcheggi in città, accentratori di traffico secondo i più aggiornati studi sulla viabilità, e non si fanno i park d’interscambio.
Illuminati i nostri costruttori genovesi, gran belle opere pubbliche.
(Bianca Vergati - disegno di Guido Rosato)
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OLI 346: SOCIETA' - Il mercato dei fiori
Scopro di vivere nell’epicentro di un importante commercio: nella zona del Ghetto, tra piazza del Campo e Vico Untoria, si concentra infatti il mercato dei fiori venduti dagli ambulanti. Me lo fa scoprire il “Settimo rapporto sull’immigrazione a Genova” a cura di Maurizio Ambrosini ed Andrea Torre, Ed. Il Melangolo – 2012.
Il libro è stato presentato a Genova lo scorso 25 maggio, ma non ne ha parlato nessuno, ad eccezione di Pro.no., agenzia di stampa della Provincia di Genova.
Grandissima sottovalutazione dei nostri mezzi di informazione, perché il rapporto ha un taglio particolarmente interessante: l’accurata analisi statistica e quantitativa del fenomeno migratorio è infatti funzionale ad una lettura del nostro territorio e delle sue prospettive, ed è accompagnata da una ricca bibliografia, e da due rapporti di ricerca, uno dei quali, a cura di Franca Lagomarsino e Andrea Torre, riguarda i venditori di fiori ambulanti marocchini, definiti “Visibilmente invisibili” in quanto “Sono estremamente visibili, molto più di altre figure di lavoratori immigrati, ma emarginati dal nostro sguardo” in quanto "oggetto di pregiudizi negativi (gli immigrati non fanno un lavoro regolare) che creano difficoltà dei contatti e imbarazzo". Il cliente, dice uno degli intervistati “ancora prima ti giudica come un povero, un povero totale, non solo di testa, povero di tutto. Però ce ne è tanti che hanno vissuto davvero la vita … loro ti capiscono al volo. Hanno un’altra mentalità, parlano come se parlassero a una persona normale … ne trovi il 20% che hanno vissuto la vita”.
Il rapporto infrange molte delle ovvietà con cui guardiamo a queste figure, e segnala trasformazioni importanti.
Una è stata il passaggio della vendita dai minori agli adulti, che si è compiuta intorno alla fine degli anni ’90, e che ha dietro di sé una storia di cui fu protagonista una rete formata da Comune, Forum Antirazzista, Direzione Scolastica Regionale, CRAS (Centro Risorse Alunni Stranieri), Tribunale dei minori, Questura.
Un’altra è stata quella della graduale regolarizzazione della attività: il responsabile del mercato dei fiori di San Remo parla di un avvenuto “processo di specializzazione, con acquisizione di partita Iva, acquisto in regola, maggiore attenzione alla qualità del fiore e alla modalità di vendita … confezionano un ‘prodotto finito’, tolgono le spine, lo confezionano, lo vendono agli ambulanti. Poi hanno ampliato le gamme di prodotto, non più solo la rosa: indice che si rivolgono ad acquirenti che sono piccoli chioschi. Qui comprano regolarmente, con emissione di fattura e tutto”. Ci sono forme di razzismo: “Ci tocca vendere ai marocchini” ma la realtà è che “i marocchini coprono ormai una nicchia di mercato”.
Alcuni grossisti comprano a San Remo, altri al mercato di Genova. Poi nella zona del Ghetto avviene l’acquisto del prodotto da parte degli ambulanti, anche loro ormai transitati nel territorio della regolarità e delle partite Iva: si tratta di anziani che lo fanno da tempo, o di giovani in attesa di altre occasioni. Un’attività “cuscinetto” che può rendere 70 euro nelle giornate buone, o scendere a zero in quelle cattive. Un lavoro dignitoso, che può prevedere una sua dinamica: la diversificazione del prodotto venduto e della clientela, acquisendo acquirenti fissi, piccoli chioschi, e magari il passaggio da ambulante a piccolo o medio grossista.
Per capire questa parte della nostra città, insistono i ricercatori, occorre però “mettere in discussione l’ottica miserabilista”.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
Il libro è stato presentato a Genova lo scorso 25 maggio, ma non ne ha parlato nessuno, ad eccezione di Pro.no., agenzia di stampa della Provincia di Genova.
Grandissima sottovalutazione dei nostri mezzi di informazione, perché il rapporto ha un taglio particolarmente interessante: l’accurata analisi statistica e quantitativa del fenomeno migratorio è infatti funzionale ad una lettura del nostro territorio e delle sue prospettive, ed è accompagnata da una ricca bibliografia, e da due rapporti di ricerca, uno dei quali, a cura di Franca Lagomarsino e Andrea Torre, riguarda i venditori di fiori ambulanti marocchini, definiti “Visibilmente invisibili” in quanto “Sono estremamente visibili, molto più di altre figure di lavoratori immigrati, ma emarginati dal nostro sguardo” in quanto "oggetto di pregiudizi negativi (gli immigrati non fanno un lavoro regolare) che creano difficoltà dei contatti e imbarazzo". Il cliente, dice uno degli intervistati “ancora prima ti giudica come un povero, un povero totale, non solo di testa, povero di tutto. Però ce ne è tanti che hanno vissuto davvero la vita … loro ti capiscono al volo. Hanno un’altra mentalità, parlano come se parlassero a una persona normale … ne trovi il 20% che hanno vissuto la vita”.
Il rapporto infrange molte delle ovvietà con cui guardiamo a queste figure, e segnala trasformazioni importanti.
Una è stata il passaggio della vendita dai minori agli adulti, che si è compiuta intorno alla fine degli anni ’90, e che ha dietro di sé una storia di cui fu protagonista una rete formata da Comune, Forum Antirazzista, Direzione Scolastica Regionale, CRAS (Centro Risorse Alunni Stranieri), Tribunale dei minori, Questura.
Un’altra è stata quella della graduale regolarizzazione della attività: il responsabile del mercato dei fiori di San Remo parla di un avvenuto “processo di specializzazione, con acquisizione di partita Iva, acquisto in regola, maggiore attenzione alla qualità del fiore e alla modalità di vendita … confezionano un ‘prodotto finito’, tolgono le spine, lo confezionano, lo vendono agli ambulanti. Poi hanno ampliato le gamme di prodotto, non più solo la rosa: indice che si rivolgono ad acquirenti che sono piccoli chioschi. Qui comprano regolarmente, con emissione di fattura e tutto”. Ci sono forme di razzismo: “Ci tocca vendere ai marocchini” ma la realtà è che “i marocchini coprono ormai una nicchia di mercato”.
Alcuni grossisti comprano a San Remo, altri al mercato di Genova. Poi nella zona del Ghetto avviene l’acquisto del prodotto da parte degli ambulanti, anche loro ormai transitati nel territorio della regolarità e delle partite Iva: si tratta di anziani che lo fanno da tempo, o di giovani in attesa di altre occasioni. Un’attività “cuscinetto” che può rendere 70 euro nelle giornate buone, o scendere a zero in quelle cattive. Un lavoro dignitoso, che può prevedere una sua dinamica: la diversificazione del prodotto venduto e della clientela, acquisendo acquirenti fissi, piccoli chioschi, e magari il passaggio da ambulante a piccolo o medio grossista.
Per capire questa parte della nostra città, insistono i ricercatori, occorre però “mettere in discussione l’ottica miserabilista”.
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
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