VERSANTE LIGURE - DALLE STELLE A MARIA STELLA? (Enzo Costa e Aglaja)
GENOVA - Fabrizio e le sue anime salve (Paola Pierantoni)
GRONDA - Un muro di trentotto quesiti (Stefano De Pietro)
MOVIMENTO 5 STELLE - Putti, human lab e i coccodrilli (Giovanna Profumo)
POLITICA - Arenzano: se candidassero un box? (Angelo Guarnieri)
GENOVA - Valletta Carbonara, i sogni dei residenti (Stefano De Pietro)
IMMIGRAZIONE - La promessa di Monti (Saleh Zaghloul)
CITTA' - Modern Art in Via del Campo (Paola Pierantoni)
GIUSTIZIA - Una buona notizia da Madrid (Angelo Guarnieri)
PAROLE DEGLI OCCHI - Mutazioni stradali (a cura di Giorgio Bergami)
martedì 28 febbraio 2012
OLI 333: VERSANTE LIGURE - DALLE STELLE A MARIA STELLA?
Non van più della luce
(scoperto si è) i neutrini
da ciò un dilemma atroce,
dai tragici confini:
o Einstein si compiace
o torna la Gelmini.
Versi di ENZO COSTA
Vignetta di AGLAJA
.
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OLI 333
OLI 333: GENOVA - Fabrizio e le sue anime salve
Il 25 febbraio festa in Via del Campo e dintorni per l’apertura del negozio–museo nato dove fino a qualche anno fa c’era lo storico e amato negozio di Gianni Tassio. Per tutto il pomeriggio concerti e poesia in ogni angolo.
In piazzetta dei Fregoso per due ore ha risuonato la musica di Fabrizio De Andrè.
Guardando i volti di chi c’era la sensazione è che De Andrè continui a raccogliere intorno a sé il popolo di cui parlano le sue canzoni, mischiato a tanti visitatori e passanti, accompagnati dai loro bambini.
Non potendo utilizzare le canzoni di Fabrizio, come sottofondo alle immagini abbiamo messo una canzone che appartiene ad una tradizione musicale lontana, la Rebètika, nata in Asia Minore, e giunta in Grecia nel 1922 quando due milioni di profughi espulsi dalla Turchia approdarono ad Atene e Salonicco, precipitando nella miseria e nella illegalità. L'uso della droga, in particolare dell'hashish, era diffuso. Vite al margine, ma anche piene di ironia, vitalità e amore. Un mondo molto vicino a quello cantato da De Andrè.
Le parole della canzone dicono:
Giannusena, Giannusena
dove eri che non ti si è vista?
Ero nascosta con i ragazzi, manghes! E ho acceso il fuoco.
Vieni, preparaci un caffè,
accendi il narghilè
e porta da fumare, che abbiamo voglia di stare allegri!
Porta l’hashish, di quello buono,
quello che ti fa girare la testa
e suona il baglamà, facci ascoltare della musica come si deve!
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
In piazzetta dei Fregoso per due ore ha risuonato la musica di Fabrizio De Andrè.
Guardando i volti di chi c’era la sensazione è che De Andrè continui a raccogliere intorno a sé il popolo di cui parlano le sue canzoni, mischiato a tanti visitatori e passanti, accompagnati dai loro bambini.
Non potendo utilizzare le canzoni di Fabrizio, come sottofondo alle immagini abbiamo messo una canzone che appartiene ad una tradizione musicale lontana, la Rebètika, nata in Asia Minore, e giunta in Grecia nel 1922 quando due milioni di profughi espulsi dalla Turchia approdarono ad Atene e Salonicco, precipitando nella miseria e nella illegalità. L'uso della droga, in particolare dell'hashish, era diffuso. Vite al margine, ma anche piene di ironia, vitalità e amore. Un mondo molto vicino a quello cantato da De Andrè.
Le parole della canzone dicono:
Giannusena, Giannusena
dove eri che non ti si è vista?
Ero nascosta con i ragazzi, manghes! E ho acceso il fuoco.
Vieni, preparaci un caffè,
accendi il narghilè
e porta da fumare, che abbiamo voglia di stare allegri!
Porta l’hashish, di quello buono,
quello che ti fa girare la testa
e suona il baglamà, facci ascoltare della musica come si deve!
(Paola Pierantoni - Foto dell'autrice)
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OLI 333: GRONDA - Un muro di trentotto quesiti
La vicenda della Gronda autostradale di ponente si arricchisce in questi giorni di un nuovo capitolo che lascia presagire un terremoto sul progetto dell’opera. Datata 27 gennaio, arrivata a Genova sul tavolo del sindaco il 3 febbraio, ma resa nota al pubblico solo il 23 febbraio, una lettera del Ministero dell’Ambiente boccia di fatto il progetto, ponendo ben 38 punti di incertezza, chiamiamola così, domande alle quali le parti interessate (regione, provincia, comune e società autostrade) dovranno rispondere entro pochi giorni, 45 a partire dalla data della lettera.
Nel documento del ministero si parla di mancanze gravi, specialmente della mancanza nello studio dell’opera della cosiddetta “opzione zero” (per dirla semplice se l’investimento vale la candela), fase completamente omessa dalla Società Autostrade e che adesso, con la sua mancanza a fronte di un progetto già definitivo, rappresenta una voragine nella corrispondenza formale dei requisiti di progettazione.
Di solito una serie così lunga di richieste di chiarimento viene prodotta a fronte di un progetto preliminare. I cui costi sono una frazione minima di quelli di una progettazione definitiva. La buona pratica vuole che per progettare un’opera si faccia prima un progetto “approssimativo”, corredato di una serie di dati per supportare il parere tecnico positivo e l’utilità dell’opera. A fronte della presentazione del progetto preliminare, il ministero fa quasi sempre delle osservazioni e delle prescrizioni, delle quali si tiene ovviamente conto nel progetto definitivo, che dettaglia in modo più puntuale l’opera stessa. Nella Gronda la fase “preliminare” è stata saltata, con gravi costi per la comunità, in quanto una bocciatura del progetto significherebbe uno spreco tra i 100 e i 150 milioni di euro (stimati dai comitati), cifra che sarebbe stata molto inferiore se fosse stata seguita la procedura corretta. Chi pagherebbe quindi questa somma? Facile a dirsi: noi.
Ci sono poi una lunga serie di mancanze nella prevenzione dei danni da amianto, per lo sversamento delle acque di lavaggio nei cantieri di trasformazione dello smarino della galleria finirebbe nei fiumi, nel calcolo dei flussi degli autoveicoli, nella scelta del tracciato, visto che intende connettere due punti passando per un largo arco invece che per la retta che li congiunge, allungando di molto la distanza da percorrere. Sull’amianto i due nogronda Paolo Putti e Mauro Muscarà, supportati da Mauro Solari, ingegnere chimico, rincarano la dose facendo notare che non esistono siti in Italia per lo stoccaggio delle scorie, che quindi non si capisce dove potrebbero essere messe le enormi quantità di questo materiale estremamente cancerogeno ricavato dalla galleria di 14 chilometri che si intende scavare.
Ci sono poi i problemi per le falde acquifere, se ne perderebbero a decine, tutto, a detta dei comitati, per costruire un’opera inutile rispetto ai reali problemi del traffico stradale genovese.
La conferenza stampa dei comitati no-gronda si è svolta a Genova sabato 25 febbraio 2012 presso lo studio dell’avvocato Granara , che sta guidando il ricorso al Tar. Il bello è che praticamente tutti i punti di richiesta del ministero ricalcano le perplessità già indicate dallo studio delle carte effettuato, principalmente, dall’ing. Roberto Campi, no gronda di datata esperienza, e affidate al Wwf che le ha poi presentate a Roma.
Affidiamo alla registrazione completa della conferenza stampa la documentazione delle ragioni dei no gronda e del ministero.
(Stefano De Pietro)
Nel documento del ministero si parla di mancanze gravi, specialmente della mancanza nello studio dell’opera della cosiddetta “opzione zero” (per dirla semplice se l’investimento vale la candela), fase completamente omessa dalla Società Autostrade e che adesso, con la sua mancanza a fronte di un progetto già definitivo, rappresenta una voragine nella corrispondenza formale dei requisiti di progettazione.
Di solito una serie così lunga di richieste di chiarimento viene prodotta a fronte di un progetto preliminare. I cui costi sono una frazione minima di quelli di una progettazione definitiva. La buona pratica vuole che per progettare un’opera si faccia prima un progetto “approssimativo”, corredato di una serie di dati per supportare il parere tecnico positivo e l’utilità dell’opera. A fronte della presentazione del progetto preliminare, il ministero fa quasi sempre delle osservazioni e delle prescrizioni, delle quali si tiene ovviamente conto nel progetto definitivo, che dettaglia in modo più puntuale l’opera stessa. Nella Gronda la fase “preliminare” è stata saltata, con gravi costi per la comunità, in quanto una bocciatura del progetto significherebbe uno spreco tra i 100 e i 150 milioni di euro (stimati dai comitati), cifra che sarebbe stata molto inferiore se fosse stata seguita la procedura corretta. Chi pagherebbe quindi questa somma? Facile a dirsi: noi.
Ci sono poi una lunga serie di mancanze nella prevenzione dei danni da amianto, per lo sversamento delle acque di lavaggio nei cantieri di trasformazione dello smarino della galleria finirebbe nei fiumi, nel calcolo dei flussi degli autoveicoli, nella scelta del tracciato, visto che intende connettere due punti passando per un largo arco invece che per la retta che li congiunge, allungando di molto la distanza da percorrere. Sull’amianto i due nogronda Paolo Putti e Mauro Muscarà, supportati da Mauro Solari, ingegnere chimico, rincarano la dose facendo notare che non esistono siti in Italia per lo stoccaggio delle scorie, che quindi non si capisce dove potrebbero essere messe le enormi quantità di questo materiale estremamente cancerogeno ricavato dalla galleria di 14 chilometri che si intende scavare.
Ci sono poi i problemi per le falde acquifere, se ne perderebbero a decine, tutto, a detta dei comitati, per costruire un’opera inutile rispetto ai reali problemi del traffico stradale genovese.
La conferenza stampa dei comitati no-gronda si è svolta a Genova sabato 25 febbraio 2012 presso lo studio dell’avvocato Granara , che sta guidando il ricorso al Tar. Il bello è che praticamente tutti i punti di richiesta del ministero ricalcano le perplessità già indicate dallo studio delle carte effettuato, principalmente, dall’ing. Roberto Campi, no gronda di datata esperienza, e affidate al Wwf che le ha poi presentate a Roma.
Affidiamo alla registrazione completa della conferenza stampa la documentazione delle ragioni dei no gronda e del ministero.
(Stefano De Pietro)
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OLI 333,
Stefano De Pietro
OLI 333: MOVIMENTO 5 STELLE - Putti, human lab e i coccodrilli
New Yorl stories - foto dal web |
Ricorda lontanamente la mamma di Woody Allen in New York stories che, trasformatasi in nuvola, incombe sul figlio, ossessionandolo dallo sky line della città.
Venerdì 24 febbraio alla conferenza stampa al punto di incontro del gruppo genovese il portavoce Paolo Putti non stringe più tra le mani un passamontagna, come nel settembre scorso. I mesi di campagna politica hanno forse influito a modificare il copione a beneficio di maggiore concretezza. I sostenitori del movimento ne hanno fatta parecchia di strada anche da quel padre minaccioso che, con una sola dichiarazione, può danneggiare il lavoro di molti.
Di Grillo non si parla. E nemmeno di grillismo.
In via dei Giustiniani, arteria sofferente del centro storico di Genova, Paolo Putti presenta lo human lab che vuole essere una “restituzione di umanità a un pensiero politico troppo legato ad una visione di tecnici come era quello di urban lab”. Il candidato parla dell’idea di isolamento trasmessa dalla “chiatta in mezzo al mare” dove “un gruppo di persone decidono le sorti urbanistiche della città”, distanti dal contatto con i cittadini, fisicamente separati anche da un ponte levatoio, “ci mancavano i coccodrilli nell’acqua marina…” commenta Putti. E abbraccia un altro modo di far politica, partendo dal desiderio di imparare, dalla consapevolezza (la stessa che ha animato Marco Doria ndr) di sapere di non sapere.
Dibattito con le persone, acquisizione di competenze, promozione della comunità, restituzione di cittadinanza, sono le parole chiave di questa fase della campagna politica che vede i promotori del movimento in campo nei quartieri per ascoltare la gente e i loro bisogni. E’ il tempo del territorio, dell’analisi dei problemi che in ogni parte della città hanno dimensioni diverse. E’ anche il riconoscimento del fatto che la politica deve fornire ai cittadini gli strumenti per essere criticata, per dare alle persone un valore alla partecipazione.
Si giudica con perplessità un Puc “in cui si parla di una città con almeno quarantamila nuove unità e svariate migliaia di nuovi posti di lavoro” e si ricorda la gronda.
Privo della rete di “accoglienza privilegiata” e della “forza dei partiti” – ha rinunciato a livello nazionale ad un milione e seicentomila euro di rimborsi elettorali - senza una sede fissa e strutture, il Movimento 5 stelle fa quello che può e quello che può è già molto, considerato che una giornalista segnala un possibile 7-8% di preferenze.
E’ la battaglia di Davide contro Golia, ammette Paolo Putti che va giocata fino in fondo per produrre il cambiamento, o vincendo le elezioni o in consiglio comunale. Di conti elettorali dice di non farne, ma la parola ballottaggio s’insinua come ipotesi non troppo amena.
E i partiti? Con loro nulla a che fare. Visti dall’info point del Movimento paiono come i coccodrilli evocati da Putti attorno alla chiatta di urban lab.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
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OLI 333: POLITICA - Arenzano: se candidassero un box?
Pavone ad Arenzano |
La notizia vera e rilevante per Arenzano, importante, popoloso e ricco paese della provincia di Genova, è che finora nella cittadina non è stata svolta alcuna iniziativa pubblica di carattere politico né locale, né globale. Né un manifesto, né un'assemblea, né una riunione in cui i cittadini potessero conoscere le intenzioni politiche e progettuali dei partiti, delle liste civiche, dei candidati sindaci. Silenzio assoluto, con buona pace di tutti i discorsi sulla trasparenza e sulla partecipazione come fondamenti di una buona democrazia. Il vento di Marco Doria si è fermato a Voltri. Ma forse proprio questo vento, che quando si libera crea sconquassi, causa il silenzio tombale che avvolge il dibattito politico nei luoghi pubblici. Da tredici anni Arenzano è retta da una maggioranza di centrosinistra centrata sul Partito Democratico in cui lo svilimento della democrazia è stato proporzionale alla cementificazione del territorio. Certo, ci sono molte decine di persone che si riuniscono nelle panchine, nelle cantine, nelle cucine, nei salotti, nelle sedi di partito e nei bar. Si sono già promesse tre o quattro liste civiche, divise da personalismi e particulari contrastanti, si riuniscono freneticamente gli iscritti di PD e SEL, sono apparso all'orizzonte svariati candidati sindaci che cambiano ogni settimana. Forse ci saranno le primarie il 18 Marzo. Forse, perché la decisione è ancora sottoposta alla valutazione di convenienza, al conteggio dei voti di questo e quell'altro, alle minacce di tessere da rinnovare o disdire.
In questa sitazione è difficile superare il sentimento di angoscia per lo stato della Democrazia in questa cittadina, che contrasta con l'autentico vento nuovo del percorso partecipativo intorno a Marco Doria. Forse sarebbe d'aiuto poter pensare di candidare a sindaco un box, dal momento che negli ultimi vent'anni i box probabilmente hanno superato il numero dei cittadini.
(Angelo Guarnieri - Foto di Paola Pierantoni)
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OLI 333: GENOVA - Valletta Carbonara, i sogni dei residenti
1656, il magistrato dei Padri del Comune commissiona a otto architetti la stesura di una pianta della città all'interno delle mura, la popolazione della città è pari a 92.999 abitanti, in seguito alla pestilenza è stata quasi dimezzata, iniziano i lavori di costruzione dell'Albergo dei Poveri (il nuovo lazzaretto), nella valletta di Carbonara, 12 ottobre: Giulio Sauli viene eletto doge. (da: www.alterhistory.altervista.org)
Valletta Carbonara resta un po' nascosta alla vista di chi passa distrattamente in circonvallazione a monte, si estende per circa venticinquemila metri quadrati dietro la costruzione dell'ex Albergo dei poveri, del quale costituisce la sorgente delle pietre che ne permisero la costruzione nel lontano 1600. Quell'opera fu per molti anni il fiore all'occhiello di Genova, che si preoccupava dei malati e dei suoi vecchi.
La valletta oggi è semi abbandonata, dopo che il Comune rifiutò di pagare un aumento dell'affitto all'Asp Brignole (il nome attuale dell'istituto), riducendo l'area di utilizzo come vivaio comunale. Proprio di queste parti della valletta si è parlato venerdi sera presso l'auditorium della Parrocchia di San Nicola, in una sala gremita di volontari di varie associazioni (tranne uno, come vedremo in seguito).
L'area della valletta sarebbe l'ideale per una speculazione edilizia che ha cercato di trasformarla prima in residenziale di livello signorile, poi in parcheggi, poi in servizi quali una piscina e un campo sportivo, poi in centri commerciali, poi in tutto questo insieme. Al momento, nel nuovo Puc (piano urbanistico comunale) appena approvato in Consiglio comunale e adesso nella fase di raccolta delle istanze di opposizione, rimane la destinazione a parcheggio, probabilmente per richiesta stessa del Brignole che, in passivo di quaranta milioni di euro, conta di far cassa sfruttando le potenzialità di servizi della zona. La zona è soggetta ad un vincolo archeologico dopo che nel 2009, "non si sa come", in una parte dell'area è spuntato un parcheggio, probabilmente destinato ai dipendenti dell'Azienda che si trova nel centro di una blu-area.
L'incontro di venerdi inizia con una introduzione di Bruno Siri, il patron dell'iniziativa "Comitato Le Serre", in via di trasformazione in Onlus per motivi burocratici di interfacciamento con le istituzioni e la dirigenza del Brignole. Siri racconta che l'intenzione del comitato è quello di chiedere al Brignole di cedere l'uso dell'area (non la proprietà) per dare inizio ad una serie di iniziative agricole e sociali nella zona, come produzione agricola e vivaistica di supporto ad un'agricoltura bio locale, orti urbani ad uso degli abitanti del quartiere, compostiere collettive, e ancora spazi sociali e ricreativi.
Chiamati a fare proposte sono stati Ornella Ricciardi (Amici dell'orto), Francesca e Giorgia (orti sinergici), Alberto Riccio (autoproduzione e filiera corta), Enzo Parisi (Amici dell'Orto botanico dell'Università di Genova, ospitato in una zona della stessa valletta). Inizia poi la fase delle domande e delle proposte del pubblico, che spaziano dalla conferma della destinazione agraria della zona, fino all'utilità dell'inserimento in quelle iniziative di malati di alzheimer. Una in particolare, posta dal sottoscritto, chiede a Siri di spiegare meglio la "questione Puc", perché un parcheggio, fosse anche sotterraneo, appare poco compatibile con i progetti in discussione. E' a questo punto che finalmente spunta in sala il "problema", fino ad allora decisamente trascurato dai relatori, che viene comunque affrontato da Bruno Siri in modo molto distensivo, come se la presenza di quel mostro di cemento sotterrato non interferisse minimamente con la ridicola contrapposizione della campagna pubblicitaria del Puc voluta da Marta Vincenzi ("Basta cemento in collina"). Nonostante il malumore del pubblico, che era in parte all'oscuro della cosa, si prosegue oltre.
A sconvolgere un po' l'andazzo positivista della serata spunta il "tranne uno" Aldo Siri, consigliere Regionale della Lista Biasotti, che dopo aver accusato gli abitanti della zona, in una sala zeppa di volontari di ogni tipo, di scarso senso sociale, fa notare come l'area sarà ben difficilmente messa a disposizione dal Brignole visto che, come detto all'inizio, l'azienda conta di sfruttarla per sanare il debito di bilancio. Ne nascono alcune domande. Bruno Siri riprende alla fine la parola per rispondere a tutti, rimandando le proposte delle varie attività ad una fase successiva per la mancanza di certezza al momento su quanta area sarà possibile ottenere dal Brignole.
Appare evidente che il progetto della Valletta Carbonara resta solidamente ancorato alla costruzione del parcheggio, senza il quale il Brignole non avrebbe alcun interesse a cedere l'area, anche perché essere in disavanzo significa avere dei creditori, i quali certamente non consentirebbero di approvare per la valletta un uso che non sia utile al loro interesse. Ci si dovrebbe a questo punto interrogare invece se non sia più utile chiedere quei soldi a chi ha svenduto il patrimonio del Brignole, stimato complessivamente in 40 milioni di euro di appartamenti, ad un valore molto inferiore a quello di mercato, andare a vedere a chi siano stati ceduti detti immobili e soprattutto a prendere atto di come l'attuale amministrazione non sia stata in grado di far invertire la direzione fallimentare dell'azienda. Che sia che, come per il Belgio, due o tre anni senza dirigenza possa fare solo bene a questo pezzo della storia e dell'economia genovese?
Link utili sul Brignole:
http://notimaz.blog.kataweb.it/2011/03/01/brignole-il-pio-albergo-di-genova/
http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/03/01/news/una_cittadella_dietro_l_albergo_dei_poveri_palestre_e_piscine_ma_anche_un_mare_di_box-13035176/
L'audio completo dell'incontro
(Stefano De Pietro)
La scheda della Valletta Carbonara nel Puc recentemente approvato |
La valletta oggi è semi abbandonata, dopo che il Comune rifiutò di pagare un aumento dell'affitto all'Asp Brignole (il nome attuale dell'istituto), riducendo l'area di utilizzo come vivaio comunale. Proprio di queste parti della valletta si è parlato venerdi sera presso l'auditorium della Parrocchia di San Nicola, in una sala gremita di volontari di varie associazioni (tranne uno, come vedremo in seguito).
L'area della valletta sarebbe l'ideale per una speculazione edilizia che ha cercato di trasformarla prima in residenziale di livello signorile, poi in parcheggi, poi in servizi quali una piscina e un campo sportivo, poi in centri commerciali, poi in tutto questo insieme. Al momento, nel nuovo Puc (piano urbanistico comunale) appena approvato in Consiglio comunale e adesso nella fase di raccolta delle istanze di opposizione, rimane la destinazione a parcheggio, probabilmente per richiesta stessa del Brignole che, in passivo di quaranta milioni di euro, conta di far cassa sfruttando le potenzialità di servizi della zona. La zona è soggetta ad un vincolo archeologico dopo che nel 2009, "non si sa come", in una parte dell'area è spuntato un parcheggio, probabilmente destinato ai dipendenti dell'Azienda che si trova nel centro di una blu-area.
L'incontro di venerdi inizia con una introduzione di Bruno Siri, il patron dell'iniziativa "Comitato Le Serre", in via di trasformazione in Onlus per motivi burocratici di interfacciamento con le istituzioni e la dirigenza del Brignole. Siri racconta che l'intenzione del comitato è quello di chiedere al Brignole di cedere l'uso dell'area (non la proprietà) per dare inizio ad una serie di iniziative agricole e sociali nella zona, come produzione agricola e vivaistica di supporto ad un'agricoltura bio locale, orti urbani ad uso degli abitanti del quartiere, compostiere collettive, e ancora spazi sociali e ricreativi.
Chiamati a fare proposte sono stati Ornella Ricciardi (Amici dell'orto), Francesca e Giorgia (orti sinergici), Alberto Riccio (autoproduzione e filiera corta), Enzo Parisi (Amici dell'Orto botanico dell'Università di Genova, ospitato in una zona della stessa valletta). Inizia poi la fase delle domande e delle proposte del pubblico, che spaziano dalla conferma della destinazione agraria della zona, fino all'utilità dell'inserimento in quelle iniziative di malati di alzheimer. Una in particolare, posta dal sottoscritto, chiede a Siri di spiegare meglio la "questione Puc", perché un parcheggio, fosse anche sotterraneo, appare poco compatibile con i progetti in discussione. E' a questo punto che finalmente spunta in sala il "problema", fino ad allora decisamente trascurato dai relatori, che viene comunque affrontato da Bruno Siri in modo molto distensivo, come se la presenza di quel mostro di cemento sotterrato non interferisse minimamente con la ridicola contrapposizione della campagna pubblicitaria del Puc voluta da Marta Vincenzi ("Basta cemento in collina"). Nonostante il malumore del pubblico, che era in parte all'oscuro della cosa, si prosegue oltre.
A sconvolgere un po' l'andazzo positivista della serata spunta il "tranne uno" Aldo Siri, consigliere Regionale della Lista Biasotti, che dopo aver accusato gli abitanti della zona, in una sala zeppa di volontari di ogni tipo, di scarso senso sociale, fa notare come l'area sarà ben difficilmente messa a disposizione dal Brignole visto che, come detto all'inizio, l'azienda conta di sfruttarla per sanare il debito di bilancio. Ne nascono alcune domande. Bruno Siri riprende alla fine la parola per rispondere a tutti, rimandando le proposte delle varie attività ad una fase successiva per la mancanza di certezza al momento su quanta area sarà possibile ottenere dal Brignole.
Appare evidente che il progetto della Valletta Carbonara resta solidamente ancorato alla costruzione del parcheggio, senza il quale il Brignole non avrebbe alcun interesse a cedere l'area, anche perché essere in disavanzo significa avere dei creditori, i quali certamente non consentirebbero di approvare per la valletta un uso che non sia utile al loro interesse. Ci si dovrebbe a questo punto interrogare invece se non sia più utile chiedere quei soldi a chi ha svenduto il patrimonio del Brignole, stimato complessivamente in 40 milioni di euro di appartamenti, ad un valore molto inferiore a quello di mercato, andare a vedere a chi siano stati ceduti detti immobili e soprattutto a prendere atto di come l'attuale amministrazione non sia stata in grado di far invertire la direzione fallimentare dell'azienda. Che sia che, come per il Belgio, due o tre anni senza dirigenza possa fare solo bene a questo pezzo della storia e dell'economia genovese?
Link utili sul Brignole:
http://notimaz.blog.kataweb.it/2011/03/01/brignole-il-pio-albergo-di-genova/
http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/03/01/news/una_cittadella_dietro_l_albergo_dei_poveri_palestre_e_piscine_ma_anche_un_mare_di_box-13035176/
L'audio completo dell'incontro
(Stefano De Pietro)
OLI 333: IMMIGRAZIONE - La promessa di Monti
Disegno di Guido Rosato |
Da una parte circa ogni cinque anni dal 1987, si faceva una regolarizzazione degli immigrati rilasciando ogni volta centinaia di migliaia di permessi a chi era presente irregolarmente, dall’altra parte al primo rinnovo si adottavano interpretazioni talmente restrittive da rendere molto difficile il loro rinnovo.
Quando avveniva, moltissimi non rientravano nei paesi d’origine e finivano per rientrare in clandestinità, rimanendo a lavorare in nero aspettando la successiva sanatoria.
Con l’approvazione della legge Bossi-Fini (L.189/2002) il numero dei permessi di soggiorno non rinnovati è aumentato da decine di migliaia a centinaia di migliaia: secondo il Dossier Caritas 2011, nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413.
La Bossi-Fini ha condizionato il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro quando, precedentemente, con la legge Martelli (39/90) e la legge Turco Napolitano (40/98), era possibile rinnovare il permesso anche attraverso la dimostrazione di un reddito sufficiente, e coloro che non riuscivano a dimostrare il reddito e non avevano un contratto potevano comunque iscriversi al collocamento per un periodo non inferiore a 12 mesi.
Inoltre la Bossi-Fini ha ridotto sensibilmente la durata dei permessi, moltiplicando le fasi di rinnovo e di conseguenza le occasioni di perdita del titolo di soggiorno.
La legge Martelli e la legge Turco-Napolitano prevedevano per il primo rilascio una durata biennale dei permessi per lavoro e famiglia, ed al rinnovo una durata non inferiore al doppio della precedente (4 anni).
La Bossi-Fini ha invece legato la durata del permesso alla durata del contratto di lavoro, limitandone la durata massima ad un anno quando il contratto è a tempo determinato e a due anni quando è a tempo indeterminato. Oltre a ciò è stato eliminata la previsione del raddoppio della durata al momento del rinnovo, per cui il nuovo permesso non può avere una durata superiore alla precedente.
L’anno seguente è entrata in vigore la legge 30/2003 sul mercato del lavoro, con contratti di lavoro delle durate più brevi possibili: i precari e le altre categorie più deboli sono divenuti i più esposti a perdere il permesso di soggiorno, essendo soggetti a rinnovi con tempi ravvicinati (ricordiamo che tra l'altro ogni rinnovo costa circa settantatre euro).
E' quindi necessario ed opportuno ritornare, almeno, alle norme della legge Turco-Napolitano.
(Saleh Zaghloul)
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OLI 333: CITTA' - Modern Art in Via del Campo
3 Febbraio 2012, il ghiaccio congela la spazzatura nella fontana di Via del Campo.
Una natura morta urbana offerta ai turisti che vanno a spiare la cosiddetta colonna infame nostrana.
25 febbraio 2012, il gelo è passato, il ghiaccio è tornato acqua, e la stessa identica spazzatura fluttua liberamente nella fontana, offerta al popolo che affolla la strada per festeggiare la riapertura, sotto forma di shop/museo, del negozio di Gianni Tassio.
Ma attenzione: forse non è incuria, forse si tratta di una “installazione”, in cui la persistenza nel tempo della spazzatura diviene metafora della persistenza del male, mentre il cartello posto subito sopra diventa simbolo della vanità degli sforzi della creatura umana che tenta di conciliare il "dover essere" con gli invalicabili limiti dell'essere.
(Paola Pierantoni)
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OLI 333: GIUSTIZIA - Una buona notizia da Madrid
Ieri pomeriggio intorno alle 18, l'Ansa ha battuto la notizia che il Tribunale Supremo di Madrid ha assolto l'ex giudice Baltazar Garzon. Era stato accusato di aver violato la legge del 1978 che aveva concesso l'amnistia e l'impunità a tutti i franchisti che dopo la vittoria del caudillo si erano macchiati dei crimini più orrendi. Centomila si valutano le persone scomparse per azioni violente di vendetta, di rancore, di sopraffazione e di pulizia etnico-politica. I partiti politici che presero in mano la transizione postfranchista, il socialista e il democristiano, preferirono garantire una transizione acquiescente e in qualche caso omertosa – la storia giudicherà se per calcolo o per necessità.
Il giudice Garzon non è stato a questo gioco e ha voluto riaprire la pagina della giustizia nella ricerca di quello che andava condannato perché fosse monito a che non si ripetesse. Nel 2009 aveva avviato un'inchiesta sulla scomparsa degli antifascisti e dei democratici e questa era stata considerata una violazione della legge dell'amnistia dagli ambienti postfranchisti e dai poteri consolidati. Ora è stato assolto dal Tribunale Supremo di Madrid, con voto di sei giudici contro uno, perché le sue decisioni sono state considerate legittime.
Ricordiamo che, nel solco della sua rara etica della giustizia e della politica, il giudice Garzon ha osato incrimirare il criminale Pinochet e i criminali generali argentini della dittatura, riaprendo le tragiche vicende del colpo di stato cileno e dei “desaparecidos”. L'assoluzione è senz'altro una buona notizia, un buon esempio di giustizia giusta, un incoraggiamento alle persone di buona volontà a proseguire nella strada della memoria e della verità.
Molti intellettuali si erano mobilitati in Spagna perché il giudice Garzon non venisse condannato e perché il suo onore di giudice venisse restaurato per intero.
In Oli 331 avevamo già parlato della giustizia e del giudice Garzon. La stessa notizia non trova spazio rilevante nel sistema mediatico, televisivo e giornalistico probabilmente a causa della sua complessità e della sua scarsa appetibilità trombonistica.
Alleghiamo un video, messo in rete la settimana scorsa, in cui il regista Almodovar parla della vicenda.
(Angelo Guarnieri)
Il giudice Garzon non è stato a questo gioco e ha voluto riaprire la pagina della giustizia nella ricerca di quello che andava condannato perché fosse monito a che non si ripetesse. Nel 2009 aveva avviato un'inchiesta sulla scomparsa degli antifascisti e dei democratici e questa era stata considerata una violazione della legge dell'amnistia dagli ambienti postfranchisti e dai poteri consolidati. Ora è stato assolto dal Tribunale Supremo di Madrid, con voto di sei giudici contro uno, perché le sue decisioni sono state considerate legittime.
Ricordiamo che, nel solco della sua rara etica della giustizia e della politica, il giudice Garzon ha osato incrimirare il criminale Pinochet e i criminali generali argentini della dittatura, riaprendo le tragiche vicende del colpo di stato cileno e dei “desaparecidos”. L'assoluzione è senz'altro una buona notizia, un buon esempio di giustizia giusta, un incoraggiamento alle persone di buona volontà a proseguire nella strada della memoria e della verità.
Molti intellettuali si erano mobilitati in Spagna perché il giudice Garzon non venisse condannato e perché il suo onore di giudice venisse restaurato per intero.
In Oli 331 avevamo già parlato della giustizia e del giudice Garzon. La stessa notizia non trova spazio rilevante nel sistema mediatico, televisivo e giornalistico probabilmente a causa della sua complessità e della sua scarsa appetibilità trombonistica.
Alleghiamo un video, messo in rete la settimana scorsa, in cui il regista Almodovar parla della vicenda.
(Angelo Guarnieri)
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martedì 21 febbraio 2012
OLI 332 - SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - MENO MALE CHE WULFF C’È (Enzo Costa e Aglaja)
LAVORO - Omsa, e l'eleganza delle operaie (Paola Pierantoni)
POLITICA - Il Pd, le donne, gli uomini e la calza (Giovanna Profumo)
ESTERI - Siria, Adonis contro il regime e contro l’opposizione fondamentalista (Saleh Zaghloul)
ENERGIA - CNR e LENR, una nuova risorsa per l'umanità (Stefano De Pietro)
SOCIETA' - I "No Moschea" scivolano ... sul pesto (Ivo Ruello)
LIBRI - Bella tutta! Un romanzo leggero per parlare di chili (Giovanna Profumo)
PAROLE DEGLI OCCHI – Sanremo 2012 (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Piccoli orti crescono... a Genova cambiare è possibile (Roberta Boero)
LAVORO - Omsa, e l'eleganza delle operaie (Paola Pierantoni)
POLITICA - Il Pd, le donne, gli uomini e la calza (Giovanna Profumo)
ESTERI - Siria, Adonis contro il regime e contro l’opposizione fondamentalista (Saleh Zaghloul)
ENERGIA - CNR e LENR, una nuova risorsa per l'umanità (Stefano De Pietro)
SOCIETA' - I "No Moschea" scivolano ... sul pesto (Ivo Ruello)
LIBRI - Bella tutta! Un romanzo leggero per parlare di chili (Giovanna Profumo)
PAROLE DEGLI OCCHI – Sanremo 2012 (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Piccoli orti crescono... a Genova cambiare è possibile (Roberta Boero)
OLI 332: VERSANTE LIGURE - MENO MALE CHE WULFF C’È
“L’immunità? Manco per niente!
Leggi ad personam? Men di meno!
Pur dichiarandomi innocente,
alla Giustizia io mi inchino
non c’entra che son Presidente
sono un qualunque cittadino
e mi dimetto prontamente
nei privilegi non sconfino!”
(cosa che rende assai evidente
che c’è un politico a Berlino).
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OLI 332: LAVORO - Omsa, e l'eleganza delle operaie
Il 19 febbraio “Presa Diretta” su Rai3, aveva per titolo “Recessione”, ed era dedicata alle strategie aziendali di fuga dall’Italia, per realizzare maggiori profitti all’estero. Tra i casi quello della Golden Lady Company, proprietaria dell’Omsa di Faenza, che tutt’ora sbandiera l’italianità del marchio: “Omsa, marchio storico nel settore della calzetteria Italiana”, magnificando le proprie campagne pubblicitarie, che dallo storico "Omsa, che gambe!" ad oggi, sono sempre state “ispirate alla raffinatezza e all'eleganza”.
Da molto tempo però la vera eleganza è quella delle sue operaie, trasformate in attrici da Living Theatre per denunciare la loro condizione, così rappresentativa della devastazione che l’economia globale porta nei paesi che non hanno strategie economiche ed industriali da contrapporre. Dal 2010 sono in cassa integrazione senza prospettiva, perché l’azienda, tutt’altro che in crisi, si è “delocalizzata” in Serbia, dove gli stipendi vanno dai 200 ai 250 euro al mese, e le operaie vengono scelte tra le donne sole, separate, con figli a carico, e quindi nella impossibilità di sottrarsi al ricatto di un lavoro sottopagato, anche rispetto alla media di quel paese.
Noi le avevamo viste a Genova in occasione del convegno “Punto G, genere e globalizzazione” (vedi Oli 325), emozionandoci a quella rappresentazione, scandita dal ritmo di un fischietto, che terminava nella “esecuzione”, una per una, di quelle vite di lavoro. Sei mesi dopo, il 27 dicembre, come da previsioni, sono tutte poste “in mobilità” verso il nulla. Ora c’è una trattativa, e un primo risultato strappato dal sindacato: il proprietario della Golden Lady chiederà la prosecuzione della cassa integrazione “in deroga”, per “superare la procedure di mobilità” e dare una prospettiva ai “negoziati con alcuni investitori per l'acquisizione dello stabilimento di Faenza”. Prossimo incontro domani 22 febbraio: speriamo.
Intanto, nei giorni scorsi, aveva preso vita un vivace dibattito tra le donne della rete “blogfemministi” (vedi Oli 318 ) a proposito della campagna “Boicotta Omsa”, a sostegno delle lavoratrici. E' Lorella Zanardo (*) a sollevare dei dubbi: “La situazione è complessa e un boicottaggio portato avanti con successo può avere come risultato anche la volontà di spostare la produzione ancora più rapidamente ... il mercato è globale. E' giusto chiedere all'imprenditore di non licenziare ma non credo basterà”.
In alternativa propone il messaggio in “Ti compro se non licenzi”, mirato ad un patto con l’imprenditore: "se la produzione non viene spostata, ci impegniamo in una campagna di promozione del marchio”.
In rete corrono i pareri: “Tra gli imprenditori c'è anche brava gente, che non ce la fa materialmente più, con il costo del lavoro esistente in Italia, a mandare avanti un'azienda”; “Noi non possiamo sostituirci ai sindacati o alle stesse donne che stanno contrattando da anni per andare a interloquire con il padrone della fabbrica”; “Credo che la vera risposta sia un'organizzazione di lavoratori internazionale che si coordini e faccia richieste all'unisono”.
Le donne in rete cercano strategie, ma la realtà oppone una durezza che non favorisce le speranze. In quel territorio non è solo l’Omsa a chiudere, tutti i calzifici sono stati chiusi, delocalizzati. Persi più di 1000 posti di lavoro, e altro non c’è. Tutto intorno è un deserto. Da un lato la politica del governo serbo, che attira gli industriali italiani con incentivi che azzerano per tre anni il già bassissimo costo del lavoro, dall’altra l’assenza di qualunque politica industriale italiana.
(*) Sul sito di Lorella Zanardo la sua posizione sul caso Omsa, e il video della performance delle operaie Omsa
(Paola Pierantoni - foto dell'autrice)
Da molto tempo però la vera eleganza è quella delle sue operaie, trasformate in attrici da Living Theatre per denunciare la loro condizione, così rappresentativa della devastazione che l’economia globale porta nei paesi che non hanno strategie economiche ed industriali da contrapporre. Dal 2010 sono in cassa integrazione senza prospettiva, perché l’azienda, tutt’altro che in crisi, si è “delocalizzata” in Serbia, dove gli stipendi vanno dai 200 ai 250 euro al mese, e le operaie vengono scelte tra le donne sole, separate, con figli a carico, e quindi nella impossibilità di sottrarsi al ricatto di un lavoro sottopagato, anche rispetto alla media di quel paese.
Noi le avevamo viste a Genova in occasione del convegno “Punto G, genere e globalizzazione” (vedi Oli 325), emozionandoci a quella rappresentazione, scandita dal ritmo di un fischietto, che terminava nella “esecuzione”, una per una, di quelle vite di lavoro. Sei mesi dopo, il 27 dicembre, come da previsioni, sono tutte poste “in mobilità” verso il nulla. Ora c’è una trattativa, e un primo risultato strappato dal sindacato: il proprietario della Golden Lady chiederà la prosecuzione della cassa integrazione “in deroga”, per “superare la procedure di mobilità” e dare una prospettiva ai “negoziati con alcuni investitori per l'acquisizione dello stabilimento di Faenza”. Prossimo incontro domani 22 febbraio: speriamo.
Intanto, nei giorni scorsi, aveva preso vita un vivace dibattito tra le donne della rete “blogfemministi” (vedi Oli 318 ) a proposito della campagna “Boicotta Omsa”, a sostegno delle lavoratrici. E' Lorella Zanardo (*) a sollevare dei dubbi: “La situazione è complessa e un boicottaggio portato avanti con successo può avere come risultato anche la volontà di spostare la produzione ancora più rapidamente ... il mercato è globale. E' giusto chiedere all'imprenditore di non licenziare ma non credo basterà”.
In alternativa propone il messaggio in “Ti compro se non licenzi”, mirato ad un patto con l’imprenditore: "se la produzione non viene spostata, ci impegniamo in una campagna di promozione del marchio”.
In rete corrono i pareri: “Tra gli imprenditori c'è anche brava gente, che non ce la fa materialmente più, con il costo del lavoro esistente in Italia, a mandare avanti un'azienda”; “Noi non possiamo sostituirci ai sindacati o alle stesse donne che stanno contrattando da anni per andare a interloquire con il padrone della fabbrica”; “Credo che la vera risposta sia un'organizzazione di lavoratori internazionale che si coordini e faccia richieste all'unisono”.
Le donne in rete cercano strategie, ma la realtà oppone una durezza che non favorisce le speranze. In quel territorio non è solo l’Omsa a chiudere, tutti i calzifici sono stati chiusi, delocalizzati. Persi più di 1000 posti di lavoro, e altro non c’è. Tutto intorno è un deserto. Da un lato la politica del governo serbo, che attira gli industriali italiani con incentivi che azzerano per tre anni il già bassissimo costo del lavoro, dall’altra l’assenza di qualunque politica industriale italiana.
(*) Sul sito di Lorella Zanardo la sua posizione sul caso Omsa, e il video della performance delle operaie Omsa
(Paola Pierantoni - foto dell'autrice)
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OLI 332: POLITICA - Il Pd, le donne, gli uomini e la calza
In rete si trova un messaggio come questo:
“Ciao ragazze. Sono alle prime armi con il mio calzino. Lavoro con 4 ferri e sono arrivata a fare la parte che copre il tallone, quella che si lavora avanti e indietro. Il mio problema sorge nel fare la congiunzione della parte del dorso del piede con il retro… Premetto che sono autodidatta e sto studiando la costruzione del calzino dai calzini che faceva la mia nonna, ma purtroppo non sono riuscita a farmi insegnare come farli… e "l'inghippo" sta qui: la nonna lavorava tallone e dorso e congiunzione tutto insieme e poi separato faceva la suola e poi cuciva la suola al resto del calzino, mentre ora trovo tutti video che lavorano il calzino tutto intero... e io mi perdo...”
L’appello è di Serena83. Legittimo immaginare che si tratti di una mamma di ventinove anni perché accanto al testo c’è l’immagine di un bimbo o di una bimba di pochi mesi. Serena è una delle molte donne del paese, alla quale rispondono altre donne, che lavorano a maglia. Persone che trasmettono ricordi e tradizioni insieme alla possibilità di produrre le proprie cose in casa. Da sé. Non sappiamo se lavora o meno, ma non ci stupiremmo se fosse disoccupata o precaria come molte donne della sua età.
Sui quotidiani si trova un messaggio come questo
“Cosa farò? Non andrò certo a fare la calza”, la dichiarazione di Marta Vincenzi, rimanda ad un’idea precisa che impedisce alla donna di potere - forte, dinamica, consapevole - di essere felice in casa, di andare in “pensione”, magari a fare la maglia, mansione di nobilissima tradizione che nella calza esprime l’apice della conoscenza.
“Non andrò certo a fare la calza”, detta da un sindaco nella regione italiana con la maggior percentuale di anziani e con un discreto numero di senza lavoro è una frase che potrebbe essere percepita di disprezzo per chi, pensionato o disoccupato, si ritrova felicemente o infelicemente a casa.
Ma la calza di Marta solleva un problema non irrilevante nel Pd. Infatti, diversamente da coloro che perdono il posto, anche senza primarie, la sindaco in carica dichiara che adesso si sentirebbe pronta “per un ruolo politico” nel partito e precisa di non avere intenzione “di andare in pensione dalla politica”. Anche se si fatica a comprendere perché Marta Vincenzi voglia rimanere in un luogo in cui così elevato è il tasso di ostilità verso di lei.
Ma una soluzione per accontentare tutti potrebbe esserci: se Marta facesse la calza nel partito? Magari in compagnia di quei dirigenti maschi che ne hanno polverizzato eredità e tradizioni. E se tutti insieme tornassero a prendersi cura, nel senso più nobile del termine, della memoria della politica di sinistra e di quanto più prezioso custodisce?
Fare un buon partito non è come creare un calzino nel quale la lavorazione di dorso, tallone e piede stiano tutti insieme in armonia? Fare un buon calzino non vuol dire offrire a chi lo sceglie un oggetto caldo, protettivo, privo di insidie?
E se la buona, vecchia calza diventasse il nuovo simbolo del Pd?
Cercasi logo.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
“Ciao ragazze. Sono alle prime armi con il mio calzino. Lavoro con 4 ferri e sono arrivata a fare la parte che copre il tallone, quella che si lavora avanti e indietro. Il mio problema sorge nel fare la congiunzione della parte del dorso del piede con il retro… Premetto che sono autodidatta e sto studiando la costruzione del calzino dai calzini che faceva la mia nonna, ma purtroppo non sono riuscita a farmi insegnare come farli… e "l'inghippo" sta qui: la nonna lavorava tallone e dorso e congiunzione tutto insieme e poi separato faceva la suola e poi cuciva la suola al resto del calzino, mentre ora trovo tutti video che lavorano il calzino tutto intero... e io mi perdo...”
L’appello è di Serena83. Legittimo immaginare che si tratti di una mamma di ventinove anni perché accanto al testo c’è l’immagine di un bimbo o di una bimba di pochi mesi. Serena è una delle molte donne del paese, alla quale rispondono altre donne, che lavorano a maglia. Persone che trasmettono ricordi e tradizioni insieme alla possibilità di produrre le proprie cose in casa. Da sé. Non sappiamo se lavora o meno, ma non ci stupiremmo se fosse disoccupata o precaria come molte donne della sua età.
Sui quotidiani si trova un messaggio come questo
“Cosa farò? Non andrò certo a fare la calza”, la dichiarazione di Marta Vincenzi, rimanda ad un’idea precisa che impedisce alla donna di potere - forte, dinamica, consapevole - di essere felice in casa, di andare in “pensione”, magari a fare la maglia, mansione di nobilissima tradizione che nella calza esprime l’apice della conoscenza.
“Non andrò certo a fare la calza”, detta da un sindaco nella regione italiana con la maggior percentuale di anziani e con un discreto numero di senza lavoro è una frase che potrebbe essere percepita di disprezzo per chi, pensionato o disoccupato, si ritrova felicemente o infelicemente a casa.
Ma la calza di Marta solleva un problema non irrilevante nel Pd. Infatti, diversamente da coloro che perdono il posto, anche senza primarie, la sindaco in carica dichiara che adesso si sentirebbe pronta “per un ruolo politico” nel partito e precisa di non avere intenzione “di andare in pensione dalla politica”. Anche se si fatica a comprendere perché Marta Vincenzi voglia rimanere in un luogo in cui così elevato è il tasso di ostilità verso di lei.
Ma una soluzione per accontentare tutti potrebbe esserci: se Marta facesse la calza nel partito? Magari in compagnia di quei dirigenti maschi che ne hanno polverizzato eredità e tradizioni. E se tutti insieme tornassero a prendersi cura, nel senso più nobile del termine, della memoria della politica di sinistra e di quanto più prezioso custodisce?
Fare un buon partito non è come creare un calzino nel quale la lavorazione di dorso, tallone e piede stiano tutti insieme in armonia? Fare un buon calzino non vuol dire offrire a chi lo sceglie un oggetto caldo, protettivo, privo di insidie?
E se la buona, vecchia calza diventasse il nuovo simbolo del Pd?
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(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)
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OLI 332: ESTERI - Siria, Adonis contro il regime e contro l’opposizione fondamentalista
La Siria è terra di poeti, ha regalato agli arabi e a chi vuole nel mondo intero almeno tre dei più importanti poeti arabi contemporanei: uno è senz’altro Adonis, 82 anni, più volte candidato al premio Nobel, vincitore dell’ultima edizione (2011) del prestigioso premio Goethe; nel nostro paese ha ricevuto il premio Nonino per la poesia (1999) ed il premio Lerici Pea per l'Opera Poetica (2000).
Il grande poeta siriano è da sempre impegnato per la libertà, la democrazia e soprattutto per uno sviluppo laico del mondo arabo. Dopo un anno e mezzo nelle carceri siriane nel 1956 per attività di opposizione, va in esilio prima in Libano fino al 1982 e poi in Europa.
Intervistato l’11 febbraio scorso dal giornale austriaco Profil, Adonis dice che egli è contro il regime siriano ma è anche contro l’opposizione composta da una stragrande maggioranza di fondamentalisti islamici; dice di non volere cambiare una dittatura militare con una peggiore dittatura religiosa e dichiara la propria contrarietà ad interventi esterni in particolare ad intervento militare che avrà gli effetti distruttivi avuti in Iraq. “Non capisco come è possibile chiedere agli stessi che hanno colonizzato la Siria di liberare il popolo siriano”. Egli non crede che l’occidente sia interessato alla liberazione dei popoli arabi: “fosse vero l’Occidente sarebbe intervenuto prima di tutto per liberare il popolo palestinese che soffre da 50 anni una sistematica oppressione e distruzione”. Adonis racconta di essere stato entusiasta all’inizio delle rivolte arabe in Tunisia e Egitto, di aver scritto qualche poesia ispirato da esse, ma dopo la vittoria dei movimenti islamici nelle elezioni egli ha cambiato idea: “non basta la democrazia delle elezioni, anche Hitler è arrivato al potere attraverso le elezioni”. Per Adonis le rivolte arabe sono più vicine al medioevo che all’era moderna: “non ci sono possibilità di un vero cambiamento senza la laicità, senza separare religione e stato e senza la totale parità dei diritti per le donne. La dittatura militare controlla la mente mentre quella religiosa controlla la mente, il corpo e la vita quotidiana; è una dittatura totalitaria”. Le dittature devono andarsene - dice Adonis - e bisogna continuare la lotta contro di esse ma liberi di ogni ideologia religiosa. “Dobbiamo chiederci quale regime verrà al posto di questo e non bisogna dimenticare che nella regione c’è già un paese che ha la religione come base ed è Israele, e non abbiamo bisogno di altri regimi religiosi”. Per Adonis esistono i musulmani moderati ma non i movimenti islamici moderati. “Il movimento dei fratelli musulmani è un movimento fascista ed è oggi sostenuto da Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Israele con l’obbiettivo distruggere l’asse composto da Iran, Siria e Hezbollah. Se davvero l’occidente vuole un Islam moderato dovrebbe iniziare ad instaurarlo in Arabia Saudita”. Alla domanda se pensa dunque che il mondo arabo abbia perso la battaglia per la libertà e la democrazia Adonis risponde di si.
I laici democratici nel mondo arabo sono oggi divisi in una parte che condivide il pessimismo di Adonis ed un'altra che continua a sperare: da più di un anno i cittadini arabi continuano a riempire le piazze e le strade, anche in Tunisia ed Egitto e finché la lotta continua nelle piazze c’è speranza.
(Saleh Zaghloul)
Il grande poeta siriano è da sempre impegnato per la libertà, la democrazia e soprattutto per uno sviluppo laico del mondo arabo. Dopo un anno e mezzo nelle carceri siriane nel 1956 per attività di opposizione, va in esilio prima in Libano fino al 1982 e poi in Europa.
Intervistato l’11 febbraio scorso dal giornale austriaco Profil, Adonis dice che egli è contro il regime siriano ma è anche contro l’opposizione composta da una stragrande maggioranza di fondamentalisti islamici; dice di non volere cambiare una dittatura militare con una peggiore dittatura religiosa e dichiara la propria contrarietà ad interventi esterni in particolare ad intervento militare che avrà gli effetti distruttivi avuti in Iraq. “Non capisco come è possibile chiedere agli stessi che hanno colonizzato la Siria di liberare il popolo siriano”. Egli non crede che l’occidente sia interessato alla liberazione dei popoli arabi: “fosse vero l’Occidente sarebbe intervenuto prima di tutto per liberare il popolo palestinese che soffre da 50 anni una sistematica oppressione e distruzione”. Adonis racconta di essere stato entusiasta all’inizio delle rivolte arabe in Tunisia e Egitto, di aver scritto qualche poesia ispirato da esse, ma dopo la vittoria dei movimenti islamici nelle elezioni egli ha cambiato idea: “non basta la democrazia delle elezioni, anche Hitler è arrivato al potere attraverso le elezioni”. Per Adonis le rivolte arabe sono più vicine al medioevo che all’era moderna: “non ci sono possibilità di un vero cambiamento senza la laicità, senza separare religione e stato e senza la totale parità dei diritti per le donne. La dittatura militare controlla la mente mentre quella religiosa controlla la mente, il corpo e la vita quotidiana; è una dittatura totalitaria”. Le dittature devono andarsene - dice Adonis - e bisogna continuare la lotta contro di esse ma liberi di ogni ideologia religiosa. “Dobbiamo chiederci quale regime verrà al posto di questo e non bisogna dimenticare che nella regione c’è già un paese che ha la religione come base ed è Israele, e non abbiamo bisogno di altri regimi religiosi”. Per Adonis esistono i musulmani moderati ma non i movimenti islamici moderati. “Il movimento dei fratelli musulmani è un movimento fascista ed è oggi sostenuto da Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Israele con l’obbiettivo distruggere l’asse composto da Iran, Siria e Hezbollah. Se davvero l’occidente vuole un Islam moderato dovrebbe iniziare ad instaurarlo in Arabia Saudita”. Alla domanda se pensa dunque che il mondo arabo abbia perso la battaglia per la libertà e la democrazia Adonis risponde di si.
I laici democratici nel mondo arabo sono oggi divisi in una parte che condivide il pessimismo di Adonis ed un'altra che continua a sperare: da più di un anno i cittadini arabi continuano a riempire le piazze e le strade, anche in Tunisia ed Egitto e finché la lotta continua nelle piazze c’è speranza.
(Saleh Zaghloul)
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OLI 332: ENERGIA - CNR e LENR, una nuova risorsa per l'umanità
Sull'inizio del 21 secolo, all'alba del terzo millennio, si prospetta un cambiamento epocale per la vita dell'uomo sulla terra: la fusione fredda. Già da molti anni la notizia degli esperimenti sulla LENR (Low Energy Nuclear Reaction) sta silenziosamente uscendo sui media più moderni, trascurata dai giornali e dalle televisioni, a parte alcune trasmissioni come Report (il Rapporto 41 del Cnr) e poche altre. La grande massa degli scienziati impegnati nella ricerca sull'energia ha sempre alzato il sopracciglio al solo nominare questo fenomeno, fino a pochi anni fa inspiegabile ma, sembrerebbe sempre di più, reale, ossia la trasmutazione del nucleo dell'atomo a temperature "fredde", lontane da quei milioni di gradi teorizzati come indispensabili dalla teoria della relatività. E senza radiazioni nocive.
Dopo l'E-Cat di Rossi e Focardi (e-catalyzer.it), anche la Nasa pubblica un video indicando dei risultati notevoli, così come proprio in queste ultime ore il MIT (Massachusett Institute of Technology) rilascia una notizia dove indica non solo la realizzazione di un esperimento di fusione fredda con guadagni notevoli, ma anche di essere in grado di dare la spiegazione scientifica del processo nucleare che lo genera. Si tratta di due notizie "con i controfiocchi", perché se da una parte la credibilità di Rossi era stata minata da un suo passato poco trasparente su un progetto finito male, i due nuovi soggetti alimentano una speranza decisamente più tangibile.
Ma in Italia? Che fa lo Stato? Di fronte all'immobilismo del Cnr nonostante i buoni risultati dei team di Preparata e di Rossi, ci si aspetterebbe adesso che finalmente la nuova dirigenza appena instaurata si dia da fare. Possibile che non abbiano ancora destinato qualche milione di euro (non sarebbe servito di più) alla ricerca sui risultati di Rossi a Bologna? Possibile che Preparata e il suo team siano stati ignorati dopo i risultati ottenuti già dieci anni fa? Una cecità che sta facendo perdere a tutti noi la possibilità di un business miliardario, oltre che un riscatto d'immagine per la nostra università. Una società, la nostra, che non è in grado più di sognare, elemento principale della ricerca scientifica pura, al di là degli interessi commerciali e industriali immediati. C'è bisogno di una iniezione di fiducia e di un grande ricambio di generazioni negli atenei italiani.
Intanto il Cern di Ginevra prende sul serio la cosa: ecco una serie di attività trovate sul loro sito cercando la parola "lenr".
(Stefano De Pietro)
Dopo l'E-Cat di Rossi e Focardi (e-catalyzer.it), anche la Nasa pubblica un video indicando dei risultati notevoli, così come proprio in queste ultime ore il MIT (Massachusett Institute of Technology) rilascia una notizia dove indica non solo la realizzazione di un esperimento di fusione fredda con guadagni notevoli, ma anche di essere in grado di dare la spiegazione scientifica del processo nucleare che lo genera. Si tratta di due notizie "con i controfiocchi", perché se da una parte la credibilità di Rossi era stata minata da un suo passato poco trasparente su un progetto finito male, i due nuovi soggetti alimentano una speranza decisamente più tangibile.
Ma in Italia? Che fa lo Stato? Di fronte all'immobilismo del Cnr nonostante i buoni risultati dei team di Preparata e di Rossi, ci si aspetterebbe adesso che finalmente la nuova dirigenza appena instaurata si dia da fare. Possibile che non abbiano ancora destinato qualche milione di euro (non sarebbe servito di più) alla ricerca sui risultati di Rossi a Bologna? Possibile che Preparata e il suo team siano stati ignorati dopo i risultati ottenuti già dieci anni fa? Una cecità che sta facendo perdere a tutti noi la possibilità di un business miliardario, oltre che un riscatto d'immagine per la nostra università. Una società, la nostra, che non è in grado più di sognare, elemento principale della ricerca scientifica pura, al di là degli interessi commerciali e industriali immediati. C'è bisogno di una iniezione di fiducia e di un grande ricambio di generazioni negli atenei italiani.
Intanto il Cern di Ginevra prende sul serio la cosa: ecco una serie di attività trovate sul loro sito cercando la parola "lenr".
(Stefano De Pietro)
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OLI 332: SOCIETA' - I "No Moschea" scivolano ... sul pesto
Corriere Mercantile, venerdì 17 febbraio, uno scarno trafiletto annuncia la prossima presentazione per le elezioni di una lista civica del Comitato Cittadini Centro Est, che da anni si oppone alla costruzione della moschea di Via Bianco a Genova Lagaccio. Associata alla notizia, una foto proveniente (si suppone) da una delle manifestazioni anti-moschea, in cui un manifestante mostra il cartello “Mezzaluna, sì ma… pe u pestu!”, che invita ad usare la mezzaluna, simbolo della religione islamica, solamente come attrezzo di cucina. Notevole la "raffinatezza" del messaggio, del resto all'altezza dell'incompetenza degli estensori. Le nostre nonne hanno insegnato ad usare le mezzaluna per tritare verdure e preparare soffritti, ma non il pesto, per favore!
La ricetta originale può vedere infinite varianti nella dosatura dei componenti, possono aumentare o diminuire le quantità di formaggio parmigiano o sardo, è possibile usare più o meno aglio, ma sugli attrezzi non c’è alcuna confusione: i puristi usano esclusivamente mortaio di marmo e pestello di legno. Chi ha fretta ripiega sul frullatore, ma nessuno, nessuno usa la mezzaluna! Come nessuno usa le noci al posto dei pinoli, lo insegna su youtube Fabrizio Casalino nell’esilarante parodia del film “Non è un paese per vecchi”: parafrasando Casalino, si inizia usando la mezzaluna e chissà dove si va finire…
Il Comitato Cittadini Centro Est potrebbe, intanto, partecipare al prossimo Campionato Mondiale di Pesto che si terrà il prossimo 17 marzo a Palazzo Ducale … come osservatori, naturalmente, per gareggiare si usa mortaio e pestello!
(Ivo Ruello - foto dell'autore)
La ricetta originale può vedere infinite varianti nella dosatura dei componenti, possono aumentare o diminuire le quantità di formaggio parmigiano o sardo, è possibile usare più o meno aglio, ma sugli attrezzi non c’è alcuna confusione: i puristi usano esclusivamente mortaio di marmo e pestello di legno. Chi ha fretta ripiega sul frullatore, ma nessuno, nessuno usa la mezzaluna! Come nessuno usa le noci al posto dei pinoli, lo insegna su youtube Fabrizio Casalino nell’esilarante parodia del film “Non è un paese per vecchi”: parafrasando Casalino, si inizia usando la mezzaluna e chissà dove si va finire…
Il Comitato Cittadini Centro Est potrebbe, intanto, partecipare al prossimo Campionato Mondiale di Pesto che si terrà il prossimo 17 marzo a Palazzo Ducale … come osservatori, naturalmente, per gareggiare si usa mortaio e pestello!
(Ivo Ruello - foto dell'autore)
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OLI 332: LIBRI - Bella tutta! Un romanzo leggero per parlare di chili
Sono sessantotto le diete che Elena Guerrini ha provato, tutte elencate all’inizio del suo libro “Bella tutta! I miei grassi giorni felici” edito da Garzanti, presentato insieme all’autrice da Paola Tavella alla libreria BooksIN di Genova il 15 febbraio.
Il romanzo è la storia di una bambina sovrappeso che diventando adulta decide di accettarsi così com’è. La ricetta – metafora non è mai stata più giusta – vale per molte situazioni della vita, ma quando si tratta di grasso che cola i detrattori diventano maggioranza e il senso di solitudine atroce. La percezione di inadeguatezza che accompagna Elena dalla prima infanzia riceve solo conferme, prime fra tutte quelle della madre sadica e affamatrice dalla quale l’autrice si salva solo grazie alla sua capacità di resistenza straordinaria e alla voglia di ridere. “Se la mamma ti vede bella hai un capitale di bellezza da preservare… altrimenti…”
Durante la presentazione in libreria c’è stato spazio - oltre che per le letture di Dario Manera - anche per riflettere sull’immaginario che l’essere grassi evoca nel prossimo: “Nonostante le persone sovrappeso possano essere sane, tutti vogliono farle dimagrire, i grassi sono eterni bambini… Se sei grasso tutti ti guardano nel piatto. C’è uno stigma morale forte che pretende che i grassi siano smidollati e pigri”. Emerge una società permeata di criteri estetici anoressizzanti, in cui mondo della moda, star system e case farmaceutiche dettano le regole.
“Bella tutta” è ambientato nella maremma dei mitici anni Ottanta – c’è la musica e l’atmosfera di chi quegli anni li ha vissuti – ha ironia e romanticismo ed anche nelle pagine più dolorose la scrittura rimane “leggera” senza essere cinica. Già testo teatrale recitato dall'autrice, potrebbe essere perfetto come film. Magari diretto da Virzì.
(Giovanna Profumo)
Il romanzo è la storia di una bambina sovrappeso che diventando adulta decide di accettarsi così com’è. La ricetta – metafora non è mai stata più giusta – vale per molte situazioni della vita, ma quando si tratta di grasso che cola i detrattori diventano maggioranza e il senso di solitudine atroce. La percezione di inadeguatezza che accompagna Elena dalla prima infanzia riceve solo conferme, prime fra tutte quelle della madre sadica e affamatrice dalla quale l’autrice si salva solo grazie alla sua capacità di resistenza straordinaria e alla voglia di ridere. “Se la mamma ti vede bella hai un capitale di bellezza da preservare… altrimenti…”
Durante la presentazione in libreria c’è stato spazio - oltre che per le letture di Dario Manera - anche per riflettere sull’immaginario che l’essere grassi evoca nel prossimo: “Nonostante le persone sovrappeso possano essere sane, tutti vogliono farle dimagrire, i grassi sono eterni bambini… Se sei grasso tutti ti guardano nel piatto. C’è uno stigma morale forte che pretende che i grassi siano smidollati e pigri”. Emerge una società permeata di criteri estetici anoressizzanti, in cui mondo della moda, star system e case farmaceutiche dettano le regole.
“Bella tutta” è ambientato nella maremma dei mitici anni Ottanta – c’è la musica e l’atmosfera di chi quegli anni li ha vissuti – ha ironia e romanticismo ed anche nelle pagine più dolorose la scrittura rimane “leggera” senza essere cinica. Già testo teatrale recitato dall'autrice, potrebbe essere perfetto come film. Magari diretto da Virzì.
(Giovanna Profumo)
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OLI 332
OLI 332: PAROLE DEGLI OCCHI – Sanremo 2012
Foto di Giorgio Bergami ©
62° Festival della Canzone Italiana. Ancora una volta Celentano riesce a spaccare il Paese, tra chi si straccia le vesti per le sue parole, chi le approva e chi resta indifferente.
OLI 332: LETTERE - Piccoli orti crescono... a Genova cambiare è possibile
Come spesso accade, in America ci sono arrivati prima di noi: il fenomeno degli orti urbani, ricavati in luoghi degradati da rottami e sporcizia, ma non solo, perché ne esistono persino sui tetti dei grattacieli, da almeno 5 anni ha visto nascere una nuova figura sociale, gli “agricoltori metropolitani”, così come li ha definiti Michael Pollan, docente di giornalismo a Berkley, che sul New York Times Magazine ha lanciato il loro manifesto:
“Se avete un cortile togliete l’erba, se non ce l’avete o vivete in un grattacielo cercatevi un pezzetto di terra in un giardino comunitario. Piantare un orto sembra una cosa piccola e insignificante, ma in realtà è una delle cose più importanti e decisive che un individuo può fare per ridurre la quota personale di inquinamento, per diminuire il senso di dipendenza dall’industria del cibo e per cambiare il nostro modo di pensare i risparmi energetici”.
Il rilancio dell’agricoltura urbana in America non è più un fenomeno elitario, ma una tendenza che mette al centro l’idea di riqualificazione del territorio come espressione di nuove (o forse bisognerebbe dire “antiche”?) forme di socialità, nell’ottica della sostenibilità e della dimensione estetica nella quotidianità.
Questa tendenza è arrivata anche in Italia, e qui a Genova adesso si aggiunge un nuovo sogno, che va in questa direzione e vuole inserirsi nell’ambito del Puc (Piano Urbanistico Comunale) recentemente approvato e che, come dichiarato dal Sindaco, si pone “l’obiettivo di uno sviluppo strettamente legato ai principi di qualità ed equità sociale”.
Renzo Piano è stato chiamato a collaborare a questo progetto, e con la semplicità che contraddistingue le persone di grande ingegno, ha tracciato due linee, che sono da considerarsi le linee guida del piano: una linea verde, oltre la quale non bisogna costruire, ed una linea blu, quella del mare.
L’architetto ha spiegato che “bisogna smetterla di costruire anche sul mare, e di coprire la vista del mare, occorre invece lavorare all’interno di queste linee e costruire sul costruito... C’è un’idea antica, che deriva dal fatto che Genova è una città stretta tra monti e mare, dove non c’è spazio da sprecare. Ha a che fare con l’idea di parsimonia, non con quella di avarizia. … La linea verde tracciata nel piano urbanistico comunale è solo una linea di buon senso”.
A Castelletto, il territorio della Valletta dell’Istituto Brignole a San Nicola (alle spalle dell’Albergo dei Poveri), abbandonato al degrado quasi totale, ci interroga appunto su dove sia finito il buon senso di cui parla Renzo Piano.
Un gruppo di abitanti del quartiere, qualche mese fa, ha dato vita ad un percorso che sta per concretizzarsi in un Comitato, sostenuto da Italia Nostra, Legambiente, Movimento per la Decrescita Felice, Doctors for the Environment.
Il sogno che anima queste persone è quello di poter realizzare un modello di gestione sostenibile del territorio, basato sull’organizzazione di spazi ricreativi e di aggregazione sociale, attraverso una produzione agricola e biovivaistica, mantenendo anche una tutela e conservazione storico-ambientale della Valletta.
Nel 1652 Emanuele Brignole, fondatore dell’Albergo dei Poveri, scriveva nel suo testamento che “nel giardino posteriore i poveri dell’Albergo havranno da passeggiare e prendersi il sole d’inverno e poi, piantativi gli alberi, godere l’ombra e frescura d’estate”.
Prendendo in prestito il pensiero di un altro grande genovese, dopo Renzo Piano, mi piace concludere che, come ha scritto Ivano Fossati, troppo spesso “le parole non hanno chances”, e il Comitato vorrebbe invece far rivivere l’antico auspicio espresso nelle parole di Emanuele Brignole.
Chi volesse percorrere questa strada insieme a noi, è invitato venerdì 24 febbraio, alle ore 21, all’Assemblea Pubblica che si terrà presso l’Auditorium della Parrocchia di San Nicola (Salita della Madonnetta, 1) a Genova.
(Roberta Boero)
“Se avete un cortile togliete l’erba, se non ce l’avete o vivete in un grattacielo cercatevi un pezzetto di terra in un giardino comunitario. Piantare un orto sembra una cosa piccola e insignificante, ma in realtà è una delle cose più importanti e decisive che un individuo può fare per ridurre la quota personale di inquinamento, per diminuire il senso di dipendenza dall’industria del cibo e per cambiare il nostro modo di pensare i risparmi energetici”.
Il rilancio dell’agricoltura urbana in America non è più un fenomeno elitario, ma una tendenza che mette al centro l’idea di riqualificazione del territorio come espressione di nuove (o forse bisognerebbe dire “antiche”?) forme di socialità, nell’ottica della sostenibilità e della dimensione estetica nella quotidianità.
Questa tendenza è arrivata anche in Italia, e qui a Genova adesso si aggiunge un nuovo sogno, che va in questa direzione e vuole inserirsi nell’ambito del Puc (Piano Urbanistico Comunale) recentemente approvato e che, come dichiarato dal Sindaco, si pone “l’obiettivo di uno sviluppo strettamente legato ai principi di qualità ed equità sociale”.
Renzo Piano è stato chiamato a collaborare a questo progetto, e con la semplicità che contraddistingue le persone di grande ingegno, ha tracciato due linee, che sono da considerarsi le linee guida del piano: una linea verde, oltre la quale non bisogna costruire, ed una linea blu, quella del mare.
L’architetto ha spiegato che “bisogna smetterla di costruire anche sul mare, e di coprire la vista del mare, occorre invece lavorare all’interno di queste linee e costruire sul costruito... C’è un’idea antica, che deriva dal fatto che Genova è una città stretta tra monti e mare, dove non c’è spazio da sprecare. Ha a che fare con l’idea di parsimonia, non con quella di avarizia. … La linea verde tracciata nel piano urbanistico comunale è solo una linea di buon senso”.
A Castelletto, il territorio della Valletta dell’Istituto Brignole a San Nicola (alle spalle dell’Albergo dei Poveri), abbandonato al degrado quasi totale, ci interroga appunto su dove sia finito il buon senso di cui parla Renzo Piano.
Un gruppo di abitanti del quartiere, qualche mese fa, ha dato vita ad un percorso che sta per concretizzarsi in un Comitato, sostenuto da Italia Nostra, Legambiente, Movimento per la Decrescita Felice, Doctors for the Environment.
Il sogno che anima queste persone è quello di poter realizzare un modello di gestione sostenibile del territorio, basato sull’organizzazione di spazi ricreativi e di aggregazione sociale, attraverso una produzione agricola e biovivaistica, mantenendo anche una tutela e conservazione storico-ambientale della Valletta.
Nel 1652 Emanuele Brignole, fondatore dell’Albergo dei Poveri, scriveva nel suo testamento che “nel giardino posteriore i poveri dell’Albergo havranno da passeggiare e prendersi il sole d’inverno e poi, piantativi gli alberi, godere l’ombra e frescura d’estate”.
Prendendo in prestito il pensiero di un altro grande genovese, dopo Renzo Piano, mi piace concludere che, come ha scritto Ivano Fossati, troppo spesso “le parole non hanno chances”, e il Comitato vorrebbe invece far rivivere l’antico auspicio espresso nelle parole di Emanuele Brignole.
Chi volesse percorrere questa strada insieme a noi, è invitato venerdì 24 febbraio, alle ore 21, all’Assemblea Pubblica che si terrà presso l’Auditorium della Parrocchia di San Nicola (Salita della Madonnetta, 1) a Genova.
(Roberta Boero)
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martedì 14 febbraio 2012
OLI 331 - SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - RISARCIMENTO GIANNI (Enzo Costa e Aglaja)
PRIMARIE - Sherwood e Marta regina della notte (Giovanna Profumo)
PRIMARIE - Le entrée nel seggio d’élite (Bianca Vergati)
PRIMARIE - Marco Doria e i "radical chic" (Paola Pierantoni)
LAVORO - I cinquantenni ignorati ricevono risposta (Giovanni Daniele)
GIUSTIZIA - Il giudice Garzon e i crimini contro l'umanità (Angelo Guarnieri)
MIGRANTI - Al Museo Galata, la badante e il muratore (Eleana Marullo)
PAROLE DEGLI OCCHI – 12 febbraio 2012 (a cura di Giorgio Bergami)
PRIMARIE - Sherwood e Marta regina della notte (Giovanna Profumo)
PRIMARIE - Le entrée nel seggio d’élite (Bianca Vergati)
PRIMARIE - Marco Doria e i "radical chic" (Paola Pierantoni)
LAVORO - I cinquantenni ignorati ricevono risposta (Giovanni Daniele)
GIUSTIZIA - Il giudice Garzon e i crimini contro l'umanità (Angelo Guarnieri)
MIGRANTI - Al Museo Galata, la badante e il muratore (Eleana Marullo)
PAROLE DEGLI OCCHI – 12 febbraio 2012 (a cura di Giorgio Bergami)
OLI 331: VERSANTE LIGURE - RISARCIMENTO GIANNI
Catastrofe epocale,
la neve ha fatto un danno
per cui nulla può il sale
mai vi rimedieranno:
spalmar su ogni canale
la faccia di Alemanno.
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OLI 331: PRIMARIE - Sherwood e Marta regina della notte
Dopo le primarie del 12 febbraio Genova è in preda di una narrazione disneyana.
Piccoli principi, marchesi, conti, popolano le pagine dei giornali con tanto di congiure, vendette, alleanze. Mai la politica genovese ha offerto un’immagine più fiabesca con la città che sembra Nottigham espugnata dai ribelli della foresta di Sherwood. C’è anche il prete.
In questa battaglia tra bene e male, la cronaca fedele dei messaggi apparsi su Twitter a firma di Marta Vincenzi, restituisce l’immagine di una donna divorata dalla rabbia la cui acuta capacità di analisi pare polverizzata in uno sciame di voti. Dispiace venire a conoscenza di un lato del carattere che la induce a scrivere “dovevo dargli una mazzata subito, invece di aspettare che si rassegnassero” e che consegna la Sindaco ad un immaginario difficile a morire in cui la donna può essere preda di isteria e quindi deve stare alla larga da ruoli politici.
Ancor più male fa leggere che Marta Vincenzi si paragona ad Ipazia, equiparando la sua battaglia e il suo sacrificio a quello della nota matematica greca. E stupisce leggere sul Secolo XIX che la Sindaco ha “indossato i panni della femminista dura e pura” proprio lei che aveva dichiarato: “Non cerco a priori la solidarietà femminile nelle battaglie che faccio, perché non sopporto la retorica delle cordate vestite di femminismo. Tranne poi addolorarmi e stupirmi quando le ritrovo schierate nella conservazione”.
Nell’attesa che la pacatezza prenda il posto della collera ecco un’aria mozartiana per la Sindaco.
La musica che sa rendere belli tutti i sentimenti della natura umana le sia di conforto.
(Giovanna Profumo)
Piccoli principi, marchesi, conti, popolano le pagine dei giornali con tanto di congiure, vendette, alleanze. Mai la politica genovese ha offerto un’immagine più fiabesca con la città che sembra Nottigham espugnata dai ribelli della foresta di Sherwood. C’è anche il prete.
In questa battaglia tra bene e male, la cronaca fedele dei messaggi apparsi su Twitter a firma di Marta Vincenzi, restituisce l’immagine di una donna divorata dalla rabbia la cui acuta capacità di analisi pare polverizzata in uno sciame di voti. Dispiace venire a conoscenza di un lato del carattere che la induce a scrivere “dovevo dargli una mazzata subito, invece di aspettare che si rassegnassero” e che consegna la Sindaco ad un immaginario difficile a morire in cui la donna può essere preda di isteria e quindi deve stare alla larga da ruoli politici.
Ancor più male fa leggere che Marta Vincenzi si paragona ad Ipazia, equiparando la sua battaglia e il suo sacrificio a quello della nota matematica greca. E stupisce leggere sul Secolo XIX che la Sindaco ha “indossato i panni della femminista dura e pura” proprio lei che aveva dichiarato: “Non cerco a priori la solidarietà femminile nelle battaglie che faccio, perché non sopporto la retorica delle cordate vestite di femminismo. Tranne poi addolorarmi e stupirmi quando le ritrovo schierate nella conservazione”.
Nell’attesa che la pacatezza prenda il posto della collera ecco un’aria mozartiana per la Sindaco.
La musica che sa rendere belli tutti i sentimenti della natura umana le sia di conforto.
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OLI 331: PRIMARIE - Le entrée nel seggio d’élite
Seggio Vegia Arbà, piazza Leopardi, cuore di Albaro. La Senatrice candidata arriva con rito consueto, falcata da jogging, strizzata nel piumino aderente, una vigorosa stretta di mano ai presenti. E’ primo pomeriggio e sfortuna per lei è un momento di calma, ringrazia così i volontari, quasi tutte donne, chiede dell’affluenza che le confermano buona. E’ in compagnia dell’immancabile giovane consigliera Michela, che l’avrà di certo rassicurata sulla tenuta del territorio, è stato fatto un martellante lavoro di passaparola, mail, messaggini, telefonate. Le affianca un tizio rasato dall’aspetto corpulento, con giacca turchina da mago Zurlì, è il body guard, a cui qualcuno chiede se deve votare: un quadretto tipo cantante Madonna.
Il terzetto riparte sull’auto che sfreccia sgommando all’interno del marciapiede e sfiora le scalette dello storico ristorante, inconsueto seggio elettorale.
Fa la sua capatina pure l’ex segretario Mario Tullo, ora parlamentare, aria stazzonata e gioviale, qui votano Pericu, il presidente Burlando, l’assessore Rossetti, alcuni consiglieri comunali, così è una processione obbligata.
E poi è terra di scout, asili e case di riposo della curia.
Irrompe con suorine al seguito la presidente per caso del Municipio Medio Levante, ex Margherita, ex Pd, ora Udc, diventata tale dopo due presidenti di destra, uno sfiduciato per un affaire di appalti e l’altro assurto ad assessore alle manutenzioni per Vincenzi. Nel frattempo il seggio si è riempito, pazientemente gli elettori si accalcano in coda, ma le suore devono votare e subito: all’uopo si mobilita uno dello staff ufficio stampa della Regione, accorso, che grida al telefono, incurante della fastidiosa confusione creata.
Tutti grandi elettori Pd.
La Vegia Arbà risulterà essere fra i primi migliori risultati per la vittoria di Marco Doria, come tutto il Levante. In grande maggioranza le donne, di ogni età, ma anche sedicenni con genitori al seguito: voglia di un volto nuovo, che ha conquistato vecchi e giovani e sconfitto un partito, che ha pure lui due volti nuovi, il segretario provinciale Razetto e il segretario regionale Basso, i due “cattivi ragazzi” che si dimettono per colpe non loro. Pagano in prima persona e da soli la colpa dell’establishment di cui sopra, che ha avallato in segreto l’autocandidatura della Senatrice, l’autoricandidatura della Vincenzi, le primedonne, che i due giovani segretari non volevano e che hanno tentato in tutti i modi di evitare, invocando un ricambio.
Niente da fare, sono stati travolti da entrée come al seggio di piazza Leopardi.
Pressioni romane, vecchi saggi ormai da camino, una pletora di politici trombati o pensionandi, ex di ex, notabili, sponsor di un cambiamento che non cambiava niente. Persino l’ex sindaco di Bologna, che prima stava più qui che a Bologna ed ora è più a Genova che a Bruxelles strepita che bisogna riflettere, lui che ritiratosi per fare il papà si è candidato a segretario in Liguria, ha fortemente voluto la senatrice, appartenente alla sua corrente, l’area Franceschini. Neppure troppo velatamente si imputa la débacle all’inesperienza, troppo giovani questi segretari.
Non è così. Personalismi, ambizioni infinite, vecchie lobby interne di partito, inadeguatezza a cogliere lo stato d’animo della città, l’insofferenza alle stesse facce, ecco le cause della sconfitta del Pd.
Il guaio è che a casa, oltre alle zarine, non ci andranno purtroppo i personaggi inamovibili che ora vogliono lo scalpo dei due cattivi ragazzi. Che però cattivi non sono stati per niente, purtroppo.
(Bianca Vergati)
Il terzetto riparte sull’auto che sfreccia sgommando all’interno del marciapiede e sfiora le scalette dello storico ristorante, inconsueto seggio elettorale.
Fa la sua capatina pure l’ex segretario Mario Tullo, ora parlamentare, aria stazzonata e gioviale, qui votano Pericu, il presidente Burlando, l’assessore Rossetti, alcuni consiglieri comunali, così è una processione obbligata.
E poi è terra di scout, asili e case di riposo della curia.
Irrompe con suorine al seguito la presidente per caso del Municipio Medio Levante, ex Margherita, ex Pd, ora Udc, diventata tale dopo due presidenti di destra, uno sfiduciato per un affaire di appalti e l’altro assurto ad assessore alle manutenzioni per Vincenzi. Nel frattempo il seggio si è riempito, pazientemente gli elettori si accalcano in coda, ma le suore devono votare e subito: all’uopo si mobilita uno dello staff ufficio stampa della Regione, accorso, che grida al telefono, incurante della fastidiosa confusione creata.
Tutti grandi elettori Pd.
La Vegia Arbà risulterà essere fra i primi migliori risultati per la vittoria di Marco Doria, come tutto il Levante. In grande maggioranza le donne, di ogni età, ma anche sedicenni con genitori al seguito: voglia di un volto nuovo, che ha conquistato vecchi e giovani e sconfitto un partito, che ha pure lui due volti nuovi, il segretario provinciale Razetto e il segretario regionale Basso, i due “cattivi ragazzi” che si dimettono per colpe non loro. Pagano in prima persona e da soli la colpa dell’establishment di cui sopra, che ha avallato in segreto l’autocandidatura della Senatrice, l’autoricandidatura della Vincenzi, le primedonne, che i due giovani segretari non volevano e che hanno tentato in tutti i modi di evitare, invocando un ricambio.
Niente da fare, sono stati travolti da entrée come al seggio di piazza Leopardi.
Pressioni romane, vecchi saggi ormai da camino, una pletora di politici trombati o pensionandi, ex di ex, notabili, sponsor di un cambiamento che non cambiava niente. Persino l’ex sindaco di Bologna, che prima stava più qui che a Bologna ed ora è più a Genova che a Bruxelles strepita che bisogna riflettere, lui che ritiratosi per fare il papà si è candidato a segretario in Liguria, ha fortemente voluto la senatrice, appartenente alla sua corrente, l’area Franceschini. Neppure troppo velatamente si imputa la débacle all’inesperienza, troppo giovani questi segretari.
Non è così. Personalismi, ambizioni infinite, vecchie lobby interne di partito, inadeguatezza a cogliere lo stato d’animo della città, l’insofferenza alle stesse facce, ecco le cause della sconfitta del Pd.
Il guaio è che a casa, oltre alle zarine, non ci andranno purtroppo i personaggi inamovibili che ora vogliono lo scalpo dei due cattivi ragazzi. Che però cattivi non sono stati per niente, purtroppo.
(Bianca Vergati)
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Roberta Pinotti
OLI 331: PRIMARIE - Marco Doria e i "radical chic"
Seggio delle primarie presso la casa di quartiere “Ghett-Up”, in Vico della Croce Bianca. In coda con gli altri una signora impossibile da ignorare: per tutto il tempo dell’attesa, una decina di minuti, parla a voce molto alta, girandosi di qua e di là per cercare di coinvolgere le altre persone in coda “Io voto Marta Vincenzi, è l’unica da votare. La Pinotti no, per l’amor del cielo, e Marco Doria è un bravo ragazzo, ma poverino, la mafia del partito se lo mangia, non gli faranno fare nulla” . L’improvvisato spot viene ripetuto più volte, con leggere variazioni, senza suscitare particolari reazioni.
Solo quando la signora aggiunge “E poi lo vota solo un gruppetto di radical chic” si innesca un cortese scambio con una donna in coda davanti a lei: “Io veramente radical chic non sono. E voto Marco Doria …”.
L’episodio è minimale, ma qualche campanello risuona quando anche un importante esponente del Pd, Mario Margini, accosta questo termine ai sostenitori di Doria, descritti come “Sel, radical chic, movimenti, senza tessera, personaggi come don Gallo e Vendola”. Un accorpamento un po’ freak in cui si coglie una nota svalutativa; come dire: con un panorama come questo sarà dura vincere le elezioni.
Del resto Doria viene descritto su La Repubblica del 14 febbraio come “Il marchese che piace ai rossi e alla borghesia che conta”, sottolinenando che “ha raccolto consensi nei quartieri più esclusivi della città”.
Ma ascrivere le ragioni del successo di Marco Doria ai movimentisti romantici e alla ricca borghesia è una deformazione che taglia fuori la categoria forte che ha reso davvero possibile la sua vittoria alle primarie: cioè persone non etichettabili con le categorie di cui sopra, di origine italiana e non, di attività ed età svariatissime, benestanti e non, che abitano in tutti i quartieri di Genova, popolari e non; persone che sono state convinte attraverso una campagna condotta da moltissimi volontari, con pochi soldi, nessun apparato, e nessun aiuto da parte degli organi di stampa.
Lo sconcerto sistematico del Pd di fronte a queste sconfitte mai messe in conto, dalla Puglia, a Milano, a Napoli, e ora a Genova, nella grande diversità delle situazioni, è comunque frutto dello stesso fraintendimento della realtà, a cui viene sostituita un’immagine ingannevole, costruita in un ambito chiuso ed autoriferito.
Nella piazza dei festeggiamenti c’erano persone molto normali che ti raccontavano una “grande gioia”, perché avevano molto lavorato, avevano vissuto insieme “una esperienza bellissima”, e ce l’avevano fatta contro le generali aspettative.
Che c’entra questa gente con i radical chic evocati dall’anonima elettrice del Ghetto, e dal noto politico Pd?
(Paola Pierantoni - foto dell'autrice)
Solo quando la signora aggiunge “E poi lo vota solo un gruppetto di radical chic” si innesca un cortese scambio con una donna in coda davanti a lei: “Io veramente radical chic non sono. E voto Marco Doria …”.
L’episodio è minimale, ma qualche campanello risuona quando anche un importante esponente del Pd, Mario Margini, accosta questo termine ai sostenitori di Doria, descritti come “Sel, radical chic, movimenti, senza tessera, personaggi come don Gallo e Vendola”. Un accorpamento un po’ freak in cui si coglie una nota svalutativa; come dire: con un panorama come questo sarà dura vincere le elezioni.
Del resto Doria viene descritto su La Repubblica del 14 febbraio come “Il marchese che piace ai rossi e alla borghesia che conta”, sottolinenando che “ha raccolto consensi nei quartieri più esclusivi della città”.
Ma ascrivere le ragioni del successo di Marco Doria ai movimentisti romantici e alla ricca borghesia è una deformazione che taglia fuori la categoria forte che ha reso davvero possibile la sua vittoria alle primarie: cioè persone non etichettabili con le categorie di cui sopra, di origine italiana e non, di attività ed età svariatissime, benestanti e non, che abitano in tutti i quartieri di Genova, popolari e non; persone che sono state convinte attraverso una campagna condotta da moltissimi volontari, con pochi soldi, nessun apparato, e nessun aiuto da parte degli organi di stampa.
Lo sconcerto sistematico del Pd di fronte a queste sconfitte mai messe in conto, dalla Puglia, a Milano, a Napoli, e ora a Genova, nella grande diversità delle situazioni, è comunque frutto dello stesso fraintendimento della realtà, a cui viene sostituita un’immagine ingannevole, costruita in un ambito chiuso ed autoriferito.
Nella piazza dei festeggiamenti c’erano persone molto normali che ti raccontavano una “grande gioia”, perché avevano molto lavorato, avevano vissuto insieme “una esperienza bellissima”, e ce l’avevano fatta contro le generali aspettative.
Che c’entra questa gente con i radical chic evocati dall’anonima elettrice del Ghetto, e dal noto politico Pd?
(Paola Pierantoni - foto dell'autrice)
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OLI 331: LAVORO - I cinquantenni ignorati ricevono risposta
Cogliamo con interesse la critica di S.D.P. (OLI n. 327 ) che richiama sostanzialmente la questione del ruolo dei servizi pubblici per l’impiego nella gestione del mercato del lavoro e del loro posizionamento rispetto alla “legge della domanda e dell’offerta” di lavoro.
La normativa nazionale e regionale attribuisce ai Centri per l’Impiego lo svolgimento di attività fra le quali rientra la “preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di lavoro” con l’obiettivo principale di agevolare la conoscenza reciproca e quindi l’incrocio fra le imprese in cerca di nuovi collaboratori e le persone in cerca di lavoro. Per la Provincia di Genova tale servizio è denominato “Match – aziende e lavoro” e raccoglie le richieste di preselezione presentate dalle imprese del territorio, offrendo in tempi brevi una rosa di candidati preselezionati secondo quanto richiesto dall’impresa e nel rispetto della legge. Esistono poi servizi e/o progetti dedicati a particolari target di disoccupati che consentano una presa in carico più strutturata e che va oltre il semplice “agevolare” l’incontro domanda e offerta.
Restando però al servizio Match, dal 2002 la Provincia si è impegnata per offrire un servizio di qualità sia per i disoccupati sia per le imprese, cercando di mediare tra esigenze spesso non coincidenti. Si tratta da un lato di favorire l’accesso dei lavoratori alle opportunità di impiego presenti sul territorio, dall’altro di fornire un servizio di qualità alle aziende che, non essendo tenute a utilizzare i servizi dei CPI, possono scegliere liberamente chi assumere e a quali servizi di preselezione rivolgersi.
Già da tempo stavamo valutando l’opportunità di eliminare la possibilità per le aziende di segnalare un range di età all’interno del quale chiederci la preselezione. Fino ad oggi si è ritenuto di andare incontro a questo tipo di richiesta, nei casi in cui fosse possibile preselezionare un numero congruo di lavoratori rispondenti alle richieste aziendali, soprattutto perché di fatto i CV di lavoratori “fuori target” segnalati all’azienda non vengono dalla stessa generalmente presi in considerazione anche se spesso i nostri operatori provano a proporre comunque curricula anche non perfettamente rispondenti a tutti i requisiti dettati dall’azienda.
Non si può negare però che la platea delle persone in cerca di occupazione sia oggi sempre più vasta e variegata e che la normativa vigente spinga sempre più verso quello che viene definito “invecchiamento attivo”. In questo contesto, l’obiettivo di stimolare le imprese a una maggiore responsabilità sociale può passare in effetti anche attraverso il tipo di cambiamento che ci avete suggerito e che porta a non porre limiti di età (se non giustificate dalla disponibilità a certi tipi di contratto, che al limite di età sono subordinati) e a preselezionare i CV senza tenere in conto l’età del candidato rispetto alla richiesta del datore di lavoro potenziale.
Abbiamo quindi già provveduto a rimuovere il limite d’età dal format per le richieste aziendali sul sistema match on line e stiamo lavorando ad altre modifiche che possano garantire una maggior trasparenza e possibilità di accesso alle opportunità di lavoro.
Per quanto riguarda l’altra tematica toccata dall’articolo (esenzione ticket) pur non essendo di nostra competenza facciamo presente che da tempo la Provincia di Genova sta segnalando in tutte le sedi che sarebbe opportuno non utilizzare l’iscrizione al Centro per l’Impiego come requisito per l’accesso a benefici, esenzioni e contributi (accesso a case popolari, abbonamenti AMT ridotti ecc.) che vogliano agevolare fasce di popolazione disagiate essendo a tal scopo meglio utilizzare ad esempio l’ISEE o altri indicatori che esprimano la capacità economica del cittadino piuttosto che il suo stato occupazionale o – più precisamente – il suo grado di attivazione rispetto alla ricerca del lavoro. Grazie per il vostro lavoro di informazione e critica.
(Giovanni Daniele, dirigente dei servizi per l'impiego della Provincia di Genova - disegno di Guido Rosato)
La normativa nazionale e regionale attribuisce ai Centri per l’Impiego lo svolgimento di attività fra le quali rientra la “preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di lavoro” con l’obiettivo principale di agevolare la conoscenza reciproca e quindi l’incrocio fra le imprese in cerca di nuovi collaboratori e le persone in cerca di lavoro. Per la Provincia di Genova tale servizio è denominato “Match – aziende e lavoro” e raccoglie le richieste di preselezione presentate dalle imprese del territorio, offrendo in tempi brevi una rosa di candidati preselezionati secondo quanto richiesto dall’impresa e nel rispetto della legge. Esistono poi servizi e/o progetti dedicati a particolari target di disoccupati che consentano una presa in carico più strutturata e che va oltre il semplice “agevolare” l’incontro domanda e offerta.
Restando però al servizio Match, dal 2002 la Provincia si è impegnata per offrire un servizio di qualità sia per i disoccupati sia per le imprese, cercando di mediare tra esigenze spesso non coincidenti. Si tratta da un lato di favorire l’accesso dei lavoratori alle opportunità di impiego presenti sul territorio, dall’altro di fornire un servizio di qualità alle aziende che, non essendo tenute a utilizzare i servizi dei CPI, possono scegliere liberamente chi assumere e a quali servizi di preselezione rivolgersi.
Già da tempo stavamo valutando l’opportunità di eliminare la possibilità per le aziende di segnalare un range di età all’interno del quale chiederci la preselezione. Fino ad oggi si è ritenuto di andare incontro a questo tipo di richiesta, nei casi in cui fosse possibile preselezionare un numero congruo di lavoratori rispondenti alle richieste aziendali, soprattutto perché di fatto i CV di lavoratori “fuori target” segnalati all’azienda non vengono dalla stessa generalmente presi in considerazione anche se spesso i nostri operatori provano a proporre comunque curricula anche non perfettamente rispondenti a tutti i requisiti dettati dall’azienda.
Non si può negare però che la platea delle persone in cerca di occupazione sia oggi sempre più vasta e variegata e che la normativa vigente spinga sempre più verso quello che viene definito “invecchiamento attivo”. In questo contesto, l’obiettivo di stimolare le imprese a una maggiore responsabilità sociale può passare in effetti anche attraverso il tipo di cambiamento che ci avete suggerito e che porta a non porre limiti di età (se non giustificate dalla disponibilità a certi tipi di contratto, che al limite di età sono subordinati) e a preselezionare i CV senza tenere in conto l’età del candidato rispetto alla richiesta del datore di lavoro potenziale.
Abbiamo quindi già provveduto a rimuovere il limite d’età dal format per le richieste aziendali sul sistema match on line e stiamo lavorando ad altre modifiche che possano garantire una maggior trasparenza e possibilità di accesso alle opportunità di lavoro.
Per quanto riguarda l’altra tematica toccata dall’articolo (esenzione ticket) pur non essendo di nostra competenza facciamo presente che da tempo la Provincia di Genova sta segnalando in tutte le sedi che sarebbe opportuno non utilizzare l’iscrizione al Centro per l’Impiego come requisito per l’accesso a benefici, esenzioni e contributi (accesso a case popolari, abbonamenti AMT ridotti ecc.) che vogliano agevolare fasce di popolazione disagiate essendo a tal scopo meglio utilizzare ad esempio l’ISEE o altri indicatori che esprimano la capacità economica del cittadino piuttosto che il suo stato occupazionale o – più precisamente – il suo grado di attivazione rispetto alla ricerca del lavoro. Grazie per il vostro lavoro di informazione e critica.
(Giovanni Daniele, dirigente dei servizi per l'impiego della Provincia di Genova - disegno di Guido Rosato)
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Stefano De Pietro
OLI 331: GIUSTIZIA - Il giudice Garzon e i crimini contro l'umanità
Giovedì 10 febbraio il giudice Baltasar Garzon è stato condannato dal Tribunale supremo spagnolo a 11 anni di interdizione dalla Magistratura, per abuso d'ufficio, per aver fatto intercettare illegalmente nel ”caso Gurtel” tre imputati, ledendone i diritti alla difesa. La denuncia era stata presentata da un gruppo neofascista e post-franchista. Altri due processi pendono sul magistrato: per aver violato la legge di amnistia del 1978 sugli uomini di Franco, e l'altro per corruzione, per aver accettato il bonus per un ciclo di conferenze negli U.S.A. dal Banco di Santander, di cui in un processo successivo aveva assolto il presidente.
Il giudice Garzon è uno dei giudici più famosi del mondo: ha osato disseppellire i crimini del franchismo, incriminare per corruzione potenti socialisti e democristiani, Berlusconi per Telecinco e fondi neri, ha fatto incarcerare, unico al mondo, Pinochet, ha indagato con successo sulla tragedia Argentina, ha messo sotto accusa Bin Laden per la strage della stazione di Atocha, perseguito i fiancheggiatori del terrorismo dell'ETA, e i metodi illegali e terroristi con i quali alcuni avevano pensato di sconfiggerla. Ha osato molto, e dato molto fastidio al sistema politico, alla magistratura, alle colpevoli acquiescenze della storia. Il giorno dell'annuncio alla radio della condanna, un giornalista di El Pais intervistato ha affermato senza mezzi termini che quello era un giorno triste per la giustizia spagnola e che, subito dopo l'era Zapatero, il potere rin-Francato si era liberato di una persona molto scomoda.
La condanna del giudice Garzon credo debba indignare i democratici autentici del mondo.
Il giudice Garzon, sicuramente alla luce di una burocrazia, essenza delle istanze mortifere del XX secolo, e di una legittimità che non sempre si identifica con il giusto, è stato inabilitato, reso inoffensivo, perché ha osato mettere in scacco i potenti, perché non è stato al suo posto all'interno delle coordinate del potere post-franchista, democristiane e socialiste. E ora è il momento buono per fargliela pagare, per metterlo a posto, per renderlo inoffensivo. Mani pulite, do you remember, in questi giorni di ricorrenze e ripresentazioni? Ma il giudice Garzon è andato oltre: voleva processare i crimini del franchismo, la tragedia del Cile, Pinochet, l'orrore della dittatura Argentina. E' stato imprudente, forse ha commesso abusi, certo pagherà. Non nell'onore, nell'etica , nella giustizia che solo la storia potrà giudicare.
E' stato imprudente, radicalmente imprudente, perché si è messo contro i potenti, perché ha scelto di essere “uomo in rivolta”. Sto leggendo "Prima della Fine" di Ernesto Sabato, che consiglierei anche ai gufi con gli occhiali di leggere; in esso si racconta della tragedia più profonda del novecento: la perdita dell'umanità dell'uomo, sopraffatto dalla tecnologia, dal denaro, dalla violenza, dalla perdita di compassione. Ebbene in un passo del libro scritto nel 1998, Sabato, che aveva 90 anni (è morto a 100 anni nel 2011) e aveva presieduto la Commissione contro i crimini della dittatura Argentina, afferma che Garzon è uno degli uomini del nostro tempo che con il suo senso di giustizia può contribuire a restaurare l'onore del mondo. Facciamo parlare lui: “ ...come dimostrano le indagini condotte in altri paesi da persone come il giudice Garzon... Il sangue, l'orrore, la violenza interpellano l'umanità intera, e attestano che non possiamo ignorare la sofferenza di nessun essere umano.”
(Angelo Guarnieri - disegno di Guido Rosato)
Il giudice Garzon è uno dei giudici più famosi del mondo: ha osato disseppellire i crimini del franchismo, incriminare per corruzione potenti socialisti e democristiani, Berlusconi per Telecinco e fondi neri, ha fatto incarcerare, unico al mondo, Pinochet, ha indagato con successo sulla tragedia Argentina, ha messo sotto accusa Bin Laden per la strage della stazione di Atocha, perseguito i fiancheggiatori del terrorismo dell'ETA, e i metodi illegali e terroristi con i quali alcuni avevano pensato di sconfiggerla. Ha osato molto, e dato molto fastidio al sistema politico, alla magistratura, alle colpevoli acquiescenze della storia. Il giorno dell'annuncio alla radio della condanna, un giornalista di El Pais intervistato ha affermato senza mezzi termini che quello era un giorno triste per la giustizia spagnola e che, subito dopo l'era Zapatero, il potere rin-Francato si era liberato di una persona molto scomoda.
La condanna del giudice Garzon credo debba indignare i democratici autentici del mondo.
Il giudice Garzon, sicuramente alla luce di una burocrazia, essenza delle istanze mortifere del XX secolo, e di una legittimità che non sempre si identifica con il giusto, è stato inabilitato, reso inoffensivo, perché ha osato mettere in scacco i potenti, perché non è stato al suo posto all'interno delle coordinate del potere post-franchista, democristiane e socialiste. E ora è il momento buono per fargliela pagare, per metterlo a posto, per renderlo inoffensivo. Mani pulite, do you remember, in questi giorni di ricorrenze e ripresentazioni? Ma il giudice Garzon è andato oltre: voleva processare i crimini del franchismo, la tragedia del Cile, Pinochet, l'orrore della dittatura Argentina. E' stato imprudente, forse ha commesso abusi, certo pagherà. Non nell'onore, nell'etica , nella giustizia che solo la storia potrà giudicare.
E' stato imprudente, radicalmente imprudente, perché si è messo contro i potenti, perché ha scelto di essere “uomo in rivolta”. Sto leggendo "Prima della Fine" di Ernesto Sabato, che consiglierei anche ai gufi con gli occhiali di leggere; in esso si racconta della tragedia più profonda del novecento: la perdita dell'umanità dell'uomo, sopraffatto dalla tecnologia, dal denaro, dalla violenza, dalla perdita di compassione. Ebbene in un passo del libro scritto nel 1998, Sabato, che aveva 90 anni (è morto a 100 anni nel 2011) e aveva presieduto la Commissione contro i crimini della dittatura Argentina, afferma che Garzon è uno degli uomini del nostro tempo che con il suo senso di giustizia può contribuire a restaurare l'onore del mondo. Facciamo parlare lui: “ ...come dimostrano le indagini condotte in altri paesi da persone come il giudice Garzon... Il sangue, l'orrore, la violenza interpellano l'umanità intera, e attestano che non possiamo ignorare la sofferenza di nessun essere umano.”
(Angelo Guarnieri - disegno di Guido Rosato)
Su questo sito si raccolgono firme a favore del giudice Garzon:
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OLI 331: MIGRANTI - Al Museo Galata, la badante e il muratore
Nel novembre 2011 a Genova ha inaugurato un’opera pionieristica: per la prima volta in Italia, in una sede istituzionale permanente, una sezione dedicata all’immigrazione. L’apertura del percorso riporta alle origini del fenomeno: le immagini del fotografo Uliano Lucas ritraggono i pescatori nordafricani di Mazara del Vallo, agli inizi degli anni ’70 del Novecento, quando ancora l’identità dell’Italia era in bilico e quelli che partivano uguagliavano il numero di quelli che arrivavano (il saldo positivo tra emigrazione ed immigrazione si ebbe soltanto a partire dal 1973), le grandi manifestazioni degli anni 90’, immagini di città il cui volto è cambiato. Successivamente, nella sezione intitolata “Cartoline di viaggio”, scegliendo una cartolina di un paese di origine, inizia il video di chi è partito e racconta la propria storia, spesso tragica e dolorosa. Le fonti utilizzate per questa parte dell’esposizione sono le ricerche di Giovanni Maria Bellu e Gabriele Del Grande, che da anni si occupano dei viaggi lungo il mediterraneo e della carneficina silenziosa che continua ancora oggi. Proseguendo nella visita, il percorso tocca tasti sempre più dolorosi: un barcone, tra i primi di quelli che dopo gli esiti della primavera araba hanno raggiunto l’isola di Lampedusa dalla Tunisia, è esposto tra alcuni espositori, intitolati “Archeologia della disperazione”, che mostrano oggetti comuni, scarpe, bambole, biberon, fotografie, che il mare ha restituito come unica traccia di chi li ha posseduti.
Di seguito, si torna all’aspetto sociale, ed il primo messaggio è espresso con chiarezza (anche se con pessima illuminazione): il pannello “Chi ci ruba il lavoro?” tranquillizza l’animo dei visitatori italiani: gli stranieri non rubano il lavoro, perché “I lavoratori immigrati ben raramente competono con quelli italiani. A loro sono rimasti i lavori disagiati, quelli flessibili e usuranti e per di più (dati INPS) il 20% in meno rispetto agli italiani. Il lavoro femminile, in più, ha rappresentato un vero puntello per il welfare state all’italiana: la badante con l’anziano disabile a casa, e la donna italiana a lavorare in ufficio” ( http://www.galatamuseodelmare.it/cms/sezione%20emigrazione-189.html in "Descrizione del percorso"). Un gioco multimediale pone davanti alcuni oggetti, simboli del lavoro straniero in Italia: una cazzuola da muratore, una borsa Yves Saint Laurent, una scopa, un asciugacapelli: chi vuole può divertirsi ad ascoltarne la storia. Il percorso prosegue portandoci in una classe “colorata e composta”. Tra i problemi legati alla scuola ci sarebbero, secondo il pannello, le difficoltà di lingua e comprensione degli studenti di origine straniera, arrivati qui o nati in Italia. In conclusione, la “nicchia della riflessione”, dove i curatori, in video, invitano il pubblico a riflettere su alcuni punti.
Una “nicchia della riflessione”, a questo punto, sarebbe utile anche per i curatori:
un’istituzione culturale permanente dovrebbe stare lontana da luoghi comuni, vista la forza simbolica che qualsiasi oggetto assume se esposto in un museo: la rassicurazione sul fatto che gli stranieri non rubano il lavoro perché adibiti a mansioni usuranti e disagiate è adatta al contesto museale? E’ un fondamento sociologico? Che messaggio può trasmettere alle seconde e terze generazioni in visita al museo? Per quanto ancora i cittadini stranieri saranno visti come “la badante” e “il muratore”?
E’ proprio vero che le seconde e terze generazioni hanno problemi di comprensione linguistica? Su che dati si basa questa affermazione? Sarebbe interessante chiederlo a qualcuno di loro.
Manca totalmente qualche riferimento alla storia dell’immigrazione a Genova, eppure tante sono le persone che se ne sono occupate e se ne occupano, che avrebbero potuto fornire dati sulla realtà sociale della città. Perché?
Di seguito, si torna all’aspetto sociale, ed il primo messaggio è espresso con chiarezza (anche se con pessima illuminazione): il pannello “Chi ci ruba il lavoro?” tranquillizza l’animo dei visitatori italiani: gli stranieri non rubano il lavoro, perché “I lavoratori immigrati ben raramente competono con quelli italiani. A loro sono rimasti i lavori disagiati, quelli flessibili e usuranti e per di più (dati INPS) il 20% in meno rispetto agli italiani. Il lavoro femminile, in più, ha rappresentato un vero puntello per il welfare state all’italiana: la badante con l’anziano disabile a casa, e la donna italiana a lavorare in ufficio” ( http://www.galatamuseodelmare.it/cms/sezione%20emigrazione-189.html in "Descrizione del percorso"). Un gioco multimediale pone davanti alcuni oggetti, simboli del lavoro straniero in Italia: una cazzuola da muratore, una borsa Yves Saint Laurent, una scopa, un asciugacapelli: chi vuole può divertirsi ad ascoltarne la storia. Il percorso prosegue portandoci in una classe “colorata e composta”. Tra i problemi legati alla scuola ci sarebbero, secondo il pannello, le difficoltà di lingua e comprensione degli studenti di origine straniera, arrivati qui o nati in Italia. In conclusione, la “nicchia della riflessione”, dove i curatori, in video, invitano il pubblico a riflettere su alcuni punti.
Una “nicchia della riflessione”, a questo punto, sarebbe utile anche per i curatori:
un’istituzione culturale permanente dovrebbe stare lontana da luoghi comuni, vista la forza simbolica che qualsiasi oggetto assume se esposto in un museo: la rassicurazione sul fatto che gli stranieri non rubano il lavoro perché adibiti a mansioni usuranti e disagiate è adatta al contesto museale? E’ un fondamento sociologico? Che messaggio può trasmettere alle seconde e terze generazioni in visita al museo? Per quanto ancora i cittadini stranieri saranno visti come “la badante” e “il muratore”?
E’ proprio vero che le seconde e terze generazioni hanno problemi di comprensione linguistica? Su che dati si basa questa affermazione? Sarebbe interessante chiederlo a qualcuno di loro.
Manca totalmente qualche riferimento alla storia dell’immigrazione a Genova, eppure tante sono le persone che se ne sono occupate e se ne occupano, che avrebbero potuto fornire dati sulla realtà sociale della città. Perché?
(Eleana Marullo)
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