Il ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi, in audizione alla commissione Affari Costituzionali, ha proposto di allungare da sei mesi ad un anno il tempo per poter cercare un nuovo lavoro per gli immigrati disoccupati. E’ certamente un passo avanti ma non basta: moltissimi continueranno a perdere il permesso di soggiorno a causa della perdita del lavoro e soprattutto continuerà ad accadere che tra questi ci siano persone che hanno vissuto nel nostro paese regolarmente anche per 20 anni. La norma che il ministro propone di modificare produce più clandestini di quanto producono gli ingressi clandestini, gli sbarchi della morte ed i trafficanti criminali di mano d’opera clandestina. Si pensi che nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413 (Dossier Caritas 2011).
Paradossalmente tale norma è stata concepita, come evidenzia tutta la sua traiettoria legislativa (fino alla Bossi – Fini), per tutelare la regolarità del soggiorno delle persone che fanno il primo ingresso in Italia e che perdono il lavoro. Era, infatti, inclusa nella prima legge italiana sull’immigrazione (L. 943/86), per adempiere alle disposizioni della Convenzione 143/75 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ratificata dal nostro paese nel 1981: “il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno”.
Soltanto un’interpretazione restrittiva ed infondata ha permesso che tale norma (evidentemente concepita a tutela della regolarità degli immigrati entrati in Italia per via dei decereti flussi, al primo rinnovo del titolo di soggiorno) sia stata usata finora, e possa ancora esserlo, per danneggiare i regolarmente soggiornanti anche da 20 anni, con conseguenze tragiche, ricacciando nella clandestinità chi si era faticosamente regolarizzato, inserito, formato ed integrato nel nostro paese. Inoltre, questa norma lancia un messaggio eticamente e culturalmente molto negativo: quello di non riconoscere i migranti come donne e uomini, cittadine e cittadini, ma soltanto come braccia e mano d’opera che possono rimanere nel paese solo se servono.
Un governo di tecnici competenti (non di “acerbi tecnici”, come si è autodefinito il ministro Riccardi dinanzi alla commissione), ripristinerebbe le funzionalità originarie di questa norma limitandone l’applicazione ai casi del primo rinnovo del permesso.
Infatti, per il secondo rinnovo il legislatore non prevede, come unica condizione, l'essere titolari di un contratto di lavoro; in mancanza basta dimostrare "la disponibilità di un reddito sufficiente da lavoro o da altra fonte lecita". E per chi soggiorna regolarmente da più di 5 e 10 anni le intenzioni del legislatore sono quelle del rilascio della carta di soggiorno con validità a tempo indeterminato e della concessione della cittadinanza italiana.
Un governo di tecnici competenti farebbe un provvedimento straordinario per restituire il permesso di soggiorno alle centinaia di migliaia di persone che l’hanno perso negli ultimi tre anni di crisi per motivi diversi da quelli di pericolosità sociale o di ordine pubblico. Inoltre regolarizzerebbe tutti coloro che dimostrano di avere un rapporto di lavoro anche se non hanno mai avuto un permesso di soggiorno attraverso piani permanenti di emersione dal lavoro nero che prevedano il rilascio del permesso di soggiorno al lavoratore immigrato irregolare, anche nel caso di opposizione del datore di lavoro. Governare l’immigrazione nel nostro paese dopo il disastro degli ultimi vent’anni, richiede, esattamente come per l’economia, una grande competenza, serietà, ricerca, innovazione. Ci vuole una grande intelligenza del sapere e della conoscenza delle leggi e delle circolari al servizio della grande sensibilità, dell’attenzione e dei buoni sentimenti di cui è portatore il ministro Riccardi. Caro ministro si faccia aiutare da tecnici antirazzisti esperti in materia.
(Saleh Zaghloul)
martedì 17 gennaio 2012
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