Ho speso buona parte della vita lavorativa in aziende del gruppo IRI. Di scandali ne ho visti molti nel periodo 1960 - 2000: in Finsider, in Alfasud, in Finmeccanica (ripetutamente), in Fincantieri, in Ilva. Ai miei tempi, però, quando gli scandali emergevano in sede giudiziaria, oppure superavano un certo limite ritenuto, a torto, accettabile, scattava la “risoluzione per giusta causa”. Difficilmente questa era accompagnata da una “buona uscita”. Per contro, a differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti (Enron), poche sono state le condanne e mai, a mia memoria, azienda a partecipazione statale si è costituita parte civile.
Quindi non mi meraviglio degli episodi di cronaca riportati in questi giorni dai giornali e solo in parte oggetto di indagine giudiziaria. Considero invece uno scandalo nello scandalo sia la liquidazione concordata con l’ex presidente del gruppo (5,5 milioni di euro) che il comunicato del Consiglio di Amministrazione che recita “i più sentiti ringraziamenti per l’altissima professionalità e il proficuo impegno che hanno consentito la crescita e l’affermazione del gruppo sui mercati internazionali…” (per il seguito si rinvia al Fatto Quotidiano del 2 dicembre u.s.). Liquidazione che, aggiunge il giornale, è pari a circa 220 anni di stipendio di un impiegato della Finmeccanica.
Anche se ormai pensionato da tempo, formulo alcune riflessioni:
1) L’andamento dei titoli Finmeccanica evidenzia oggi, primo dicembre, una perdita del 61,72 % rispetto al 1 gennaio 2011.
2) La “promotion internazionale” non è stata affidata ad “area manager”, tecnicamente competenti e cresciuti in azienda, ma a faccendieri, a uomini delle pubbliche relazioni e, sempre a detta dei giornali, ad una cosi detta “ambasciatrice” sud americana proveniente da altra attività non meglio chiarita.
3) Nessuno ha mai esternato il pesante condizionamento esercitato dai politici, non circoscritto al solo “nepotismo” e “familismo” (vedere ultimo numero di Panorama) ma esteso alla concessione di appalti, ai finanziamenti ai partiti, alle carriere manageriali interne.
4) L’assenza di ogni verifica – controllo da parte dei consiglieri di amministrazione (profumatamente pagati); in particolare di quelli del Ministero del Tesoro (azionista di maggioranza relativa), dei sindaci e degli enti preposti.
5) Il taglio mediatico alla questione Finmeccanica che porta ad individuare ogni responsabilità nei coniugi Guarguaglini e nel responsabile delle p.r.
Quanto sopra unicamente per concludere, amaramente, che le conseguenze ricadranno, come sempre, sui contribuenti e, in particolare, sui lavoratori del gruppo, mentre chi è causa del disastro potrà godersi in pace la “buona uscita”. Le “buone uscite” dei c.d. manager sono infatti lievitate a livelli stratosferici, le loro retribuzioni, sia nel “pubblico” che nel “privato”, sono cresciute esponenzialmente e in modo inversamente proporzionale al potere di acquisto di pensionati e forza lavoro. Continuano ad essere richiesti, sin dagli anni ottanta, in nome di “patriottismo per una salvezza nazionale” sempre sventolata e mai raggiunta, pesanti sacrifici, cui operai, impiegati e pensionati si sono abituati, ma che hanno raggiunto e stanno superando i limiti di sopportabilità, mentre i loro figli non hanno sbocchi occupazionali significativi.
Genova, infine, dopo le pesanti ristrutturazioni degli anni ottanta, della svendita dell’ILVA e in presenza della incombente minaccia rappresentata dalla Cantieristica, si deve preparare a ulteriori ridimensionamenti e “spezzatini” per consentire lo sviluppo di un gruppo che si sta orientando verso aeronautica e difesa, cedendo (o svendendo?) gli altri settori di attività (vedi Repubblica del 2/12/2011 – articolo di Giovanni Pons).
(Vittorio Flick)
martedì 6 dicembre 2011
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