Pochi giorni fa è morto Paolo Arvati. Nell’articolo che gli dedica Luca Borzani su La Repubblica ed. Genova di mercoledì 9 novembre troviamo le parole che descrivono la sua opera: sociologo, direttore dell’Istituto Gramsci, esperto di statistica di livello nazionale, docente universitario, dirigente del Comune di Genova, intellettuale rigoroso, militante del Pci, ma, scrive Borzani: “soprattutto era la Cgil il suo riferimento”. Infatti era stato dirigente sindacale, nella Cgil Scuola e nella Camera del Lavoro, ma non era invecchiato nel sindacato, aveva saputo cambiare. Il suo legame col movimento sindacale e operaio però non si era mai interrotto, e si era espresso nella sua attività di ricerca storica e sociale.
Un rito laico lo ha salutato, come avevano chiesto lui e sua moglie. Il luogo, un piazzale all’aperto, quello della Camera del Lavoro di Genova.
La sfera del trascendente, del religioso, non era assente: la rappresentava un amico, sindacalista e membro della Tavola Valdese, ma si presentava sotto la forma della ricerca, della indagine etica e intellettuale, dell’interrogativo, e non sotto quella dell’affidamento e della fede.
E’ stato un rito semplice, che è riuscito a restituire l’immagine della persona che si stava salutando: una personalità limpida, e schiva, priva di qualsiasi boria; una grande intelligenza e uno stile di lavoro e di vita caratterizzato dal rigore; una inesauribile curiosità intellettuale e una costante disponibilità verso tutti.
Le persone che affollavano il cortile, dal racconto di questa vita che avevano avuto la fortuna di incrociare, ricevevano di riflesso frammenti della propria.
Nello spazio di un’ora la cerimonia si è conclusa. Tutto, mi pare, era in armonia col carattere di Arvati.
Nel momento del commiato incontro un compagno della Cgil, ora in pensione, che dice: “I riti bisognerebbe abolirli. Tutti i riti”. L’amica che è con me reagisce “No, i riti sono essenziali, anche per chi è laico. Non possiamo fare a meno dei riti!”.
Paolo Arvati ha potuto avere un luogo che ha accolto, con dignità e senso, il rito laico del suo commiato.
Ma questa è una possibilità rara, nata da una storia personale non comune.
Per la maggioranza non esistono luoghi in cui svolgere riti alternativi a quelli religiosi. Dovrebbero essere luoghi belli, diffusi in tutti i quartieri. Una città rispettosa delle storie, dei sentimenti e dei pensieri di tutti i suoi cittadini dovrebbe essere capace di crearli.
Hanno parlato di Paolo: Ilvano Bosco, segretario della Camera del Lavoro; Adriano Bertolini, membro della Tavola Valdese; Marco Doria, storico; Giorgio Ghezzi, presidente della Fondazione Di Vittorio.
(Paola Pierantoni)
martedì 15 novembre 2011
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