Il concetto di “equilibrio ecologico” è in sé un concetto dinamico, che con il variare dei fattori (clima, popolazione umana e non, ecc.) varia anch’esso. È forse utile riportare la voce dell’Enciclopedia Treccani:
Ecologia umana - Nata come disciplina biologica l’e., da quando ha cominciato a occuparsi dell’ambiente dell’uomo, è divenuta una scienza trasversale, che interessa anche le discipline sociali e che ha contatti con la geografia. Questa, infatti, è stata a lungo interpretata come studio delle relazioni (varie, mutevoli e complesse) tra l’ambiente e le società. In realtà, la geografia non è tanto lo studio delle relazioni dell’umanità con l’ambiente quanto la scienza dell’organizzazione umana dello spazio; ma nell’organizzare il suo spazio l’uomo, se per un lato subisce certe influenze ambientali, dall’altro modifica profondamente e incessantemente l’ambiente (e anche lo sconvolge e lo degrada), rimettendo continuamente in discussione il suo rapporto con l’ambiente stesso.
Da questa definizione si capisce che parlare di “nostro alterato equilibrio ecologico” non ha molto senso.
Come non ha senso umanizzare gli animali, dividendoli in buoni e in quelli di cui non si deve parlare, atteggiamento al quale sono dediti purtroppo molti dei cosiddetti animalisti. A ben vedere, anche dei “buoni” bisogna parlare prendendo in considerazione solo alcuni aspetti. Una mia amica ha posto una mangiatoia per uccellini sul balconcino di casa, che dà sul giardino. Quello che non mangiano i supernutriti uccellini, attira la notte famigliole di ratti di campagna. Lei ne è deliziata e in fondo orgogliosa. Ma guai se i suddetti roditori si arrampicano sul tetto o entrano in casa!
Amabili vecchine vagano per la città dispensando sacchi di cibo a piccioni, gabbiani e topi.
I cani sono graziosi surrogati di figli, e lo stesso i gatti. Se sono randagi vanno sterilizzati. Ma non si tiene conto dei branchi che si aggirano fuori città e che fanno danni anche a chi alleva animali, oltre che alla fauna selvatica. Questa, peraltro, si arrangia benissimo da sola e non disdegna di entrare nelle sacre Città dell’Uomo per nutrirsi di ciò che trova, o di ciò che i sopracitati animalisti danno loro come se fossero i loro animali di casa. E questo non riguarda solo i cinghiali, ma anche volpi, ricci, donnole, faine, ecc. che poi rimangono vittime dell’Uomo, sotto forma di automobilisti, guardie municipali, ecc. Peraltro gli “animalisti” non si scandalizzano delle derattizzazioni e delle disinfestazioni che periodicamente si fanno in tutte le città, se non in funzione del pericolo che queste comportano per i loro propri beniamini, cani o gatti che siano.
L’uomo deve regolare la natura? E se sì, come? Proteggendo certe specie e distruggendone altre? E se no, come? Noi per primi, da millenni (e non da pochi decenni, come si blatera in giro) stiamo stravolgendo l’ambiente che ci circonda: abbiamo trasformato i grandi boschi che coprivano l’Italia in campi prima, e in distese costruite poi. E continuiamo, basta guardarci intorno, anche noi in Liguria! Si dice che questo porterà alla fine dell’Umanità, della vita sulla Terra!
Ma dove è il problema? La Terra può fare tranquillamente a meno degli uomini, come di qualsiasi altra specie: cambierà semplicemente l’“ecologia”. Noi non ci saremo, ma ci saranno altre specie capaci di sopravvivere e prosperare, fino a che non saranno soppiantate da altre più adatte ai mutamenti che interverranno, e così via.
(Carlotta Bombrini)
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