Leggendo su Oli “Nucleare-no e basta”, vengono in mente alcune considerazioni di tipo generale.
La prima considerazione riguarda l’atteggiamento dell’Autore, che oggi in Italia purtroppo sembra comune indipendentemente dai contenuti del pensiero.
Si ostenta una categorica certezza. Le affermazioni categoriche non caratterizzano i dibattiti per serenità e gli interlocutori per indipendenza di giudizio, ma piuttosto sono tipiche di una partecipazione emotiva simile a quella di una tifoseria calcistica; non favoriscono il confronto fra le opinioni e quindi non consentono di arrivare ad una decisione largamente condivisa; cosa tanto più necessaria quanto le conseguenze (positive o negative) di una decisione sbagliata sono rilevanti per molte future generazioni.
Quindi l’emotività va lasciata fuori, come pure il vituperato paternalismo.
La seconda considerazione riguarda il merito.
E’ necessario stabilire in quale scenario globale si inserisce una proposta; cioè, semplificando, quale futuro ( di breve medio e lungo termine) vogliono i popoli, e in particolare il nostro, e quindi spiegare quali opzioni sono realmente, o solo probabilmente, disponibili.
Cioè nello specifico e in sintesi:
se è vero che tutti i popoli industrializzati non vogliono un regresso a condizioni di vita a minore intensità energetica (tutti vogliono lo sviluppo, cioè produrre di più, consumare di più, diventare molto più virtuosi nella spesa pubblica e quindi ridurre gli indebitamenti nazionali);
se è vero che i combustibili fossili generano insuperabili problemi per “effetto serra” e per instabilità politica (quanti morti hanno causato e possono causare le guerre per il controllo delle fonti?) che sono destinati ad aggravarsi man mano che altri 5 miliardi di esseri umani pretenderanno di consumare come gli europei e man mano che si l’elettrico sostituirà il termico fossile nei trasporti e nella produzione di calore;
Se è vero che le tecnologie rinnovabili non possono allo stato della relativa tecnologia oggi prevedibile nei prossimi 10 anni garantire la disponibilità necessaria per il ns benessere ;
quale soluzione ci propone il ns autore?
Possiamo accettare un regresso civile, sociale ed economico causato da una limitata disponibilità di energia nel ns paese?
Esperti ambientalisti considerano il nucleare un passaggio obbligato nei prox 10 anni per mantenere gli standard attuali in attesa di una tecnologia dolce o rinnovabile. Si veda ad esempio Nature n 471, published on line 23 March 2011 by Charles Ferguson dal titolo “Do not phase out nuclear power — yet”; sottotitolo “Fission power must remain a crucial part of the energy mix until renewable energy technologies can be scaled up”.
La terza considerazione riguarda il metodo
Si considera il nucleare e la radioattività come una tecnologia cattiva, quantomeno trascurando il contributo alla diagnostica e alla terapia
Le tecnologie di per sé , non sono né buone né cattive; possono essere invece utili (buoni) o dannosi (cattivi) gli usi che se ne fanno. Ma credo non ci sia tecnologia, anche la peggiore poi abbandonata, che non abbia avuto un riflesso generalmente positivo sul percorso umano; ovvero lo sviluppo di quella tecnologia ci ha stimolato e quindi in ultima analisi ci ha permesso di impadronirci di tecniche, di padroneggiare nuovi processi di fabbricazione, nuovi materiali, nuovi modelli produttivi e di organizzazione e di controllo e quindi ci ha preparato alla tecnologia successiva.
Il nucleare è una tecnologia che può e deve essere gestita da una “società” evoluta soprattutto in termini di organizzazione e di controllo democratico dei processi produttivi e per questo può rappresentare una occasione per pretendere che la ns società cresca, così che impari a dar migliori garanzie verso il crollare delle scuole o delle case per i ns terremoti, verso le esondazioni di fiumi o invasi idroelettrici o verso lo smottamento delle colline sotto le annuali precipitazioni, etc.
La quarta considerazione riguarda i costi.
E’ vero che fukushima avrà un costo esorbitante: ma il documento del governo francese, di cui un estratto è qui allegato, dovrebbe almeno essere analizzato, criticato e poi, semmai, rifiutato.
Rimane la “decrescita felice” cui giustamente noi occcidentali dovremmo aspirare. Resta un interrogativo: quanti di noi siamo disponibli ad essa , ma soprattutto quanti Paesi in via di sviluppo sarebbero concordi ad accettare tale filosofia?
(Maurizio Montecucco)
martedì 19 aprile 2011
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