Il 5 aprile il seminario previsto alla Sala Governato della Cgil di Genova viene spostato in un’aula più piccola. L’iniziativa “Donne e uomini di fronte al cambiamento tra potere e società” - relatore Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale - ha un’adesione al di sotto delle aspettative. Si potrebbe pensare all’orario, che copre l’arco di una mattinata lavorativa, ma c’è chi fa rilevare che molti non sono preparati per certe riflessioni.
Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: "meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
Bisogna smontare questi stereotipi.
I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
(Giovanna Profumo)
martedì 12 aprile 2011
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