VERSANTE LIGURE - SARÒ (TROPPO) BREVE (Enzo Costa e Aglaja)
LAVORO - Il futuro è nelle tue mani? (Paola Pierantoni)
VITTORIO ARRIGONI - Morire senza un perché (Bianca Vergati)
YEMEN - Le donne di Piazza del Cambiamento (Saleh Zaghloul)
STORIA - La guerra di un soldato in Cecenia (Giovanna Profumo)
CULTURA - La barriera di Palazzo Ducale (Paola Pierantoni - foto Ivo Ruello)
MOSTRE - Mafalda al Ducale (Giovanna Profumo)
NUCLEARE - I sessanta chilometri di Milashima (Stefano De Pietro)
BUONA PASQUA - Il cucciolo è servito (a cura di Ferdinando Bonora)
PAROLE DEGLI OCCHI - La Storia in Piazza, per Vik (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - A proposito di nucleare (Maurizio Montecucco)
martedì 19 aprile 2011
OLI 298: VERSANTE LIGURE - SARÒ (TROPPO) BREVE
Perché qui si deplora
e non in modo lieve
la norma che scolora
e scioglie come neve
processi a dismisura
che il tempo se li beve?
Risponder (ciò addolora)
adesso non si deve:
varata si è, ultim’ora,
l’indignazione breve.
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OLI 298: LAVORO - Il futuro è nelle tue mani?
Il manifesto è talmente brutto e respingente da indurre degli interrogativi: a chi si rivolge? Come può pensare di essere in qualche modo attraente, invitante? Che mondo rappresenta?
A meno di non supporre una totale incompetenza del pubblicitario incaricato della campagna, c’è da pensare ad una intenzionalità. Una amica infatti mi avverte “Se non ti piace vuol dire che non sei target”.
Stiamo parlando di una pubblicità comparsa di recente in alcune zone della città, quella dell’azienda Futurweb SpA che dal 30 marzo cerca “per la città di Genova e provincia consulenti per la vendita di servizi vodafone, enel energia, sky e teletu”, e anche “telefonisti/e per lavoro di presa appuntamenti, no vendita. Zona di lavoro Certosa. Offresi fisso, formazione e supporto fornite direttamente dall’azienda” . Tipo di contratto: “da definire”.
Queste informazioni non compaiono sul manifesto, ma in alcuni siti dedicati alla pubblicizzazione di offerte di lavoro: (http://lavoro.trovit.it/lavoro/futurweb-genova; http://www.n-jobs.it/lavoro-futurweb.html). Sul manifesto c’è solo un numero di telefono e una domanda: “Cerchi un lavoro sicuro?”. La risposta, implicita, è che Futurweb te lo può garantire. Dopodiché, si presume, le giovani persone che verranno scelte potranno subire la metamorfosi che le renderà simili alla schiera di ultracorpi rappresentata in fotografia. Altrimenti, visto che “il futuro è nelle tue mani”, se ne deduce che la colpa devi darla solo a te stesso.
Sul sito della azienda (http://www.futurwebonline.it/ ) si può leggere che “Se stai cercando di sviluppare un business innovativo con elevata redditività e ti piacciono le sfide, potresti essere il candidato ideale per diventare un consulente Futurweb S.p.A.”
L’esperienza di vita dei molti precari che conosciamo può farci intuire la natura delle sfide che ti devono piacere per correre l’avventura, tra un contratto “da definire”, un “offresi fisso” di natura non meglio precisata e una “elevata redditività” da conquistarsi salendo e scendendo molte scale.
Al tempo stesso i pensionati stanziali che abitano i condomini nelle lunghe ore diurne, possono darci una idea della natura del lavoro dei cosiddetti consulenti, a qualunque azienda appartengano: quando il campanello di casa suona, e si apre la porta, ci si trova di fronte a giovani uomini o donne che ti parlano non come da persona a persona, ma come da robot a persona. Dietro deve esserci la famosa formazione aziendale. Nel tempo lo stile si è fatto più aggressivo e insistente. Vengono poste domande perentorie. Se stai facendo dell’altro, se semplicemete non ne hai voglia, se cerchi con cortesia di sottrarti, vieni esplicitamente rimproverata “Contenta lei!”, “Se preferisce pagare di più!”. A volte le reprimende ad alta voce ti inseguono anche a porta ormai chiusa. Te ne resti lì con dispiacere e imbarazzo, consapevole che per le scale ci sono persone che stanno facendo un lavoro ingrato, accettato perché non c’era altro, o perché erano un po’ target e magari all’inizio ci hanno anche creduto.
(Paola Pierantoni)
A meno di non supporre una totale incompetenza del pubblicitario incaricato della campagna, c’è da pensare ad una intenzionalità. Una amica infatti mi avverte “Se non ti piace vuol dire che non sei target”.
Stiamo parlando di una pubblicità comparsa di recente in alcune zone della città, quella dell’azienda Futurweb SpA che dal 30 marzo cerca “per la città di Genova e provincia consulenti per la vendita di servizi vodafone, enel energia, sky e teletu”, e anche “telefonisti/e per lavoro di presa appuntamenti, no vendita. Zona di lavoro Certosa. Offresi fisso, formazione e supporto fornite direttamente dall’azienda” . Tipo di contratto: “da definire”.
Queste informazioni non compaiono sul manifesto, ma in alcuni siti dedicati alla pubblicizzazione di offerte di lavoro: (http://lavoro.trovit.it/lavoro/futurweb-genova; http://www.n-jobs.it/lavoro-futurweb.html). Sul manifesto c’è solo un numero di telefono e una domanda: “Cerchi un lavoro sicuro?”. La risposta, implicita, è che Futurweb te lo può garantire. Dopodiché, si presume, le giovani persone che verranno scelte potranno subire la metamorfosi che le renderà simili alla schiera di ultracorpi rappresentata in fotografia. Altrimenti, visto che “il futuro è nelle tue mani”, se ne deduce che la colpa devi darla solo a te stesso.
Sul sito della azienda (http://www.futurwebonline.it/ ) si può leggere che “Se stai cercando di sviluppare un business innovativo con elevata redditività e ti piacciono le sfide, potresti essere il candidato ideale per diventare un consulente Futurweb S.p.A.”
L’esperienza di vita dei molti precari che conosciamo può farci intuire la natura delle sfide che ti devono piacere per correre l’avventura, tra un contratto “da definire”, un “offresi fisso” di natura non meglio precisata e una “elevata redditività” da conquistarsi salendo e scendendo molte scale.
Al tempo stesso i pensionati stanziali che abitano i condomini nelle lunghe ore diurne, possono darci una idea della natura del lavoro dei cosiddetti consulenti, a qualunque azienda appartengano: quando il campanello di casa suona, e si apre la porta, ci si trova di fronte a giovani uomini o donne che ti parlano non come da persona a persona, ma come da robot a persona. Dietro deve esserci la famosa formazione aziendale. Nel tempo lo stile si è fatto più aggressivo e insistente. Vengono poste domande perentorie. Se stai facendo dell’altro, se semplicemete non ne hai voglia, se cerchi con cortesia di sottrarti, vieni esplicitamente rimproverata “Contenta lei!”, “Se preferisce pagare di più!”. A volte le reprimende ad alta voce ti inseguono anche a porta ormai chiusa. Te ne resti lì con dispiacere e imbarazzo, consapevole che per le scale ci sono persone che stanno facendo un lavoro ingrato, accettato perché non c’era altro, o perché erano un po’ target e magari all’inizio ci hanno anche creduto.
(Paola Pierantoni)
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OLI 298: VITTORIO ARRIGONI - Morire senza un perché
Il 15 aprile nella casella mail arriva un appello dall'Associazione per la pace, che invitava a firmare per la liberazione di Vittorio Arrigoni, il giovane pacifista che viveva a Gaza, rapito il giorno 14 e apparso su youtube bendato e pestato. Troppo tardi.
Troppo tardi per firmare, troppo tardi perchè Vik era già morto, ucciso ancor prima che scadesse l'ultimatum dei suoi rapitori.
“Restiamo umani” era il suo blog, commoventi i suoi scritti: Stay Human, a conclusione di ogni intervento su http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Folgorato dal barbaro embargo che Israele imponeva agli abitanti della Striscia, Vittorio viveva ormai a Gaza da tre anni, scortava nel mare i pescherecci, sfidava il blocco navale. Era palestinese persino nel passaporto concessogli da quella terra, dove la cecità dello Stato israeliano è paragonabile a quella dei Paesi fratelli di quel popolo, che a parole ma non con i fatti lo aiutano.
Finte democrazie arabe; in realtà in quasi tutta l'Africa e dintorni, sia pure con eccezioni, il potere è oggi dei militari, ed erano fino a ieri in vigore regimi autoritari fondati sulla forza, come in Egitto con una “democrazia socialista” presidenziale, eletta a suffragio universale da decenni. (Corriere della Sera, Giovanni Sartori, 15/4)
Non si può certo dimenticare come vivono i palestinesi nelle altre terre arabe, confinati da decenni in quartieri ghetto e campi profughi. Un popolo scomodo: non sono tanti quelli riusciti ad affrancarsi da una sorte segnata.
L'Onu, l' Europa, il pontefice esprimono condoglianze per la morte di Vik, che non risultano pervenute dalla Lega Araba, mentre in Egitto per Vittorio funerali di stato, dopo le tante manifestazioni di solidarietà da parte dei palestinesi per l'amico, che condivideva le loro difficoltà.
L'ultimo scritto di Vik è del 13 aprile, per comunicare la morte di quattro palestinesi nel crollo di uno dei tunnel della sopravvivenza, che servivano a far passare viveri e ogni bene di prima necessità ai palestinesi. Nel suo racconto per PeaceReporter riassume i bombardamenti, le violenze, le uccisioni, un bollettino di guerra atroce e infinito: tanta pietà per i bimbi palestinesi, ma nessun accenno ai bambini israeliani trucidati da un palestinese in Cisgiordania il 12 marzo insieme ai loro genitori.
Non giovano alla causa della pace le parole della madre: “Israele non l'ha voluto da vivo. Non avrà il mio Vik da morto”, ribadendo il suo desiderio di far passare dal valico di Rafah, dalla parte egiziana, la salma del figlio e non da Israele.
Così la risposta all'appello dello scrittore israeliano Etgar Keret comparso sul Corriere della Sera il 17 aprile: “La madre ci ripensi. La nostra Terra merita speranza..Così quest'ultimo viaggio diventa simbolo dell'odio”. Purchè restiamo tutti umani.
(Bianca Vergati)
Troppo tardi per firmare, troppo tardi perchè Vik era già morto, ucciso ancor prima che scadesse l'ultimatum dei suoi rapitori.
“Restiamo umani” era il suo blog, commoventi i suoi scritti: Stay Human, a conclusione di ogni intervento su http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Folgorato dal barbaro embargo che Israele imponeva agli abitanti della Striscia, Vittorio viveva ormai a Gaza da tre anni, scortava nel mare i pescherecci, sfidava il blocco navale. Era palestinese persino nel passaporto concessogli da quella terra, dove la cecità dello Stato israeliano è paragonabile a quella dei Paesi fratelli di quel popolo, che a parole ma non con i fatti lo aiutano.
Finte democrazie arabe; in realtà in quasi tutta l'Africa e dintorni, sia pure con eccezioni, il potere è oggi dei militari, ed erano fino a ieri in vigore regimi autoritari fondati sulla forza, come in Egitto con una “democrazia socialista” presidenziale, eletta a suffragio universale da decenni. (Corriere della Sera, Giovanni Sartori, 15/4)
Non si può certo dimenticare come vivono i palestinesi nelle altre terre arabe, confinati da decenni in quartieri ghetto e campi profughi. Un popolo scomodo: non sono tanti quelli riusciti ad affrancarsi da una sorte segnata.
L'Onu, l' Europa, il pontefice esprimono condoglianze per la morte di Vik, che non risultano pervenute dalla Lega Araba, mentre in Egitto per Vittorio funerali di stato, dopo le tante manifestazioni di solidarietà da parte dei palestinesi per l'amico, che condivideva le loro difficoltà.
L'ultimo scritto di Vik è del 13 aprile, per comunicare la morte di quattro palestinesi nel crollo di uno dei tunnel della sopravvivenza, che servivano a far passare viveri e ogni bene di prima necessità ai palestinesi. Nel suo racconto per PeaceReporter riassume i bombardamenti, le violenze, le uccisioni, un bollettino di guerra atroce e infinito: tanta pietà per i bimbi palestinesi, ma nessun accenno ai bambini israeliani trucidati da un palestinese in Cisgiordania il 12 marzo insieme ai loro genitori.
Non giovano alla causa della pace le parole della madre: “Israele non l'ha voluto da vivo. Non avrà il mio Vik da morto”, ribadendo il suo desiderio di far passare dal valico di Rafah, dalla parte egiziana, la salma del figlio e non da Israele.
Così la risposta all'appello dello scrittore israeliano Etgar Keret comparso sul Corriere della Sera il 17 aprile: “La madre ci ripensi. La nostra Terra merita speranza..Così quest'ultimo viaggio diventa simbolo dell'odio”. Purchè restiamo tutti umani.
(Bianca Vergati)
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OLI 298: YEMEN - Le donne di Piazza del Cambiamento.
Il movimento per la libertà e la democrazia che sta coinvolgendo quasi tutti i paesi arabi ha già avuto grandi risultati con la caduta di Mubarak in Egitto e Ben Al in Tunisia. Nello Yemen il processo di cambiamento è in una fase avanzata.
I giovani yemeniti stanno seguendo il modello egiziano: l’occupazione ad oltranza delle piazze principali delle città. Piazza del Cambiamento nella capitale Sana’a è occupata dal 3 febbraio scorso. Come è stato in Egitto e Tunisia (dove il processo di costruzione della democrazia sta andando sempre avanti con tutti i pericoli e le insidie che caratterizzano queste delicate fasi storiche), anche nello Yemen le donne stanno partecipando molto attivamente alle lotte. Le loro colleghe tunisine stanno ottenendo risultati importanti che, soltanto qualche mese fa, erano inimmaginabili: in base alla nuova legge elettorale non saranno ammesse liste che non abbiano almeno il 50% di candidate.
Le donne presenti in piazza hanno avuto un ruolo fondamentale per mantenere il movimento per il cambiamento nello Yemen sulla linea della nonviolenza. I giovani continuano a non rispondere alle provocazioni e non cadono nella trappola della violenza alla quale è stato costretto il movimento in Libia.
Consapevole della determinazione e del coraggio delle donne il contestato presidente Ali Saleh ha cercato nel suo discorso al popolo di venerdì scorso di neutralizzarle attaccandole su un punto molto delicato della tradizione yemenita: ha fatto appello alle forze dell’opposizione (che, come in Egitto, non rappresentano i giovani in piazza, ma che hanno partecipato in un secondo momento al movimento), di evitare la promiscuità tra donne e uomini nelle piazze.
La riposta delle donne yemenite è stata forte ed immediata con cortei femminili in tutte le principali città, chiedendo di processare il presidente per calunnia al loro onore. “Ci vuole rinchiudere in casa come le galline”, “saremo noi donne a farlo cadere e a processarlo”, “noi siamo educate, oneste e coscienziose è lui che non è stato onesto nei confronti del popolo e dei suoi diritti”.
Poche, invece, sono state le donne che hanno seguito il classico del calcio mondiale sullo schermo gigante allestito in piazza del Cambiamento a Sana’a. La partita di calcio tra Real Madrid e Barcellona, due tra le squadre più forti e spettacolari del mondo, dove giocano Messi e Ronaldo, è stata seguita dai giovani divisi nel tifo per una squadra o l’altra, ma, alla fine della partita, uniti nel chiedere la partenza del presidente Ali Saleh.
(Saleh Zaghloul)
I giovani yemeniti stanno seguendo il modello egiziano: l’occupazione ad oltranza delle piazze principali delle città. Piazza del Cambiamento nella capitale Sana’a è occupata dal 3 febbraio scorso. Come è stato in Egitto e Tunisia (dove il processo di costruzione della democrazia sta andando sempre avanti con tutti i pericoli e le insidie che caratterizzano queste delicate fasi storiche), anche nello Yemen le donne stanno partecipando molto attivamente alle lotte. Le loro colleghe tunisine stanno ottenendo risultati importanti che, soltanto qualche mese fa, erano inimmaginabili: in base alla nuova legge elettorale non saranno ammesse liste che non abbiano almeno il 50% di candidate.
Le donne presenti in piazza hanno avuto un ruolo fondamentale per mantenere il movimento per il cambiamento nello Yemen sulla linea della nonviolenza. I giovani continuano a non rispondere alle provocazioni e non cadono nella trappola della violenza alla quale è stato costretto il movimento in Libia.
Consapevole della determinazione e del coraggio delle donne il contestato presidente Ali Saleh ha cercato nel suo discorso al popolo di venerdì scorso di neutralizzarle attaccandole su un punto molto delicato della tradizione yemenita: ha fatto appello alle forze dell’opposizione (che, come in Egitto, non rappresentano i giovani in piazza, ma che hanno partecipato in un secondo momento al movimento), di evitare la promiscuità tra donne e uomini nelle piazze.
La riposta delle donne yemenite è stata forte ed immediata con cortei femminili in tutte le principali città, chiedendo di processare il presidente per calunnia al loro onore. “Ci vuole rinchiudere in casa come le galline”, “saremo noi donne a farlo cadere e a processarlo”, “noi siamo educate, oneste e coscienziose è lui che non è stato onesto nei confronti del popolo e dei suoi diritti”.
Poche, invece, sono state le donne che hanno seguito il classico del calcio mondiale sullo schermo gigante allestito in piazza del Cambiamento a Sana’a. La partita di calcio tra Real Madrid e Barcellona, due tra le squadre più forti e spettacolari del mondo, dove giocano Messi e Ronaldo, è stata seguita dai giovani divisi nel tifo per una squadra o l’altra, ma, alla fine della partita, uniti nel chiedere la partenza del presidente Ali Saleh.
(Saleh Zaghloul)
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OLI 298: STORIA - La guerra di un soldato in Cecenia
Arkadij Babčenko pare un foglio bianco. E’ inespressivo come una statua. I ricordi a cui accenna lo trapassano come brevi note informative che non sembrano avere a che fare con la sua vita. Laddove il termine “sua” implica relazioni affettive, emozioni, dolore e felicità. E’ stato invitato a Palazzo Ducale, il 15 aprile, nell’ambito di La Storia in Piazza per presentare il libro La guerra di un soldato in Cecenia (ed. Mondadori)
L’incontro è stato fortemente voluto dal Comitato per la pace nel Caucaso e dall’associazione Mondo in cammino. Accanto a Babčenko, Lucio Caracciolo e la traduttrice del libro Maria Elena Murdaca.
L’autore racconta di esser partito di leva, in Siberia, a diciassette anni. Passati sei mesi, con altri compagni, viene convocato dai superiori: “Andrete a servire al Sud. Lì fa caldo, ci sono le mele. Vi piacerà” . Che il frutteto fosse la Cecenia è stato detto loro all’ultimo momento. Era il 1996. Arkadij Babčenko spiega ai presenti l’assenza di tempo, l’impossibilità di uno spazio per farsi domande sulle ragioni della guerra. “Ci sei e devi pensare solo a sopravvivere”. E guarda il pubblico “quando una persona è stata in guerra cambia la sua psicologia, la sua coscienza rimane in guerra, torna solo il corpo. Vai in giro per questo mondo, lo guardi e non capisci niente. Ci sono due ore di volo tra Mosca e la Cecenia. A due ore di distanza da Mosca ci sono montagne di cadaveri che bruciano”.
Ma Babčenko ci tornerà una seconda volta. Da volontario. “Siamo tornati a migliaia. Era come una droga. La guerra è come un virus. Siamo tutti portatori sani. E’ la cosa più bella che mi è capitata, ma anche la più brutta”. Racconta del nonnismo “che nella prima guerra Cecena aveva superato i limiti” e dei battaglioni penali. Della moralità e della spietatezza capaci di animare lo stesso individuo in una logica capovolta per la quale quello che da noi è inaccettabile in guerra diventa normale. Ci tornerà da corrispondente di guerra nel 2002 e nel 2003 . Babčenko parla di un conflitto che si è esteso ad altre repubbliche caucasiche e di una Cecenia dominata Kadyrov “personaggio singolare, fatto a modo suo, un tagliatore di teste, imposto dal Cremilino, uno che ha ucciso tutti i suoi oppositori”.
Il quadro che offre dell’opinione pubblica russa è desolante: “la maggior parte è convinta che abbiano fatto bene ad ammazzare la Anna Politkovskaja ” e racconta del preoccupante aumento dei movimenti neofascisti, insieme all’integralismo islamico.
Oggi Babčenko è giornalista del Novaja Gazeta . Elenca sulle dita della mano i 6 colleghi uccisi negli ultimi 11 anni, ultima vittima una stagista del quotidiano, due anni fa.
L’autore si occupa della rivista letteraria Isskustvo Voynj – L’Arte della Guerra, uno spazio “dei veterani e per i veterani” in cui grazie alla scrittura ci si racconta, e si prova a guarire dalla guerra.
(Giovanna Profumo)
(Giovanna Profumo)
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OLI 298: CULTURA - La barriera di Palazzo Ducale
Giovedì 14 aprile alle 21 nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale c’è stato un concerto bellissimo, parte del calendario de “la Storia in Piazza”.
Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.
La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.
C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.
I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
(Paola Pierantoni - foto Ivo Ruello)
Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.
La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.
C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.
I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
(Paola Pierantoni - foto Ivo Ruello)
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OLI 298: MOSTRE - Mafalda al Ducale
Mafalda sono io.
O meglio, così mi sono sentita venerdì 15 aprile dopo aver fatto un salto a Palazzo Ducale.
Consapevole che la mostra Mediterraneo era prossima alla chiusura, ho deciso – per evitare le code del week end – di munirmi per tempo dei biglietti.
Al bookshop di Palazzo Ducale vengo informata che loro non gestiscono la mostra e sono indirizzata al piano superiore. Lì mi comunicano che se desidero prenotarmi per i giorni successi devo telefonare al numero 0422 429999 - disattivo sabato e domenica - o prenotare sul sito htpp://www.lineadombra.it, pagando con carta di credito.
Viene tassativamente esclusa la possibilità di prenotarsi e comprare il biglietto seduta stante.
Uscendo dalla biglietteria scorgo Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Lo avvicino con piglio determinato chiedendogli ragione di tale follia.
Io sono qui ed ora. Perché non posso prenotarmi e pagare adesso?
Questa è la regola. Mi risponde lui. Regola ampiamente condivisa da molte organizzazioni di mostre in Italia.
Ma i vecchi? Come fanno gli anziani?
I vecchi, mi sento rispondere, vengono alla mostra senza alcuna difficoltà.
Ma anche se la regola è condivisa, non è detto che sia saggia. E mi viene in mente il lampionaio del Piccolo Principe che, in base alla consegna, spogliatosi del suo senso critico, si ritrova ad accendere e spegnere il lampione, anche se il moto del suo pianeta è follemente accelerato.
A me non va giù. E mi sento come Mafalda. Sgarrupata e inutile nel mio insistere.
Ma Luca Borzani è paziente. E mi fa notare che questa mostra non mi costa nulla come contribuente, mentre mi ostino a voltarmi verso il cartellone tariffe, dicendo che invece mi costerà 10 euro. Ma lui mi ricorda che io, come contribuente, non pagherò nulla. E chiede se sono, o non sono consapevole del fatto che se vado a vedere l’Opera – a Genova il capitolo sarebbe bene non aprirlo – pago un biglietto che copre solo in parte gli oneri accessori dell’evento. Perché il resto lo pagano i contribuenti. Mi invita, infine, a visitare la mostra durante la settimana.
Borzani ha un distacco e una flemma che solo pochi… e il tono moderato e uniforme dovrebbe indurre a pacatezza anche il profugo tunisino. Se non fosse che ciò che dice mi pare lontano anni luce da quanto vorrei fosse detto da un politico così navigato.
Provo a formulare un’ipotesi del tutto personale:
“Signora, so che questa delle prenotazioni è una sciocchezza. E farò il possibile affinché in futuro questo non accada”.
Per Habemus Papam nessuna difficoltà ad acquistare il biglietto al botteghino il sabato per la domenica successiva. Ma quello è cinema.
(Giovanna Profumo)
O meglio, così mi sono sentita venerdì 15 aprile dopo aver fatto un salto a Palazzo Ducale.
Consapevole che la mostra Mediterraneo era prossima alla chiusura, ho deciso – per evitare le code del week end – di munirmi per tempo dei biglietti.
Al bookshop di Palazzo Ducale vengo informata che loro non gestiscono la mostra e sono indirizzata al piano superiore. Lì mi comunicano che se desidero prenotarmi per i giorni successi devo telefonare al numero 0422 429999 - disattivo sabato e domenica - o prenotare sul sito htpp://www.lineadombra.it, pagando con carta di credito.
Viene tassativamente esclusa la possibilità di prenotarsi e comprare il biglietto seduta stante.
Uscendo dalla biglietteria scorgo Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Lo avvicino con piglio determinato chiedendogli ragione di tale follia.
Io sono qui ed ora. Perché non posso prenotarmi e pagare adesso?
Questa è la regola. Mi risponde lui. Regola ampiamente condivisa da molte organizzazioni di mostre in Italia.
Ma i vecchi? Come fanno gli anziani?
I vecchi, mi sento rispondere, vengono alla mostra senza alcuna difficoltà.
Ma anche se la regola è condivisa, non è detto che sia saggia. E mi viene in mente il lampionaio del Piccolo Principe che, in base alla consegna, spogliatosi del suo senso critico, si ritrova ad accendere e spegnere il lampione, anche se il moto del suo pianeta è follemente accelerato.
A me non va giù. E mi sento come Mafalda. Sgarrupata e inutile nel mio insistere.
Ma Luca Borzani è paziente. E mi fa notare che questa mostra non mi costa nulla come contribuente, mentre mi ostino a voltarmi verso il cartellone tariffe, dicendo che invece mi costerà 10 euro. Ma lui mi ricorda che io, come contribuente, non pagherò nulla. E chiede se sono, o non sono consapevole del fatto che se vado a vedere l’Opera – a Genova il capitolo sarebbe bene non aprirlo – pago un biglietto che copre solo in parte gli oneri accessori dell’evento. Perché il resto lo pagano i contribuenti. Mi invita, infine, a visitare la mostra durante la settimana.
Borzani ha un distacco e una flemma che solo pochi… e il tono moderato e uniforme dovrebbe indurre a pacatezza anche il profugo tunisino. Se non fosse che ciò che dice mi pare lontano anni luce da quanto vorrei fosse detto da un politico così navigato.
Provo a formulare un’ipotesi del tutto personale:
“Signora, so che questa delle prenotazioni è una sciocchezza. E farò il possibile affinché in futuro questo non accada”.
Per Habemus Papam nessuna difficoltà ad acquistare il biglietto al botteghino il sabato per la domenica successiva. Ma quello è cinema.
(Giovanna Profumo)
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OLI 298 - NUCLEARE: I sessanta chilometri di Milashima
Nel numero 295 di Oli un lettore ha inviato una lettera alla quale rispondo con piacere, trattandosi di argomenti abitualmente portati a difesa del nucleare.
1 - Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l'Italia sarebbe distrutta "da Napoli ad Ancona" (Rai 1).
La prospettiva di un terremoto "da Napoli ad Ancona" esclude regioni certamente altrettanto attive, come la Sicilia, la Calabria, le Puglie: forse chi fa questa affermazione in Rai ha ancora in mente la vecchia classificazione tellurica, quella che ha permesso a scuole e palazzi di cadere (ma a norma di legge, s'intende) durante gli ultimi terremoti. Comunque, a parte questo, un terremoto delle dimensioni di quello giapponese aggiungerebbe solo macerie ai problemi delle centrali nucleari. Come dire: già che crolla tutto, facciamoci anche gasare ...
In Italia non è comunque necessario attendere un terremoto di magnitudo 9 Richter, basta vedere cosa riusciamo a fare con le poche barre di combustibile nucleare stipate qua e là ad inquinare di stronzio 90 le falde acquifere. Lui, lo stronzio, non è cattivo, è che lo hanno chiamato così ... (http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/Il-Piemonte-e-la-piscina-radioattiva/D5875056.html)
1 - Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l'Italia sarebbe distrutta "da Napoli ad Ancona" (Rai 1).
La prospettiva di un terremoto "da Napoli ad Ancona" esclude regioni certamente altrettanto attive, come la Sicilia, la Calabria, le Puglie: forse chi fa questa affermazione in Rai ha ancora in mente la vecchia classificazione tellurica, quella che ha permesso a scuole e palazzi di cadere (ma a norma di legge, s'intende) durante gli ultimi terremoti. Comunque, a parte questo, un terremoto delle dimensioni di quello giapponese aggiungerebbe solo macerie ai problemi delle centrali nucleari. Come dire: già che crolla tutto, facciamoci anche gasare ...
In Italia non è comunque necessario attendere un terremoto di magnitudo 9 Richter, basta vedere cosa riusciamo a fare con le poche barre di combustibile nucleare stipate qua e là ad inquinare di stronzio 90 le falde acquifere. Lui, lo stronzio, non è cattivo, è che lo hanno chiamato così ... (http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/Il-Piemonte-e-la-piscina-radioattiva/D5875056.html)
OLI 298: BUONA PASQUA - Il cucciolo è servito
da
http://www.tvanimalista.info/video/allevamenti-macelli/massacro-agnelli/
per approfondire
http://www.vegfacile.info/
http://www.aformadidea.com/pasqua-senza-agnello-non-sgozzate-le-bestiole.htm
(a cura di Ferdinando Bonora)
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OLI 298: LETTERE - A proposito di nucleare
Leggendo su Oli “Nucleare-no e basta”, vengono in mente alcune considerazioni di tipo generale.
La prima considerazione riguarda l’atteggiamento dell’Autore, che oggi in Italia purtroppo sembra comune indipendentemente dai contenuti del pensiero.
Si ostenta una categorica certezza. Le affermazioni categoriche non caratterizzano i dibattiti per serenità e gli interlocutori per indipendenza di giudizio, ma piuttosto sono tipiche di una partecipazione emotiva simile a quella di una tifoseria calcistica; non favoriscono il confronto fra le opinioni e quindi non consentono di arrivare ad una decisione largamente condivisa; cosa tanto più necessaria quanto le conseguenze (positive o negative) di una decisione sbagliata sono rilevanti per molte future generazioni.
Quindi l’emotività va lasciata fuori, come pure il vituperato paternalismo.
La seconda considerazione riguarda il merito.
E’ necessario stabilire in quale scenario globale si inserisce una proposta; cioè, semplificando, quale futuro ( di breve medio e lungo termine) vogliono i popoli, e in particolare il nostro, e quindi spiegare quali opzioni sono realmente, o solo probabilmente, disponibili.
Cioè nello specifico e in sintesi:
se è vero che tutti i popoli industrializzati non vogliono un regresso a condizioni di vita a minore intensità energetica (tutti vogliono lo sviluppo, cioè produrre di più, consumare di più, diventare molto più virtuosi nella spesa pubblica e quindi ridurre gli indebitamenti nazionali);
se è vero che i combustibili fossili generano insuperabili problemi per “effetto serra” e per instabilità politica (quanti morti hanno causato e possono causare le guerre per il controllo delle fonti?) che sono destinati ad aggravarsi man mano che altri 5 miliardi di esseri umani pretenderanno di consumare come gli europei e man mano che si l’elettrico sostituirà il termico fossile nei trasporti e nella produzione di calore;
Se è vero che le tecnologie rinnovabili non possono allo stato della relativa tecnologia oggi prevedibile nei prossimi 10 anni garantire la disponibilità necessaria per il ns benessere ;
quale soluzione ci propone il ns autore?
Possiamo accettare un regresso civile, sociale ed economico causato da una limitata disponibilità di energia nel ns paese?
Esperti ambientalisti considerano il nucleare un passaggio obbligato nei prox 10 anni per mantenere gli standard attuali in attesa di una tecnologia dolce o rinnovabile. Si veda ad esempio Nature n 471, published on line 23 March 2011 by Charles Ferguson dal titolo “Do not phase out nuclear power — yet”; sottotitolo “Fission power must remain a crucial part of the energy mix until renewable energy technologies can be scaled up”.
La terza considerazione riguarda il metodo
Si considera il nucleare e la radioattività come una tecnologia cattiva, quantomeno trascurando il contributo alla diagnostica e alla terapia
Le tecnologie di per sé , non sono né buone né cattive; possono essere invece utili (buoni) o dannosi (cattivi) gli usi che se ne fanno. Ma credo non ci sia tecnologia, anche la peggiore poi abbandonata, che non abbia avuto un riflesso generalmente positivo sul percorso umano; ovvero lo sviluppo di quella tecnologia ci ha stimolato e quindi in ultima analisi ci ha permesso di impadronirci di tecniche, di padroneggiare nuovi processi di fabbricazione, nuovi materiali, nuovi modelli produttivi e di organizzazione e di controllo e quindi ci ha preparato alla tecnologia successiva.
Il nucleare è una tecnologia che può e deve essere gestita da una “società” evoluta soprattutto in termini di organizzazione e di controllo democratico dei processi produttivi e per questo può rappresentare una occasione per pretendere che la ns società cresca, così che impari a dar migliori garanzie verso il crollare delle scuole o delle case per i ns terremoti, verso le esondazioni di fiumi o invasi idroelettrici o verso lo smottamento delle colline sotto le annuali precipitazioni, etc.
La quarta considerazione riguarda i costi.
E’ vero che fukushima avrà un costo esorbitante: ma il documento del governo francese, di cui un estratto è qui allegato, dovrebbe almeno essere analizzato, criticato e poi, semmai, rifiutato.
Rimane la “decrescita felice” cui giustamente noi occcidentali dovremmo aspirare. Resta un interrogativo: quanti di noi siamo disponibli ad essa , ma soprattutto quanti Paesi in via di sviluppo sarebbero concordi ad accettare tale filosofia?
(Maurizio Montecucco)
La prima considerazione riguarda l’atteggiamento dell’Autore, che oggi in Italia purtroppo sembra comune indipendentemente dai contenuti del pensiero.
Si ostenta una categorica certezza. Le affermazioni categoriche non caratterizzano i dibattiti per serenità e gli interlocutori per indipendenza di giudizio, ma piuttosto sono tipiche di una partecipazione emotiva simile a quella di una tifoseria calcistica; non favoriscono il confronto fra le opinioni e quindi non consentono di arrivare ad una decisione largamente condivisa; cosa tanto più necessaria quanto le conseguenze (positive o negative) di una decisione sbagliata sono rilevanti per molte future generazioni.
Quindi l’emotività va lasciata fuori, come pure il vituperato paternalismo.
La seconda considerazione riguarda il merito.
E’ necessario stabilire in quale scenario globale si inserisce una proposta; cioè, semplificando, quale futuro ( di breve medio e lungo termine) vogliono i popoli, e in particolare il nostro, e quindi spiegare quali opzioni sono realmente, o solo probabilmente, disponibili.
Cioè nello specifico e in sintesi:
se è vero che tutti i popoli industrializzati non vogliono un regresso a condizioni di vita a minore intensità energetica (tutti vogliono lo sviluppo, cioè produrre di più, consumare di più, diventare molto più virtuosi nella spesa pubblica e quindi ridurre gli indebitamenti nazionali);
se è vero che i combustibili fossili generano insuperabili problemi per “effetto serra” e per instabilità politica (quanti morti hanno causato e possono causare le guerre per il controllo delle fonti?) che sono destinati ad aggravarsi man mano che altri 5 miliardi di esseri umani pretenderanno di consumare come gli europei e man mano che si l’elettrico sostituirà il termico fossile nei trasporti e nella produzione di calore;
Se è vero che le tecnologie rinnovabili non possono allo stato della relativa tecnologia oggi prevedibile nei prossimi 10 anni garantire la disponibilità necessaria per il ns benessere ;
quale soluzione ci propone il ns autore?
Possiamo accettare un regresso civile, sociale ed economico causato da una limitata disponibilità di energia nel ns paese?
Esperti ambientalisti considerano il nucleare un passaggio obbligato nei prox 10 anni per mantenere gli standard attuali in attesa di una tecnologia dolce o rinnovabile. Si veda ad esempio Nature n 471, published on line 23 March 2011 by Charles Ferguson dal titolo “Do not phase out nuclear power — yet”; sottotitolo “Fission power must remain a crucial part of the energy mix until renewable energy technologies can be scaled up”.
La terza considerazione riguarda il metodo
Si considera il nucleare e la radioattività come una tecnologia cattiva, quantomeno trascurando il contributo alla diagnostica e alla terapia
Le tecnologie di per sé , non sono né buone né cattive; possono essere invece utili (buoni) o dannosi (cattivi) gli usi che se ne fanno. Ma credo non ci sia tecnologia, anche la peggiore poi abbandonata, che non abbia avuto un riflesso generalmente positivo sul percorso umano; ovvero lo sviluppo di quella tecnologia ci ha stimolato e quindi in ultima analisi ci ha permesso di impadronirci di tecniche, di padroneggiare nuovi processi di fabbricazione, nuovi materiali, nuovi modelli produttivi e di organizzazione e di controllo e quindi ci ha preparato alla tecnologia successiva.
Il nucleare è una tecnologia che può e deve essere gestita da una “società” evoluta soprattutto in termini di organizzazione e di controllo democratico dei processi produttivi e per questo può rappresentare una occasione per pretendere che la ns società cresca, così che impari a dar migliori garanzie verso il crollare delle scuole o delle case per i ns terremoti, verso le esondazioni di fiumi o invasi idroelettrici o verso lo smottamento delle colline sotto le annuali precipitazioni, etc.
La quarta considerazione riguarda i costi.
E’ vero che fukushima avrà un costo esorbitante: ma il documento del governo francese, di cui un estratto è qui allegato, dovrebbe almeno essere analizzato, criticato e poi, semmai, rifiutato.
Rimane la “decrescita felice” cui giustamente noi occcidentali dovremmo aspirare. Resta un interrogativo: quanti di noi siamo disponibli ad essa , ma soprattutto quanti Paesi in via di sviluppo sarebbero concordi ad accettare tale filosofia?
(Maurizio Montecucco)
martedì 12 aprile 2011
OLI 297 - SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - SCONCIATI PER LE FESTE (Enzo Costa e Aglaja)
DONNE - La parola agli uomini (Giovanna Profumo)
SOCIETA' - Chi c'è in piazza oggi? (Bianca Vergati)
TELEVISIONE - Concorrenza contro al Jazeera: è come desalinizzare il Mar Morto con un cucchiaio di zucchero (Saleh Zaghloul)
POLITICA - Profetico Caimano (a cura di Alessandro D'Alessandro e Ferdinando Bonora)
SOCIETA' - Il processo (Stefano De Pietro)
STORIA – Per non dimenticare Sarajevo (Ferdinando Bonora)
CULTURA - Enzo Costa, a teatro (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Amt ha fatto Scuola (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Amt, il video erutta sulla testa dei viaggiatori (Luisa Campagna)
DONNE - La parola agli uomini (Giovanna Profumo)
SOCIETA' - Chi c'è in piazza oggi? (Bianca Vergati)
TELEVISIONE - Concorrenza contro al Jazeera: è come desalinizzare il Mar Morto con un cucchiaio di zucchero (Saleh Zaghloul)
POLITICA - Profetico Caimano (a cura di Alessandro D'Alessandro e Ferdinando Bonora)
SOCIETA' - Il processo (Stefano De Pietro)
STORIA – Per non dimenticare Sarajevo (Ferdinando Bonora)
CULTURA - Enzo Costa, a teatro (Paola Pierantoni)
PAROLE DEGLI OCCHI - Amt ha fatto Scuola (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Amt, il video erutta sulla testa dei viaggiatori (Luisa Campagna)
OLI 297: VERSANTE LIGURE - SCONCIATI PER LE FESTE
Ben più di Lui che è in vena
via etere-megafono
di bufala isolana
su villa e golf (mai afono);
di Lui che si scatena
col raccontino apocrifo,
di casermesca scena,
sul pomo pornoerotico:
la vera, sconcia pena
il trash più assurdo e anomalo
la barzelletta oscena
son quelli che lo applaudono.
Versi di ENZO COSTA
Vignetta di AGLAJA
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OLI 297: DONNE - La parola agli uomini
Il 5 aprile il seminario previsto alla Sala Governato della Cgil di Genova viene spostato in un’aula più piccola. L’iniziativa “Donne e uomini di fronte al cambiamento tra potere e società” - relatore Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale - ha un’adesione al di sotto delle aspettative. Si potrebbe pensare all’orario, che copre l’arco di una mattinata lavorativa, ma c’è chi fa rilevare che molti non sono preparati per certe riflessioni.
Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: "meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
Bisogna smontare questi stereotipi.
I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
(Giovanna Profumo)
Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: "meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
Bisogna smontare questi stereotipi.
I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
(Giovanna Profumo)
OLI 297: SOCIETA' - Chi c'è in piazza oggi?
http://www.ilnostrotempoeadesso.it corre in Rete e su Facebook, così giovani e precari si sono dati appuntamento in tutta Italia sabato 9 aprile 2011 per invocare un'attenzione che non c'è, o è soltanto di facciata.
Quattro milioni i precari secondo Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), quasi un terzo i ragazzi disoccupati: dati detti e ridetti, ormai vuoti slogan, mentre settantamila sono gli italiani under 40 partiti l'anno scorso per l'esetro, dice l'Istat.
Anche il cardinale interviene per invocare che “il lavoro precario sia una fase transitoria”.
A Firenze 300 ragazzi hanno preso a calci un simbolico muro, quello della precarietà; a Roma si è occupata una sede dell'Inps e aperto uno sportello, serve un altro welfare, mentre alcune nonne avevano fatto un sit in al grido “Che fine farà mio nipote quando non ci sarò più?” (La Repubblica - Roma, 31 marzo).
E' un grido di dolore che attraversa l'Europa, come titola il 5 aprile El Pais “la Juventud sin futuro”: in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, Inghilterra, dove si aumenteranno pesantemente le tasse universitarie. “la movilización es indispensable. El mundo árabe nos demuestra que la victoria es posible", dicono i ragazzi di Madrid. L'esempio non conforta, per ora.
In Italia per fortuna, il nostro premier dedica particolare attenzione ai giovani, una bella prova al Campus Mentis per la premiazione dell'eccellenza universitaria, in cui sfoggia barzellette da caserma, fra risatine e gelo dei ragazzi dallo sguardo fermo: che cosa penseranno?
Al diavolo tutti, me ne vado da qui.
http://www.vivoaltrove.it è il blog dove si raccolgono le testimonianze e i link di italiani, tanti, che vivono all'estero: Claudia Cucchiarato, una ragazza di Treviso che vive e lavora come giornalista free lance da cinque anni a Barcellona, ne ha raccolto le voci nel libro "Vivo altrove", da cui è nato il sito.
Sono il 29,2% i giovani della popolazione italiana, al di là del Mediterraneo sono il 50% e si dice che i nostri giovani siano schizzinosi per alcuni lavori, è infatti aumentato il lavoro per gli immigrati. Ma che lavoro è? Manuale, intellettuale, specializzato o no, di certo è un lavoro che spesso non tutela i diritti del presente e del futuro.
Tanti cortei colorati, occhi frementi, voci vibranti, immagini flash in tv e soltanto alcune migliaia alle manifestazioni in tutta Italia.
A Genova, tra musiche di tamburi assordanti, in piazza S.Lorenzo erano srotolati sulla scalinata gli striscioni del Gaslini, dell'IST, dei precari scuola Liguria e il rosa di Se non ora quando, ma i giovani erano davvero pochi.
Presente il segretario quarantenne del Pd, immancabile sigaro.
Ci si chiede come mai così in pochi, magari la bella giornata, piace più il mare della piazza: forse non si sarà mobilitato abbastanza e poi è una città di vecchi.
- E' il comitato organizzatore che ha voluto una manifestazione apartitica …
E allora?
- Ma i “giovani democratici” hanno aderito ugualmente.
Meno male, però paiono presenti più i genitori dei giovani democratici e comunque non è una buona ragione per non messaggiare, per non attivare gli iscritti, i simpatizzanti via mail, visto il tema.
Chiuso appassionatamente l'argomento e sorriso sornione.
A pensar male… non volete che ci si metta il cappello? Allora pedalare.
Nessuno ricorda più il fiasco dell'emendamento Tabacci presentato a fine novembre, che proponeva di destinare per quest'anno i fondi dei partiti agli stipendi dei ricercatori (Corriere della Sera del 1 dicembre 2010). A votare compatti contro 25 deputati di futuro e libertà, udc, mpa, insieme a pdl, lega e pd, mentre 20 si sono astenuti: giammai un euro dei “loro” ai precari.
(Bianca Vergati)
Quattro milioni i precari secondo Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), quasi un terzo i ragazzi disoccupati: dati detti e ridetti, ormai vuoti slogan, mentre settantamila sono gli italiani under 40 partiti l'anno scorso per l'esetro, dice l'Istat.
Anche il cardinale interviene per invocare che “il lavoro precario sia una fase transitoria”.
Pisa - Foto Alisia Poggio |
E' un grido di dolore che attraversa l'Europa, come titola il 5 aprile El Pais “la Juventud sin futuro”: in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, Inghilterra, dove si aumenteranno pesantemente le tasse universitarie. “la movilización es indispensable. El mundo árabe nos demuestra que la victoria es posible", dicono i ragazzi di Madrid. L'esempio non conforta, per ora.
In Italia per fortuna, il nostro premier dedica particolare attenzione ai giovani, una bella prova al Campus Mentis per la premiazione dell'eccellenza universitaria, in cui sfoggia barzellette da caserma, fra risatine e gelo dei ragazzi dallo sguardo fermo: che cosa penseranno?
Al diavolo tutti, me ne vado da qui.
http://www.vivoaltrove.it è il blog dove si raccolgono le testimonianze e i link di italiani, tanti, che vivono all'estero: Claudia Cucchiarato, una ragazza di Treviso che vive e lavora come giornalista free lance da cinque anni a Barcellona, ne ha raccolto le voci nel libro "Vivo altrove", da cui è nato il sito.
Sono il 29,2% i giovani della popolazione italiana, al di là del Mediterraneo sono il 50% e si dice che i nostri giovani siano schizzinosi per alcuni lavori, è infatti aumentato il lavoro per gli immigrati. Ma che lavoro è? Manuale, intellettuale, specializzato o no, di certo è un lavoro che spesso non tutela i diritti del presente e del futuro.
Tanti cortei colorati, occhi frementi, voci vibranti, immagini flash in tv e soltanto alcune migliaia alle manifestazioni in tutta Italia.
4 aprile 2011, malinconia a S. Lorenzo - Foto Paola Pierantoni |
Presente il segretario quarantenne del Pd, immancabile sigaro.
Ci si chiede come mai così in pochi, magari la bella giornata, piace più il mare della piazza: forse non si sarà mobilitato abbastanza e poi è una città di vecchi.
- E' il comitato organizzatore che ha voluto una manifestazione apartitica …
E allora?
- Ma i “giovani democratici” hanno aderito ugualmente.
Meno male, però paiono presenti più i genitori dei giovani democratici e comunque non è una buona ragione per non messaggiare, per non attivare gli iscritti, i simpatizzanti via mail, visto il tema.
Chiuso appassionatamente l'argomento e sorriso sornione.
A pensar male… non volete che ci si metta il cappello? Allora pedalare.
Nessuno ricorda più il fiasco dell'emendamento Tabacci presentato a fine novembre, che proponeva di destinare per quest'anno i fondi dei partiti agli stipendi dei ricercatori (Corriere della Sera del 1 dicembre 2010). A votare compatti contro 25 deputati di futuro e libertà, udc, mpa, insieme a pdl, lega e pd, mentre 20 si sono astenuti: giammai un euro dei “loro” ai precari.
(Bianca Vergati)
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OLI 297: Concorrenza contro al Jazeera: è come desalinizzare il Mar Morto con un cucchiaio di zucchero
Il mese scorso la segretaria di stato americana Hillary Clinton, ha dichiarato alla commissione senatoriale per gli affari esteri che i networks americani stanno perdendo nella competizione per l’informazione. “ Al-Jazeera, che vi piaccia o no è davvero efficiente, tanto è vero che, per quanto riguarda le news, l’audience di Al-Jazeera negli Stati Uniti sta aumentando perché trasmette vere news”. ”E’ probabile che non ci crediate, ma guardando Al-Jazeera ti rendi conto che stai ricevendo news 24 ore al giorno, invece di milioni di spot pubblicitari e litigi tra inconcludenti mezzibusti. Le nostre tv non forniscono informazione né a noi e né agli stranieri”, ha detto la Clinton.
La settimana scorsa sul sito di Al Jazeera è apparso un articolo di Wadii Awawdeh, nel quale si parla dell’annuncio fatto dal presidente del Congresso dei dirigenti ebraici, Alexander Meskuvic , di creare una nuova rete Tv globale di notizie, come Al Jazeera, a supporto di Israele. Il miliardario ebreo di origine russa, il cui patrimonio, secondo fonti israeliane, ammonta a circa 3,7 miliardi di dollari, ha detto al Congresso ebraico tenutosi nei giorni scorsi negli Stati Uniti: “ogni giorno perdiamo la guerra riguardante l’immagine di Israele nell’opinione pubblica mondiale. Le ricerche delle organizzazioni ebraiche rivelano che i governi europei sono più solidali con Israele rispetto ai propri popoli. E’ necessaria una rete globale ebraica e per scongiurare il pericolo di una delegittimazione internazionale di Israele. La TV sarà lanciata in inglese, arabo, francese e spagnolo e sarà una rete privata e indipendente”.
Ad esprimere parecchi dubbi sul successi dell’iniziativa è il direttore della Scuola di Giornalismo e Comunicazione presso l'Università di Haifa, Gabi Faymann, il quale parlando ad Al Jazeera ha ricordato il fallimento di progetti americani simili, quali la TV Al Horra e la radio Sawa. “E’ molto difficile competere con Al Jazeera - ha detto l’israeliano Faymann – e la concorrenza può venire solo dall’interno e attraverso reti arabe e non attraverso reti straniere al servizio di determinati interessi politici”.
"Prima di creare un canale televisivo – afferma Faymann - è essenziale per Israele avere un chiaro messaggio politico. Il canale satellitare da solo non basta. Gli sforzi propagandistici di Israele nel mondo sono inutili, visto il suo cattivo comportamento politico, ed assomigliano al tentativo di desalinizzare le acque del Mare Morto con un cucchiaio di zucchero".
(Saleh Zaghloul)
La settimana scorsa sul sito di Al Jazeera è apparso un articolo di Wadii Awawdeh, nel quale si parla dell’annuncio fatto dal presidente del Congresso dei dirigenti ebraici, Alexander Meskuvic , di creare una nuova rete Tv globale di notizie, come Al Jazeera, a supporto di Israele. Il miliardario ebreo di origine russa, il cui patrimonio, secondo fonti israeliane, ammonta a circa 3,7 miliardi di dollari, ha detto al Congresso ebraico tenutosi nei giorni scorsi negli Stati Uniti: “ogni giorno perdiamo la guerra riguardante l’immagine di Israele nell’opinione pubblica mondiale. Le ricerche delle organizzazioni ebraiche rivelano che i governi europei sono più solidali con Israele rispetto ai propri popoli. E’ necessaria una rete globale ebraica e per scongiurare il pericolo di una delegittimazione internazionale di Israele. La TV sarà lanciata in inglese, arabo, francese e spagnolo e sarà una rete privata e indipendente”.
Ad esprimere parecchi dubbi sul successi dell’iniziativa è il direttore della Scuola di Giornalismo e Comunicazione presso l'Università di Haifa, Gabi Faymann, il quale parlando ad Al Jazeera ha ricordato il fallimento di progetti americani simili, quali la TV Al Horra e la radio Sawa. “E’ molto difficile competere con Al Jazeera - ha detto l’israeliano Faymann – e la concorrenza può venire solo dall’interno e attraverso reti arabe e non attraverso reti straniere al servizio di determinati interessi politici”.
"Prima di creare un canale televisivo – afferma Faymann - è essenziale per Israele avere un chiaro messaggio politico. Il canale satellitare da solo non basta. Gli sforzi propagandistici di Israele nel mondo sono inutili, visto il suo cattivo comportamento politico, ed assomigliano al tentativo di desalinizzare le acque del Mare Morto con un cucchiaio di zucchero".
(Saleh Zaghloul)
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OLI 297: POLITICA - Profetico Caimano
2006 - Da Il Caimano, di Nanni Moretti
11 Aprile 2011 - Silvio Berlusconi fuori dal Tribunale di Milano
(a cura di Alessandro D'Alessandro e Ferdinando Bonora)
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OLI 297: SOCIETA' - Il processo
Nessuno avrebbe mai immaginato che Pietro l'Aretino avrebbe potuto scrivere con così tanto anticipo del caso Ruby. Una scoperta letteraria inattesa che apre la possibilità di una nuova interpretazione dei famosi Sonetti lussuriosi.
Dal Libro II:
Questo è un libro d'altro che Sonetti,
di Capitoli, d'Egloghe o Canzone;
qui il Sannazaro o il Bembo non compone
né liquidi cristalli, né fioretti.
Qui il Berlu (*) non ha madrigaletti,
ma vi son cazzi senza discrezione,
ecci la potta, e 'l cul che gli ripone,
come fanno le scatole a' confetti.
E qui son gente fottute sfottute,
e di cazzi e di potte notomie,
e nei culi molte anime perdute.
E ognun si fotte in le più leggiadre vie,
ch'a Ponte Sisto non sarian credute,
infra le puttanesche gerarchie.
Et in fin le son pazzie
a farsi schifo di sì buoni bocconi,
e chi non fotte ognun, Dio gli perdoni!
* Bernia nel sonetto originale
(Stefano De Pietro)
Dal Libro II:
Questo è un libro d'altro che Sonetti,
di Capitoli, d'Egloghe o Canzone;
qui il Sannazaro o il Bembo non compone
né liquidi cristalli, né fioretti.
Qui il Berlu (*) non ha madrigaletti,
ma vi son cazzi senza discrezione,
ecci la potta, e 'l cul che gli ripone,
come fanno le scatole a' confetti.
E qui son gente fottute sfottute,
e di cazzi e di potte notomie,
e nei culi molte anime perdute.
E ognun si fotte in le più leggiadre vie,
ch'a Ponte Sisto non sarian credute,
infra le puttanesche gerarchie.
Et in fin le son pazzie
a farsi schifo di sì buoni bocconi,
e chi non fotte ognun, Dio gli perdoni!
* Bernia nel sonetto originale
(Stefano De Pietro)
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OLI 297: STORIA – Per non dimenticare Sarajevo
Foto di Giorgio Bergami ©
In 51 pannelli riemergono memorie di una guerra che è bene non dimenticare.
Nel cimitero militare, una accanto all’altra sotto la neve, croci e mezzelune, tombe cristiane e tombe musulmane.
A manifestazione conclusa, l’autore donerà tutto il materiale alla Vijećnica, la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Sarajevo, che ha perso ogni documentazione sul drammatico periodo dell’assedio.
Per il programma de La Storia in piazza
http://www.palazzoducale.genova.it/pdf/2011/storia_in_piazza.pdf
(Ferdinando Bonora)
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OLI 297: CULTURA - Enzo Costa, a teatro
Genova ha la fortuna di avere un gruppo di artisti di alto livello capace anche della dimensione dell'amicizia, della semplicità e della gratuità, così lunedì 4 aprile c’era aria di famiglia sul palco del Duse. Chissà quante altre città possiedono questo piccolo tesoro, e chissà se Genova sa fino in fondo di averlo. Forse no, perché altrimenti la sala anziché essere piena per i due terzi, lo sarebbe stata per intero, con la gente in piedi, e la coda fuori a premere per entrare.
Il titolo dello spettacolo era “Quanto Costa!”, e ruotava intorno alle rime e agli aforismi di Enzo Costa. Chi legge La Repubblica e Oli, attraverso i “Lanternini” e il “Versante” ne conosce bene dimensione etica ed ironia, ma questa è solo una parte dei regali che ci vengono dalla “passione-ossessione di giocare con la lingua” che anima dal 1988 il nostro amico scrittore. Sul palco recitazione e musica l’hanno fatta brillare per intero, cosicché si è riso e applaudito molto in sala, e di cuore, e si è andati via segnando questa serata tra quelle da ricordare, come era stata poco tempo fa, il 27 gennaio, un’altra splendida serata “familiare”, quella del “DeScalzi’s Restaurant”, al Genovese.
I nomi sul palco vanno detti, segnati e ricordati: Enrico Campanati, Carla Peirolero, le ragazze e ragazzi del Suq, Gian Piero Alloisio, Roberta Alloisio, Claudio Pozzani, Andrea Possa (dei Soggetti Smarriti), e gli artisti-giornalisti Giuliano Galletta (Il Secolo XIX) e Stefano Bigazzi (La Repubblica).
In alto, dalla galleria, la voce di Enzo Costa medesimo, intenzionalmente robotica e straniante, riportava a intervalli l’emozione del pubblico dalla spensieratezza a quel di molto serio e poco allegro che sta al fondo delle sue rime.
A testimonianza di questa dimensione, ancora sotto l’impressione della malinconica manifestazione dei precari di venerdì scorso a S. Lorenzo, scelgo la poesia “L’uomo flessibile” (da “Rime Bacate e aforismi da Banco”, Enzo Costa - Editori Riuniti, 2010) che Costa pubblicò su Cuore nel lontano 1995, quando ancora in molti – anche a sinistra, anche nel sindacato - esaltavano la modernità del lavoro flessibile e il suo gradimento da parte di giovani che in un lavoro stabile – si diceva - si sarebbero sentiti in gabbia. Sic.
(Paola Pierantoni)
Il titolo dello spettacolo era “Quanto Costa!”, e ruotava intorno alle rime e agli aforismi di Enzo Costa. Chi legge La Repubblica e Oli, attraverso i “Lanternini” e il “Versante” ne conosce bene dimensione etica ed ironia, ma questa è solo una parte dei regali che ci vengono dalla “passione-ossessione di giocare con la lingua” che anima dal 1988 il nostro amico scrittore. Sul palco recitazione e musica l’hanno fatta brillare per intero, cosicché si è riso e applaudito molto in sala, e di cuore, e si è andati via segnando questa serata tra quelle da ricordare, come era stata poco tempo fa, il 27 gennaio, un’altra splendida serata “familiare”, quella del “DeScalzi’s Restaurant”, al Genovese.
I nomi sul palco vanno detti, segnati e ricordati: Enrico Campanati, Carla Peirolero, le ragazze e ragazzi del Suq, Gian Piero Alloisio, Roberta Alloisio, Claudio Pozzani, Andrea Possa (dei Soggetti Smarriti), e gli artisti-giornalisti Giuliano Galletta (Il Secolo XIX) e Stefano Bigazzi (La Repubblica).
In alto, dalla galleria, la voce di Enzo Costa medesimo, intenzionalmente robotica e straniante, riportava a intervalli l’emozione del pubblico dalla spensieratezza a quel di molto serio e poco allegro che sta al fondo delle sue rime.
A testimonianza di questa dimensione, ancora sotto l’impressione della malinconica manifestazione dei precari di venerdì scorso a S. Lorenzo, scelgo la poesia “L’uomo flessibile” (da “Rime Bacate e aforismi da Banco”, Enzo Costa - Editori Riuniti, 2010) che Costa pubblicò su Cuore nel lontano 1995, quando ancora in molti – anche a sinistra, anche nel sindacato - esaltavano la modernità del lavoro flessibile e il suo gradimento da parte di giovani che in un lavoro stabile – si diceva - si sarebbero sentiti in gabbia. Sic.
(Paola Pierantoni)
L’uomo flessibile
ti prego, scusami
se son volubile
e dall’umore
piuttosto instabile
per cui risulto
così fuggevole
che sfioro il limite
dell’ineffabile.
Scusami tanto
se son mutevole
se ho questo fisico
ipersnodabile
per niente rigido
ma ultraflessibile
ben più che duttile
direi plasmabile.
Scusa se oscillo
a mo’ di pendolo
se mai sto fermo
ma sempre vagolo
se uso solo
le sedie a dondolo
e se di notte
sono nottambulo
giammai riposo
bensì deambulo
se sembro in preda
ad un delirio
di chiaro stampo
psicomotorio
giacché il mio scopo,
quello primario,
è deragliare
da ogni binario.
sarò ridicolo
ma avrò un salario
ecco il miracolo:
sono precario.
Enzo Costa, da Cuore 1995
OLI 297: LETTERE - Amt, il video erutta sulla testa dei viaggiatori
Sabato scorso sono salita a Sestri Ponente sul bus n. 1 diretta a Caricamento e durante il viaggio sono stata intrattenuta da un video collocato sulla parete posteriore della cabina di guida.
Ho pensato: “Anche qui!”. Già molti luoghi sono invasi da video pulsanti e fastidiosa musica di sottofondo. Su quel video si alternavano slide, tavole a colori, obiettivi, sistemi, incuriosita ho continuato a guardare e ho capito che si trattava di progetti riguardanti la Genova del futuro.
In effetti sotto le immagini scorrevano parole come: inserimento a livello Europeo, attenzione al territorio, città che guarda al futuro, città compatta, città vivibile, progetti di quartiere.
Era molto difficile, in quella condizione, districarsi e capire le molte informazioni che eruttavano dal video sui viaggiatori del bus. E' noto, a chi li frequenta abitualmente, che i bus cittadini non sono il massimo del confort sia per il massiccio numero di viaggiatori che per il traffico convulso
Due ragazzini, generazione abituata a interagire con i moderni mezzi multimediali, hanno provato a toccare il video, forse pensando ad un videogioco, ma lui (il video) incurante alle loro sollecitazioni ha continuato a emettere le immagini previste.
Mi sono interrogata sull'efficacia e sul costo di questo genere di iniziative, la perplessità mi ha accompagnato al capolinea.
Come cittadina sono contrariata da questo tipo di informazioni che non “informano” ed hanno piuttosto l'aria di metodi pubblicitari. Vorrei invece avere risposte alle molte domande e denunce che, come cittadini, abbiamo posto all'amministrazione cittadina, rimanendo inascoltati, sui problemi relativi al traffico pesante che giornalmente si riversa sulle strade del nostro quartiere ( http://nuke.amicidelchiaravagna.it/Tematiche/ProblematicheViaBorzoli/VieBorzolieChiaravagna/tabid/181/Default.aspx )
Proprio i giornali di questi giorni indicano un forte aumento del traffico pesante a Genova e un peggioramento probabile nei prossimi anni in concomitanza con lo sviluppo dei traffici del porto.
Ci auguriamo quindi un rapporto più autentico e chiaro con l'Amministrazione.
(Luisa Campagna)
Ho pensato: “Anche qui!”. Già molti luoghi sono invasi da video pulsanti e fastidiosa musica di sottofondo. Su quel video si alternavano slide, tavole a colori, obiettivi, sistemi, incuriosita ho continuato a guardare e ho capito che si trattava di progetti riguardanti la Genova del futuro.
In effetti sotto le immagini scorrevano parole come: inserimento a livello Europeo, attenzione al territorio, città che guarda al futuro, città compatta, città vivibile, progetti di quartiere.
Era molto difficile, in quella condizione, districarsi e capire le molte informazioni che eruttavano dal video sui viaggiatori del bus. E' noto, a chi li frequenta abitualmente, che i bus cittadini non sono il massimo del confort sia per il massiccio numero di viaggiatori che per il traffico convulso
Due ragazzini, generazione abituata a interagire con i moderni mezzi multimediali, hanno provato a toccare il video, forse pensando ad un videogioco, ma lui (il video) incurante alle loro sollecitazioni ha continuato a emettere le immagini previste.
Mi sono interrogata sull'efficacia e sul costo di questo genere di iniziative, la perplessità mi ha accompagnato al capolinea.
Come cittadina sono contrariata da questo tipo di informazioni che non “informano” ed hanno piuttosto l'aria di metodi pubblicitari. Vorrei invece avere risposte alle molte domande e denunce che, come cittadini, abbiamo posto all'amministrazione cittadina, rimanendo inascoltati, sui problemi relativi al traffico pesante che giornalmente si riversa sulle strade del nostro quartiere ( http://nuke.amicidelchiaravagna.it/Tematiche/ProblematicheViaBorzoli/VieBorzolieChiaravagna/tabid/181/Default.aspx )
Proprio i giornali di questi giorni indicano un forte aumento del traffico pesante a Genova e un peggioramento probabile nei prossimi anni in concomitanza con lo sviluppo dei traffici del porto.
Ci auguriamo quindi un rapporto più autentico e chiaro con l'Amministrazione.
(Luisa Campagna)
martedì 5 aprile 2011
OLI 296: SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - LAMPEDUSANZE (Enzo Costa & Aglaja)
POESIA - Ho deciso di cavalcare il popolo (a cura di Saleh Zaghloul)
POLITICA - Il discorso di Berlusconi a Lampedusa (a cura di Ferdinando Bonora)
GEOPOLITICA - Bahrain & Co: la geografia serve a fare la guerra (Eleana Marullo)
NUCLEARE - No e basta (Stefano De Pietro)
POLITICA - Pinotti & C: lobby bipartisan per il nostro futuro (Paola Pierantoni)
CITTA' - Nuovo Puc, se il Parlamento docet (Bianca Vergati)
PAROLE DEGLI OCCHI - La città (a cura di Giorgio Bergami)
POESIA - Ho deciso di cavalcare il popolo (a cura di Saleh Zaghloul)
POLITICA - Il discorso di Berlusconi a Lampedusa (a cura di Ferdinando Bonora)
GEOPOLITICA - Bahrain & Co: la geografia serve a fare la guerra (Eleana Marullo)
NUCLEARE - No e basta (Stefano De Pietro)
POLITICA - Pinotti & C: lobby bipartisan per il nostro futuro (Paola Pierantoni)
CITTA' - Nuovo Puc, se il Parlamento docet (Bianca Vergati)
PAROLE DEGLI OCCHI - La città (a cura di Giorgio Bergami)
OLI 296: VERSANTE LIGURE - LAMPEDUSANZE
Dei profughi, con cura,
far carne (di gran resa)
per spot sulla paura:
stiparli è buona cosa.
Poi, con faccia sparviera,
all’isola, già offesa,
spacciar balle da fiera
promesse alla rinfusa:
così ci si sdecora,
nell’Italietta fusa,
così si fa e lavora
così si (Lamped)usa.
Versi di ENZO COSTA
Vignetta di AGLAJA
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VERSANTE LIGURE
OLI 296: POESIA - Ho deciso di cavalcare il popolo
Gli arabi in giro per il mondo stanno facendo circolare in rete questi versi di Nizar Qabbani, siriano, nato a Damasco nel 1923, forse il più popolare dei poeti arabi contemporanei. Questi versi fanno parte di una lunga poesia dal titolo "Autobiografia di un macellaio arabo", compresa nella raccolta "Ti ho sposata libertà". I versi sono stati scritti nel 1988, ma sono resi attualissimi dalla caduta dei dittatori nel mondo arabo e dai loro ultimi discorsi al popolo in rivolta prima di fuggire e lasciare il potere. Nizar è morto nel 1998 a Parigi. Famoso per essere “il poeta dell’amore” e “il poeta delle donne” è riuscito a scrivere le migliori poesie politiche. Le sue poesie erano censurate e proibite in quasi tutti i paesi arabi ma erano le più diffuse e popolari tra i cittadini arabi in particolare tra i giovani. Nizar è uno di quelli che hanno lavorato e pagato molto per la libertà e la democrazia nel mondo arabo, peccato non abbia vissuto ancora per assistere all’attuale straordinario cambiamento nel mondo arabo. La sua raccolta di poesie "Il fiammifero è nella mia mano e i vostri piccoli stati sono di carta" è stata pubblicata, nel 2001, dalla casa editrice San Marco dei Giustiniani di Genova:
Ho deciso di cavalcare il popolo
di Nizar Qabbani, traduzione di Saleh Zaghloul
Ogni volta che ho pensato di lasciare il potere
la mia coscienza me lo ha proibito ..
Chissà chi dopo di me governerà questa brava gente?
Chi dopo di me guarirà lo zoppo ..
il lebbroso ..
e il cieco ..
Chi ridarà vita alle ossa dei morti?
Chissà chi sarà capace di far uscire la luce della luna dal proprio mantello?
Chi potrà mandare la pioggia alle persone?
Chissà chi li frusterà novanta volte?
Chi sarà a crocifiggerli sopra gli alberi?
A costringerli a vivere come le bestie?
E a morire come le bestie?
Ogni volta che ho pensato di lasciarli ..
le mie lacrime scoppiavano come una nuvola ..
e fiducioso nel sostegno di Dio ..
ho deciso di cavalcare il popolo ..
da ora fino al Giorno dell’apocalisse.
(a cura di Saleh Zaghloul)
Ho deciso di cavalcare il popolo
di Nizar Qabbani, traduzione di Saleh Zaghloul
Ogni volta che ho pensato di lasciare il potere
la mia coscienza me lo ha proibito ..
Chissà chi dopo di me governerà questa brava gente?
Chi dopo di me guarirà lo zoppo ..
il lebbroso ..
e il cieco ..
Chi ridarà vita alle ossa dei morti?
Chissà chi sarà capace di far uscire la luce della luna dal proprio mantello?
Chi potrà mandare la pioggia alle persone?
Chissà chi li frusterà novanta volte?
Chi sarà a crocifiggerli sopra gli alberi?
A costringerli a vivere come le bestie?
E a morire come le bestie?
Ogni volta che ho pensato di lasciarli ..
le mie lacrime scoppiavano come una nuvola ..
e fiducioso nel sostegno di Dio ..
ho deciso di cavalcare il popolo ..
da ora fino al Giorno dell’apocalisse.
(a cura di Saleh Zaghloul)
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OLI 296: POLITICA - Il discorso di Berlusconi a Lampedusa
da Nerone di Alessandro Blasetti, con Ettore Petrolini e altri, 1930.
(a cura di Ferdinando Bonora)
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OLI 296: GEOPOLITICA - Bahrain & Co: la geografia serve a fare la guerra
Uno dei motivi scatenanti delle rivolte che sono divampate in Bahrain, secondo le notizie che circolano in rete, è stata la diffusione di una serie di immagini, tratte da Google Earth (http://www.businessinsider.com/bahrain-google-earth-2011-3#-1 ). Nel documento sono messe a confronto le aree di proprietà della famiglia reale e del suo entourage – minoranza sunnita – con quelle in cui abitano e possiedono terreni gli sciiti. Il problema sociale e politico più sentito è infatti la distribuzione iniqua delle terre, che costringe le fasce povere della popolazione ad accalcarsi nelle case e a vivere in aree ristrette, specialmente nel sud dell’isola. Residenze imperiali, palazzi, campi da golf, ippodromi e yacht sfilano ad accendere il malcontento della popolazione. Le immagini hanno iniziato a circolare nel 2006, in occasione delle elezioni parlamentari nello Stato del golfo Persico ma sono tornate attuali con il propagarsi delle rivolte nel mondo arabo. Friedman, editorialista del NY Times, ha raccontato questa vicenda in un articolo, poi tradotto su Repubblica (4 marzo 2011), sottolineando come, tra i vari strumenti della rete che hanno reso possibile il propagarsi delle rivolte, ci sia anche il grande occhio di Google Earth, che mette a nudo il mondo e lo offre a disposizione di chiunque. Un fattore che invece non è stato messo sufficientemente in luce è la forza dirompente e politica che la rappresentazione dello spazio possiede. Fa tornare alla mente che, senza alcun dubbio, “La geografia serve a fare la guerra”. Questo era il titolo del numero 0 della rivista Hérodote/Italia, che nel 1978 si proponeva di considerare criticamente il ruolo della geografia, nelle università, nella politica, nella guerra. Alla geografia insegnata nelle scuole, che si crede oggettiva e fatta di dati inconfutabili, se ne affiancano altre. La geografia spettacolo, ad esempio, quella delle cartoline, del turismo e delle vacanze, oppure la geografia del potere strategico, che viene controllata da chi il potere lo detiene e lo vuole conservare. Si continua a leggere, nel manifesto di intenti della rivista “In molti paesi la vendita delle carte geografiche a grande scala è stata proibita dal momento in cui le tensioni sociali hanno raggiunto un certo stadio”.
Questo è solo uno spunto per un gioco di analisi che si può proseguire. Esempi nostrani e quotidiani dell’utilizzo strategico della rappresentazione dello spazio non mancano davvero. Basta pensare a Bossi, che sfrutta le sue competenze geopolitiche affermando sui profughi del Maghreb “E’ meglio tenerli a sud, è più vicino ( http://www.newnotizie.it/2011/03/29/immigrati-bossi-meglio-tenerli-al-sud/ ), oppure al premier che – magicamente – sostituisce le immagini da frontiera di Lampedusa, carica di disperati in fuga e abbandonata all’emergenza, con cartoline da geografia-spettacolo: palme, villette, casinò. Siamo ancora sicuri che la geografia sia banale e noiosa?(Eleana Marullo)
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OLI 296: NUCLEARE - No e basta.
Passato un po' di tempo dalla catastrofe del terremoto giapponese, si possono tirare le prime somme, usando il linguaggio molto diretto di chi è preoccupato per la nuova svolta nuclearista del governo italiano. E' mia convinzione che dietro l'apparente gentilezza del modo di pensare comune a chi lavora con una formazione tecnica universitaria e legato a concetti economici e affidabilistici, si nasconde in realtà la determinazione di imporre il nucleare in modo paternalistico, come risultato di un processo di analisi alterato per farlo suonare come logico ed apparentemente inattaccabile. Invece, fuori dalle considerazioni economiche ci sono, tanto per iniziare, quelle sanitarie, che hanno già ampiamente dimostrato che il nucleare, in realtà, è letale per fondamento stesso, al di là delle ipotesi incidentali, ad esempio come quando (non) si parla dei rifiuti, che rifiuti restano anche se prodotti da centrali di ennesima generazione. Per quanto riguarda la sicurezza, avere avuto tre incidenti "top" nel giro di poco più di trent'anni lascia presumere che i valori di frequenza attesa siano stati a dir poco sottostimati. Certo, a posteriori, sia Three Miles Island, che Chernobyl e adesso Fukushima, così come le centinaia di piccoli eventi "minori" silenziosi (per questo a mio avviso ancora più inaccettabili), innestano il ciclo virtuoso di analisi che consente di capire i difetti degli impianti per renderli "un po' più sicuri".
Però, quando poi si scopre che un'ondata d'acqua, per quanto gigantesca ma comunque prevista in quella zona, mette in ginocchio 4 reattori, allora il parere anche dei tecnici dovrebbe cambiare. Cosa sarà stato questa volta? I muri hanno dimostrato di reggere perché l'ondata era prevista, quindi cosa scopriremo? Che si sono staccati i serbatoi del gasolio dei generatori, galleggiando sull'acqua? O che le prese d'aria non sono state previste ad un'altezza tale da garantirne il funzionamento con i motori sommersi? Non mi stupirebbe che particolari tanto semplici possano aver causato un effetto domino di tale dimensione, i generatori erano molti e che tutti siano saltati lascia presupporre ad un problema di progettazione comune legato all'inondazione o ad un punto critico non previsto nell'analisi di rischio. Diversamente da così sarebbe ancora più preoccupante, perché la stupidità di un particolare purtroppo esiste al di là dei calcoli generali più esatti, mentre un evento dovuto ad un problema "di fondo" sarebbe davvero inaccettabile e criminale. E nel caso di Fukushima, il progetto ha affidato la vita della centrale ad un sistema non a sicurezza intrinseca, direi quindi che si è trattato di un problema "di fondo": il flusso d'acqua legato ai generatori (sicurezza attiva) è un errore lampante, una scelta operativa sicuramente dettata dai famosi "costi inaccettabili" di una centrale più sicura. Ricordo che un giorno proposi ad un'assicurazione di legare il premio della RCT al livello di attenzione che l'azienda poneva nella gestione degli impianti, in quel caso dei semplicissimi stoccaggi di gas, e della loro conformità ai gradi più elevati della tecnica migliore. Ricevetti un diniego, perché, mi spiegarono, le assicurazioni lavorano proprio sull'imprevedibile, basandosi su un'analisi statistica dei dati a posteriori, sull'esperienza. E i dati storici sul nucleare, al di là dei numerini "dieciallamenoqualcosa", delle promesse dei progettisti, delle parole dei politici, dicono che è l'ora di smetterla.
Votai a sfavore del nucleare nel 1987, allora non tanto perché non credevo nella capacità della tecnica in sé stessa, quanto per una basilare sfiducia di una gestione così complessa in un paese come il nostro (non credo di dover citare i motivi, sono evidenti, ed oggi siamo peggiorati). Adesso, invece, si scopre che questa tecnologia è "troppo complessa" anche per un popolo come quello giapponese, esempio di efficienza e dove l'amministratore delegato della Tepco va in giro per i campi profughi a scusarsi personalmente per il *casino* che hanno combinato (scusate il termine, ma è davvero appropriato).
Comunque, arrivati a questo punto non credo che ci sia più spazio per una discussione su questo argomento, chi ancora è convinto che si possa fare e gestire la fissione, vive in un passato di illusione ingegneristica sconfessata dai fatti. Per noi, antinuclearisti della prima ora, resta solo di avvisare che difenderemo duramente il nostro diritto alla vita. Il vecchio motto del "Nucleare, no grazie" da oggi diventa un esplicito "Nucleare, no e basta!". Pazienza se saremo tacciati di non essere democratici come le nubi radioattive, quando sorvolano il mondo inquinando ricchi e poveri in egual misura.
E non si venga a dire che "tanto le centrali straniere sono a pochi chilometri fuori del confine": chi vuole cambiare il mondo, cominci a cambiare sé stesso.
(Stefano De Pietro)
Però, quando poi si scopre che un'ondata d'acqua, per quanto gigantesca ma comunque prevista in quella zona, mette in ginocchio 4 reattori, allora il parere anche dei tecnici dovrebbe cambiare. Cosa sarà stato questa volta? I muri hanno dimostrato di reggere perché l'ondata era prevista, quindi cosa scopriremo? Che si sono staccati i serbatoi del gasolio dei generatori, galleggiando sull'acqua? O che le prese d'aria non sono state previste ad un'altezza tale da garantirne il funzionamento con i motori sommersi? Non mi stupirebbe che particolari tanto semplici possano aver causato un effetto domino di tale dimensione, i generatori erano molti e che tutti siano saltati lascia presupporre ad un problema di progettazione comune legato all'inondazione o ad un punto critico non previsto nell'analisi di rischio. Diversamente da così sarebbe ancora più preoccupante, perché la stupidità di un particolare purtroppo esiste al di là dei calcoli generali più esatti, mentre un evento dovuto ad un problema "di fondo" sarebbe davvero inaccettabile e criminale. E nel caso di Fukushima, il progetto ha affidato la vita della centrale ad un sistema non a sicurezza intrinseca, direi quindi che si è trattato di un problema "di fondo": il flusso d'acqua legato ai generatori (sicurezza attiva) è un errore lampante, una scelta operativa sicuramente dettata dai famosi "costi inaccettabili" di una centrale più sicura. Ricordo che un giorno proposi ad un'assicurazione di legare il premio della RCT al livello di attenzione che l'azienda poneva nella gestione degli impianti, in quel caso dei semplicissimi stoccaggi di gas, e della loro conformità ai gradi più elevati della tecnica migliore. Ricevetti un diniego, perché, mi spiegarono, le assicurazioni lavorano proprio sull'imprevedibile, basandosi su un'analisi statistica dei dati a posteriori, sull'esperienza. E i dati storici sul nucleare, al di là dei numerini "dieciallamenoqualcosa", delle promesse dei progettisti, delle parole dei politici, dicono che è l'ora di smetterla.
Votai a sfavore del nucleare nel 1987, allora non tanto perché non credevo nella capacità della tecnica in sé stessa, quanto per una basilare sfiducia di una gestione così complessa in un paese come il nostro (non credo di dover citare i motivi, sono evidenti, ed oggi siamo peggiorati). Adesso, invece, si scopre che questa tecnologia è "troppo complessa" anche per un popolo come quello giapponese, esempio di efficienza e dove l'amministratore delegato della Tepco va in giro per i campi profughi a scusarsi personalmente per il *casino* che hanno combinato (scusate il termine, ma è davvero appropriato).
Comunque, arrivati a questo punto non credo che ci sia più spazio per una discussione su questo argomento, chi ancora è convinto che si possa fare e gestire la fissione, vive in un passato di illusione ingegneristica sconfessata dai fatti. Per noi, antinuclearisti della prima ora, resta solo di avvisare che difenderemo duramente il nostro diritto alla vita. Il vecchio motto del "Nucleare, no grazie" da oggi diventa un esplicito "Nucleare, no e basta!". Pazienza se saremo tacciati di non essere democratici come le nubi radioattive, quando sorvolano il mondo inquinando ricchi e poveri in egual misura.
E non si venga a dire che "tanto le centrali straniere sono a pochi chilometri fuori del confine": chi vuole cambiare il mondo, cominci a cambiare sé stesso.
(Stefano De Pietro)
OLI 296: POLITICA - Pinotti & C: lobby bipartisan per il nostro futuro
Confesso distrazione e disattenzione, ma di fronte al titolo “Minova politica contro l’isolamento di Genova” (La Repubblica, 4 aprile) la prima cosa che mi è venuta in mente è che si trattasse di un refuso, di un lapsus di scrittura. Forse, ho pensato, intendevano manovra … Poi ho associato! L’allusione era alla nuova città invisibile del nostro futuro, MiNova = Mi(lano) + (Ge)nova, “benedetta” nei giorni scorsi da Burlando e Formigoni (La Repubblica, 30 marzo), suggestivo scenario per la intervista alla “esponente di punta del PD ligure” Roberta Pinotti, preoccupata per l’isolamento di Genova.
Il tono è narrativo, evocativo ("… tempo fa sentii Berneschi affermare che la realizzazione delle grandi infrastrutture poteva essere anche sostenuta dalle banche"), gli scenari affascinanti: una lobby politica positiva … una lobby bipartisan … la necessità di un cambio di passo, da favorire con un invito a cena. Commensali: Roberta Pinotti, Giampiero Cantoni, Pdl, presidente della commissione difesa del Senato e di Expò 2015, Luigi Merlo e, forse, (il tentativo di coinvolgimento è ancora in corso …) Luigi Grillo “che da più di venti anni si occupa della vicenda e che a mio avviso dovrebbe diventare il promotore di un tavolo fra parlamentari liguri e lombardi uniti nella realizzazione del terzo valico”.
Il cronista ha un dubbio: “Non rischia la Pinotti di aprire eccessivamente al centro-destra in questa operazione?”.
“Non scherziamo!” – reagisce l’intervistata – “La situazione è così conflittuale con la maggioranza che vorrei che il governo cadesse”
Ah, menomale. Ci eravamo impensieriti.
Per note biografiche sul Senatore Lugi Grillo consultare Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Grillo
(Paola Pierantoni)
Il tono è narrativo, evocativo ("… tempo fa sentii Berneschi affermare che la realizzazione delle grandi infrastrutture poteva essere anche sostenuta dalle banche"), gli scenari affascinanti: una lobby politica positiva … una lobby bipartisan … la necessità di un cambio di passo, da favorire con un invito a cena. Commensali: Roberta Pinotti, Giampiero Cantoni, Pdl, presidente della commissione difesa del Senato e di Expò 2015, Luigi Merlo e, forse, (il tentativo di coinvolgimento è ancora in corso …) Luigi Grillo “che da più di venti anni si occupa della vicenda e che a mio avviso dovrebbe diventare il promotore di un tavolo fra parlamentari liguri e lombardi uniti nella realizzazione del terzo valico”.
Il cronista ha un dubbio: “Non rischia la Pinotti di aprire eccessivamente al centro-destra in questa operazione?”.
“Non scherziamo!” – reagisce l’intervistata – “La situazione è così conflittuale con la maggioranza che vorrei che il governo cadesse”
Ah, menomale. Ci eravamo impensieriti.
Per note biografiche sul Senatore Lugi Grillo consultare Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Grillo
(Paola Pierantoni)
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OLI 296: CITTA' - Nuovo Puc, se il Parlamento docet
Mercoledi 30 marzo, terzo incontro sul nuovo Piano Urbanistico di Genova.
Non c'è la campanella ma servirebbe tanto. La sala rossa del consiglio comunale sembra un'aula scolastica, pochi al loro posto, tanti in piedi, gruppetti a chiacchierare. Invano il giovane presidente apre i lavori, i più indisciplinati non demordono, specie i senior. Comincia così la seduta della commissione urbanistica sul Puc, i timori si rilevano fondati, anche oggi si segue un rituale già visto per le proteste dell'opposizione, che si tramutano in liti aperte, attacchi personali, intimazioni a chi presiede. Durano quasi un'ora le intemperanze e alcuni della maggioranza sgattaiolano furtivi, hanno già fatto presenza.
Il motivo del contendere è l'indisponibilità di materiale “cartaceo”, ovvero il documento del Puc è soltanto su dischetto e più consiglieri asseriscono di saper usare poco il computer.
Al massimo la posta si borbotta e poi al grido di "non ci si può permettere! Ma qui ci prendono per ... " si sottolinea che il regolamento espressamente prescrive che va fornita documentazione comprensibile.
"Il Puc non è ancora quello definitivo e quindi inutile stamparlo" si ribatte in un vociare fastidioso.
Ecco infine la sindaco, trafelata, che spiega essere appena arrivata da Milano per la presentazione ufficiale di Euroflora, che si terrà a Genova e quindi altri buuh, contiamo meno di Busalla.
Un po' d'ordine, siamo qui per lavorare, si devono ultimare le spiegazioni: frettolose e schizofreniche, soprattutto per chi non ha nemmeno visionato il dischetto.
L'oggetto del contendere è invero “corpulento” : centinaia di pagine di scritto e tavole a colori.
A stamparlo per gli addetti (consiglio comunale, nove municipi, associazioni, Confindustria, ordini architetti e altri ancora) si presume un costo di migliaia di euro per cui: i volenterosi lo studino a computer, mentre l'unica corposa copia cartacea è consultabile presso l'ufficio di presidenza.
A quel punto ci si chiede perchè non fare un bel corsetto di uso minimo del web o se invece non sia questo un modo per non proseguire i lavori, pur riconoscendo che un po' di ragione chi protesta la possiede. Cartine, tabulati , obiettivi, sistemi, insomma un “tomo” così puntuale e preciso, davvero impegnativo per chi non è del mestiere.
Confusione voluta, mania di grandezza, eccesso di precisione?
Il Puc è comunque ambizioso con sfaccettature accattivanti come l'idea dell'acqua che accomuna i sistemi territoriali, in cui viene suddivisa Genova e dintorni, non più l'abitato del mare soltanto, ma lo spazio di collina e le sue vallate
Certamente il “piano” risulta positivo per l'inserimento a livello europeo della città-porto e quindi giusto considerare infrastrutture, corridoi di mobilità nel contesto globale, insieme all'aspetto demografico, pur se quello socioeconomico appare sotto traccia. Si devono però fare i conti con l'Europa e anche con Autorità portuale, ente Fiera, Autostrade e insieme agli obiettivi, il verde, il piano energetico, l'aspetto geomorfologico, il costruito, gli spazi vuoti, i servizi,le aree dismesse o produttive....e se si va al succo del discorso, cioè che cosa ne sarà di un'area, ci si perde.
Troppa frammentazione, non sembra un piano fatto per i cittadini. Sarà autentica, eppure sfugge, la proclamata reale attenzione per il territorio, sarà campo di caccia per dispute leguleie.
Ad esempio l'ex ospedale di Quarto è inserito sia negli “obiettivi” come “parco tecnologico-scientifico” ("meraviglia, pensi, forse faranno un campus, visto che l'università dismette per far cassa ...), sia nei “sistemi di trasformazione di aree”, e qui se ne parla come “insediamento residenziale integrato con un polo per atti direzionali e ad alto contenuto tecnologico del levante”. Ma non si sta già facendo il polo degli Erzelli a ponente? Forse un'ipotesi per Abb o Ericsson, o una vaghezza?
"Una città che guarda al futuro con il nuovo Piano Urbanistico Comunale e la candidatura europea a Smart City, un progetto per migliorare la qualità della vita dei genovesi attraverso uno sviluppo economico rispettoso dell'ambiente" secondo Richard Burdett, l'archistar londinese, artefice del Piano, "perchè Genova ha tre qualità fondamentali: compattezza territoriale, al di là delle ovvie difficoltà di trasporto, una felice posizione geografica verso sud che può consentire di sfruttare al meglio l’energia solare e forte connessione tra il tessuto economico e sociale". Sic, speriamo bene alla prossima seduta e non solo.
(Bianca Vergati)
Non c'è la campanella ma servirebbe tanto. La sala rossa del consiglio comunale sembra un'aula scolastica, pochi al loro posto, tanti in piedi, gruppetti a chiacchierare. Invano il giovane presidente apre i lavori, i più indisciplinati non demordono, specie i senior. Comincia così la seduta della commissione urbanistica sul Puc, i timori si rilevano fondati, anche oggi si segue un rituale già visto per le proteste dell'opposizione, che si tramutano in liti aperte, attacchi personali, intimazioni a chi presiede. Durano quasi un'ora le intemperanze e alcuni della maggioranza sgattaiolano furtivi, hanno già fatto presenza.
Il motivo del contendere è l'indisponibilità di materiale “cartaceo”, ovvero il documento del Puc è soltanto su dischetto e più consiglieri asseriscono di saper usare poco il computer.
Al massimo la posta si borbotta e poi al grido di "non ci si può permettere! Ma qui ci prendono per ... " si sottolinea che il regolamento espressamente prescrive che va fornita documentazione comprensibile.
"Il Puc non è ancora quello definitivo e quindi inutile stamparlo" si ribatte in un vociare fastidioso.
Ecco infine la sindaco, trafelata, che spiega essere appena arrivata da Milano per la presentazione ufficiale di Euroflora, che si terrà a Genova e quindi altri buuh, contiamo meno di Busalla.
Un po' d'ordine, siamo qui per lavorare, si devono ultimare le spiegazioni: frettolose e schizofreniche, soprattutto per chi non ha nemmeno visionato il dischetto.
L'oggetto del contendere è invero “corpulento” : centinaia di pagine di scritto e tavole a colori.
A stamparlo per gli addetti (consiglio comunale, nove municipi, associazioni, Confindustria, ordini architetti e altri ancora) si presume un costo di migliaia di euro per cui: i volenterosi lo studino a computer, mentre l'unica corposa copia cartacea è consultabile presso l'ufficio di presidenza.
A quel punto ci si chiede perchè non fare un bel corsetto di uso minimo del web o se invece non sia questo un modo per non proseguire i lavori, pur riconoscendo che un po' di ragione chi protesta la possiede. Cartine, tabulati , obiettivi, sistemi, insomma un “tomo” così puntuale e preciso, davvero impegnativo per chi non è del mestiere.
Confusione voluta, mania di grandezza, eccesso di precisione?
Il Puc è comunque ambizioso con sfaccettature accattivanti come l'idea dell'acqua che accomuna i sistemi territoriali, in cui viene suddivisa Genova e dintorni, non più l'abitato del mare soltanto, ma lo spazio di collina e le sue vallate
Certamente il “piano” risulta positivo per l'inserimento a livello europeo della città-porto e quindi giusto considerare infrastrutture, corridoi di mobilità nel contesto globale, insieme all'aspetto demografico, pur se quello socioeconomico appare sotto traccia. Si devono però fare i conti con l'Europa e anche con Autorità portuale, ente Fiera, Autostrade e insieme agli obiettivi, il verde, il piano energetico, l'aspetto geomorfologico, il costruito, gli spazi vuoti, i servizi,le aree dismesse o produttive....e se si va al succo del discorso, cioè che cosa ne sarà di un'area, ci si perde.
Troppa frammentazione, non sembra un piano fatto per i cittadini. Sarà autentica, eppure sfugge, la proclamata reale attenzione per il territorio, sarà campo di caccia per dispute leguleie.
Ad esempio l'ex ospedale di Quarto è inserito sia negli “obiettivi” come “parco tecnologico-scientifico” ("meraviglia, pensi, forse faranno un campus, visto che l'università dismette per far cassa ...), sia nei “sistemi di trasformazione di aree”, e qui se ne parla come “insediamento residenziale integrato con un polo per atti direzionali e ad alto contenuto tecnologico del levante”. Ma non si sta già facendo il polo degli Erzelli a ponente? Forse un'ipotesi per Abb o Ericsson, o una vaghezza?
"Una città che guarda al futuro con il nuovo Piano Urbanistico Comunale e la candidatura europea a Smart City, un progetto per migliorare la qualità della vita dei genovesi attraverso uno sviluppo economico rispettoso dell'ambiente" secondo Richard Burdett, l'archistar londinese, artefice del Piano, "perchè Genova ha tre qualità fondamentali: compattezza territoriale, al di là delle ovvie difficoltà di trasporto, una felice posizione geografica verso sud che può consentire di sfruttare al meglio l’energia solare e forte connessione tra il tessuto economico e sociale". Sic, speriamo bene alla prossima seduta e non solo.
(Bianca Vergati)
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