De Ferrari in rosa contro i femminicidi in Messico. Foto P.P. |
Sentita al telefono dice che studia di notte e nei week-end, quando non lavora. Sabato ha saltato il pranzo per non interrompere la concentrazione. Aspetta i risultati dei cinque scritti del concorso fatto per il Senato. L’accento morbido del sud adesso vira allo stanco. Ma non si arrende. Meta un lavoro vero a tempo indeterminato, con continuità di salario e contributi.
Di Matilde la madre mi dice che ha perso il posto nella cooperativa dove ha lavorato per cinque anni. La società ha chiuso baracca. Burattino, forse lei. Matilde, laureata in psicologia, ha una bimba all’asilo e un bimbo alla scuole elementari. Unico salario quello del marito, impiegato in un ente pubblico. Da leccarsi le dita.
Ilaria, laureata anche lei, un lavoro a tempo interminato adesso lo ha. Lavora in un ristorante sessanta ore a settimana per milleduecento euro al mese. E’ giovane. E’ rimasta un po’ indispettita da una domanda del suo capo che le ha chiesto, sornione, se si sentisse più vacca o più porca. Ultimamente orari di lavoro e stanchezza hanno avuto la meglio. Non ce l’ha fatta a partecipare alla manifestazione del 13.
Carmen, laurea e dottorato di ricerca, ha lavorato tutto il mese di dicembre in un negozio, promuove prodotti locali in molti eventi, quando la chiamano. Il 13 è tornata da un viaggio di lavoro, non ha potuto partecipare alla manifestazione.
Marie ha un contratto di lettrice in un’università toscana. Sono stati ridotti salari e ore a tutti i lettori della facoltà. Quando non insegna, traduce cataloghi e libri. Ha lavorato a Natale e Capodanno. La pagano con molto ritardo e candidamente afferma: “Il lavoro c’è. Sono i soldi che non ci sono più”. Il 13 traduceva.
Del calo di attenzione rispetto al tema lavoro parla il documento dell’associazione Lavoro e Libertà, primi firmatari Cofferati e Bertinotti, che si dicono indignati dalla “continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé”. Chiedono come sia “possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida”.
La parabola delle donne attraversa il lavoro. Di fabbrica, ufficio, professionale o artigianale, oggi sempre più precario. Al quale si somma quello di cura in famiglia. Una sconfitta che si consuma in silenzio nelle nostre case, nei giardinetti con i figli, nell’accudire genitori anziani. Una sconfitta che disegna il profilo di una donna che non rivendica più nulla. Troppo affannata per essere in piazza. Aggiornata dall’sms dell’amica, della madre, della figlia. Che le raccontano la meraviglia di una piazza piena il 13 febbraio.
Il prossimo appuntamento è per l’otto marzo, 8ma occasione per parlare con forza di donne e lavoro. La libertà, per troppe, ha da venire.
Sito di Se non ora quando
(*) Oli 273
(Giovanna Profumo)
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