Foto di Eleana Marullo |
Le strade a decine di corsie si snodano, con il loro carico di suv mastodontici in coda; non un pedone né un attraversamento in vista – ad andare a piedi, soltanto i turisti europei e le manovalanze straniere. D’altronde, lo spazio piano rende facile la circolazione, il prezzo della benzina è irrisorio e camminare a piedi nei mesi caldi è una tortura insopportabile.
Foto di Eleana Marullo |
In un altro mondo, che non si intreccia per nulla con l’universo invisibile e sfruttato della manovalanza straniera, vive la popolazione bahreinita, quella che ha dato vita alle proteste contro la monarchia che il 14 febbraio hanno infiammato la capitale ed i villaggi, causando due vittime. Se la condizione economica dei locali non è drammatica come nel Maghreb, i motivi dello scontento sono altri: la famiglia reale, sunnita, governa un paese a maggioranza sciita che lamenta, da lungo tempo, di essere vittima di discriminazioni. Inoltre, se il parlamento è eletto, l’esecutivo del governo è nominato dalla famiglia reale: il primo ministro è in carica da una trentina d’anni ed è il bersaglio privilegiato del malcontento popolare.
Il governo pochi giorni prima dell’annunciata manifestazione aveva promesso un’elargizione di mille BD (circa duemila euro) per ogni famiglia bahrainita, cercando di conquistare consenso e di porre un argine alle proteste. Evidentemente la mossa non è stata sufficiente e gli scontri che – al momento in cui si scrive – sono ancora in atto, stanno innervosendo la vicina Arabia Saudita, principale esportatore di petrolio nel mondo. Il paese è unito al Bahrain da un ponte di una ventina di chilometri, il King Fahd Causeway, tanto che parecchi lavoratori (tra cui una cospicua comunità di italiani) fanno i pendolari attraversando il confine. Per questa vicinanza l’Arabia Saudita teme ed ha deciso l’invio di truppe militari nel paese vicino. La calma apparente dei floridi paesi del Golfo Persico è forse più fragile di quanto previsto.
(Eleana Marullo)
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