Luciano Canfora |
L’implicazione di questa apparente scoperta è ben nota: trasformare il fascismo in regime normale, magari un po’ paternalistico ma non repressivo. L’ulteriore corollario è la denuncia dell’età staliniana come unica vera esperienza totalitaria. Essendosi peraltro il fascismo proposto come antitesi frontale del bolscevismo, il corollario ulteriore è che qualcosa di molto buono vi doveva essere in tale "primo della classe" dell’anticomunismo. Coronamento del ragionamento è l’attacco alla nostra costituzione repubblicana ed ai suoi principi fondanti, per essere essa stata scritta anche dai comunisti e comunque da uomini che comunisti non erano ma che alcune delle istanze fondamentali del comunismo accoglievano e apprezzavano: a cominciare dall’esordiale indicazione (articolo 1) del lavoro come fondamento della Repubblica e dalla implicita identificazione tra cittadino e lavoratore, a seguitare con l’articolo 3, ed il suo impegno a "rimuovere gli ostacoli" di ordine sociale che impedivano e tuttora impediscono l’effettiva uguaglianza tra i cittadini.
Orbene qui non si intende sottrarsi alla sfida. Il "velen dell’argomento" ci è ben chiaro. Noi sappiamo che la principale battaglia che tutti i democratici hanno da affrontare è proprio la difesa della costituzione e in primo luogo dei suoi principi esemplarmente delineati nel capitolo primo. E sappiamo anche che il vulnus più profondo finora inferto alla costituzione è stata la modifica della legge elettorale, l’abbandono del principio proporzionale, unico istituto che rispetti davvero l’istanza del suffragio universale.
Tutto questo ci è chiaro, e la battaglia è ardua.
Ma il punto di partenza non ci sfugge , né intenderemo sfuggirvi, anzi lo dobbiamo affrontare di petto. È la questione del consenso. L’Italia sta scivolando verso un REGIME REAZIONARIO FONDATO SUL CONSENSO. Ed è sui modi in cui oggi, diversamente che nel 1922-1926, il consenso si consegue che le idee non sono sempre chiare.
Ma il processo è ormai molto avanzato. Le forme di creazione del consenso sono molto più capillari e sofisticate e irresistibilmente pervasive che non in passato: concomitanti con la radicale trasformazione del reclutamento stesso del personale politico-parlamentare - ormai prevalentemente abbiente e centrista -, dovuto appunto al meccanismo elettorale maggioritario.
Orbene lo studio del modo in cui davvero il fascismo pervenne - in capo a cinque lunghissimi anni dal 1921 (sua prima apparizione in parlamento) al 1926 (leggi eccezionali e messa fuori legge del PCI) - a dar vita ad un REGIME è forse oggi il più istruttivo dei compiti intellettuali.
Forse la sinistra (il centro-sinistra) si fa qualche illusione sulle prossime elezioni del 2006. A mio avviso, invece, la destra oggi al potere non cederà facilmente il timone, non attenderà passivamente il responso delle urne. Farà di tutto, ma proprio di tutto, per conservare il potere. Essi pensano di avere ormai in pugno l’Italia per un lungo tempo. Pensano di averla riplasmata sotto ogni riguardo. Noi non possiamo chiudere gli occhi su questa evidente verità.
Dal 1922 al 1926 il fascismo creò le premesse per restare al timone. Per prima cosa abrogò il sistema elettorale proporzionale poi creò un blocco, un listone unico nel quale imbarcò pezzi di tutte le formazioni politiche liberali e cattoliche delle più varie sfumature. Quindi ricorse alla provocazione. E mi riferisco non solo al rapimento di Matteotti. Ma alla provocazione imbastita contro il partito comunista (l’arresto dei "corrieri" sorpresi alla stazione di Pisa con volantini "eversivi" come prova della imminente "eversione comunista"): donde l’arresto di Gramsci e degli altri dirigenti; donde la creazione del tribunale speciale, donde il mostruoso "processone"; e alla fine l’attentato oscuro di Bologna e la sospensione degli altri partiti.
Questo crescendo è uno scenario che sembra arcaico ma è un modello ancora utilizzabile.
Ben venga l’invito a studiare come davvero il fascismo giunse al potere e si affermò. Non ne caveremo, come si vorrebbe, la tranquillizzante immagine di un regime tutto sommato "normale" (tenendo conto anche dei tempi perigliosi in cui nacque), ma l’allarmante scenario ancora ripetibile, mutati lo stile e gli strumenti, di come si demolisce una democrazia.
Luciano Canfora, Prolusione contro il revisionismo storico, 2005
(a cura di Aglaja)
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