VERSANTE LIGURE - MODERATI AUGURI (Enzo Costa&Aglaja)
DIRITTI - Scegliere il tempo del morire (Paola Pierantoni)
DISTURBI ALIMENTARI - Goccia a goccia (Maria Alisia Poggio)
CITTA’ – Gucci: festa di strada (Ferdinando Bonora)
SOCIETA' - La parabola di Marta tra Gucci, Littizzetto e Tenco (Giovanna Profumo)
SOCIETA' - Le strane dichiarazioni del capo della Protezione civile (Stefano De Pietro)
POLITICA - Tre voti (a cura di Ferdinando Bonora)
COSTITUZIONE ITALIANA - Piero Calamandrei sulla scuola (a cura di Aglaja)
PAROLE DEGLI OCCHI – Buon 2011 (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Opposizione laica alla giornata degli “Stati vegetativi” (a cura di Paola Pierantoni)
AUGURI E ARRIVEDERCI
martedì 21 dicembre 2010
OLI 283: VERSANTE LIGURE - MODERATI AUGURI
Che sian Feste serene
son solo auspici vuoti
han tutti affanni e pene
dai nonni ad i nipoti:
ancora Papi tiene
fra disperati moti:
non può trionfare il Bene!
Sian Feste (son miei voti),
se non di gioia piene,
prive di Scilipoti.
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OLI 283: DIRITTI - Scegliere il tempo del morire
L'evento questa volta è raccontato "dall'interno" perché siamo in tre - della redazione di OLI - ad avervi partecipato.
Giovedì scorso, per tre ore, gli uffici dell’Anagrafe di Corso Torino sono stati animati da una insolita agitazione, che si sommava a quella della vicina sala dedicata ai matrimoni: un gruppo di donne di età molto diverse, unite dalla appartenenza al gruppo "Generazioni di donne", aveva organizzato la consegna collettiva dei propri testamenti biologici per "sollecitare le forze politiche e il legislatore a riconoscere pienamente il diritto alla autodeterminazione” e per affermare il diritto a scegliere il tempo del proprio morire, a rifiutare di diventare esseri puramente vegetativi nelle mani di altri, o di soffrire senza prospettiva per un tempo indeterminato.
Ognuna delle “testamentarie” sapeva bene quanto sia incerto questo terreno: nessuna legge garantisce la validità di questo atto, e attendere che una normativa rispettosa della pluralità di pensieri possa arrivare nel prossimo futuro richiede un grande ottimismo: gli attacchi a Saviano e Fazio per lo spazio dato a Mina Welby e a Englaro, la minatoria circolare governativa contro i registri comunali, l’isterica reazione al suicidio di Monicelli, il grande attivismo delle gerarchie cattoliche, dicono che tira una brutta aria per la ragione e il rispetto.
Ma il cammino della politica è lungo, e le prospettive si costruiscono anche nei momenti bui, agendo soprattutto sul piano della cultura e della consapevolezza: per questo le organizzatrici intendevano rivolgersi non solo alle istituzioni e alle forze politiche, ma alle persone, donne e uomini.
Alle persone però bisogna arrivarci, e non è così facile.
Il gruppo ha un suo sito (*), ma per questa occasione è stata tentata anche la strada degli organi di informazione. Ripetuti invii di comunicati e diversi giri di telefonate non sono però riusciti a smuovere i redattori della stampa locale oppressi, come hanno lamentato al telefono, “dalle centinaia di segnalazioni” che piovono sui loro tavoli ogni giorno. Così sui giornali di questo evento non vi era traccia.
Altra assenza sensibile quella della amministrazione comunale: la manifestazione era organizzata da tempo, ma nessuna presenza politica si è affiancata ai gentilissimi funzionari responsabili della redazione materiale degli atti.
Peccato, poteva essere una buona occasione per richiamare l’attenzione pubblica su un “servizio” – e soprattutto su una questione etica, culturale e politica – pesantemente sotto attacco da parte del governo.
Il documento che annunciava l'iniziativa osservava che sul testamento biologico “L’informazione è molto carente e si è limitata al momento del lancio della iniziativa" e che "La nostra azione pubblica ha lo scopo di spezzare questo silenzio". Il sito del Comune, per parte sua, non aiuta, arrivare alla voce “testamento biologico” è cosa ardua: imperizia? Distrazione? Intenzionalità? ...
Per colmare almeno in parte queste lacune, le istruzioni necessarie a compiere questo atto sono state inserite sul sito del gruppo (*).
Un aiuto è venuto solo dal lungo e bel servizio di Emanuela Pericu sul TGR: avrà giocato la particolare attenzione femminile su questo tema? Il 65 % dei testamenti è stato depositato da donne, e donne erano le organizzatrici di questo testamento plurale.
Riflettere sulle ragioni profonde di questa differenza può essere un esercizio interessante.
(*) www.generazioni-di-donne.it
(Paola Pierantoni)
Giovedì scorso, per tre ore, gli uffici dell’Anagrafe di Corso Torino sono stati animati da una insolita agitazione, che si sommava a quella della vicina sala dedicata ai matrimoni: un gruppo di donne di età molto diverse, unite dalla appartenenza al gruppo "Generazioni di donne", aveva organizzato la consegna collettiva dei propri testamenti biologici per "sollecitare le forze politiche e il legislatore a riconoscere pienamente il diritto alla autodeterminazione” e per affermare il diritto a scegliere il tempo del proprio morire, a rifiutare di diventare esseri puramente vegetativi nelle mani di altri, o di soffrire senza prospettiva per un tempo indeterminato.
Ognuna delle “testamentarie” sapeva bene quanto sia incerto questo terreno: nessuna legge garantisce la validità di questo atto, e attendere che una normativa rispettosa della pluralità di pensieri possa arrivare nel prossimo futuro richiede un grande ottimismo: gli attacchi a Saviano e Fazio per lo spazio dato a Mina Welby e a Englaro, la minatoria circolare governativa contro i registri comunali, l’isterica reazione al suicidio di Monicelli, il grande attivismo delle gerarchie cattoliche, dicono che tira una brutta aria per la ragione e il rispetto.
Ma il cammino della politica è lungo, e le prospettive si costruiscono anche nei momenti bui, agendo soprattutto sul piano della cultura e della consapevolezza: per questo le organizzatrici intendevano rivolgersi non solo alle istituzioni e alle forze politiche, ma alle persone, donne e uomini.
Alle persone però bisogna arrivarci, e non è così facile.
Il gruppo ha un suo sito (*), ma per questa occasione è stata tentata anche la strada degli organi di informazione. Ripetuti invii di comunicati e diversi giri di telefonate non sono però riusciti a smuovere i redattori della stampa locale oppressi, come hanno lamentato al telefono, “dalle centinaia di segnalazioni” che piovono sui loro tavoli ogni giorno. Così sui giornali di questo evento non vi era traccia.
Altra assenza sensibile quella della amministrazione comunale: la manifestazione era organizzata da tempo, ma nessuna presenza politica si è affiancata ai gentilissimi funzionari responsabili della redazione materiale degli atti.
Peccato, poteva essere una buona occasione per richiamare l’attenzione pubblica su un “servizio” – e soprattutto su una questione etica, culturale e politica – pesantemente sotto attacco da parte del governo.
Il documento che annunciava l'iniziativa osservava che sul testamento biologico “L’informazione è molto carente e si è limitata al momento del lancio della iniziativa" e che "La nostra azione pubblica ha lo scopo di spezzare questo silenzio". Il sito del Comune, per parte sua, non aiuta, arrivare alla voce “testamento biologico” è cosa ardua: imperizia? Distrazione? Intenzionalità? ...
Per colmare almeno in parte queste lacune, le istruzioni necessarie a compiere questo atto sono state inserite sul sito del gruppo (*).
Un aiuto è venuto solo dal lungo e bel servizio di Emanuela Pericu sul TGR: avrà giocato la particolare attenzione femminile su questo tema? Il 65 % dei testamenti è stato depositato da donne, e donne erano le organizzatrici di questo testamento plurale.
Riflettere sulle ragioni profonde di questa differenza può essere un esercizio interessante.
(*) www.generazioni-di-donne.it
(Paola Pierantoni)
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OLI 283: DISTURBI ALIMENTARI - Goccia a goccia
Difficile riuscire ad entrare nella testa di un adolescente, tutti lo si è stati, alcuni lo rimangono, alcuni mutano, forse per il senso del dover esser adulti. Stereotipi di adulti? O forse semplicemente monadi dalla memoria breve? Facile percepire la fragilità di quell'età, dove i modelli sembrano irraggiungibili, ma non sono loro il vero motivo, è l'inadeguatezza alla vita, dalla quale molti riescono a salvarsi, in vario modo. Chi con una buona costruzione di sé, che nelle varie fasi della vita ti consente di collocare il vuoto dentro in vari spazi, chi con un involucro d'ovatta o con lo spirito clownesco, che lo rimbalzano, chi incanalandosi in lavoro, sport, binari vari. Spesso, nel breve lasso della gioventù c'è chi tenta di controllare la propria inadeguatezza, misurando uno degli elementi più naturali che esistono, simbolo di amore, condivisione, fertilità, affetto: il cibo. I media, veri broker dei sentimenti e dell'intelletto del giorno d'oggi, ci mettono poi sopra un bel cappello, funzionale, ad effetto! Trasformano anoressia e bulimia in qualcosa di cronachistico, un po' salutista e un po' fashion... Che siano tutti delle fashion victim o dei vegani che non hanno ancora coscienza di sé?(*) Dura da pensare, considerando che si può essere a. e b. (anoressici e bulimici) senza limite d'età e d'intelletto.
L'inadeguatezza è una brutta bestia, è la bestia per eccellenza, il "mistero" sacro e profano della vita, che l'annienta, prima che sia la vecchiaia, la malattia clinica, prima che la morte, che non chiede l'età anagrafica per educazione, bussi alla porta. Distante anni luce dal tempo di morire, che ciascuno avrebbe il diritto di scandire in condizioni di personale impossibilità a vivere, a. e b. sono l'inconscia, spesso, come la dispercezione del proprio corpo, o conscia scelta di rinunciare a vivere. Quando la vita è una porta aperta, non si riesce a superarne la soglia. Non è necessario vomitare, pesare, controllare le calorie, farsi di lassativi, basta rinunciare goccia a goccia al cibo, alla vita, perché questa fa paura, perché si sente un vuoto uterino dentro.
È difficile comprendere che una monade in fondo non è sola, ma fa sistema con le altre. Se ci si butta, passando attraverso quella porta ci sono strutture che fanno da paracadute, anche a Genova. Ci aiutano a fluttuare nella vita, moto perpetuo al quale è dolce adeguarsi, sebbene qualche volta ci sommerga, per farci riemergere sorprendentemente subito dopo.
* http://seidimoda.repubblica.it/dettaglio/Portman:-vegana-o-anoressica/75460
(Maria Alisia Poggio)
L'inadeguatezza è una brutta bestia, è la bestia per eccellenza, il "mistero" sacro e profano della vita, che l'annienta, prima che sia la vecchiaia, la malattia clinica, prima che la morte, che non chiede l'età anagrafica per educazione, bussi alla porta. Distante anni luce dal tempo di morire, che ciascuno avrebbe il diritto di scandire in condizioni di personale impossibilità a vivere, a. e b. sono l'inconscia, spesso, come la dispercezione del proprio corpo, o conscia scelta di rinunciare a vivere. Quando la vita è una porta aperta, non si riesce a superarne la soglia. Non è necessario vomitare, pesare, controllare le calorie, farsi di lassativi, basta rinunciare goccia a goccia al cibo, alla vita, perché questa fa paura, perché si sente un vuoto uterino dentro.
È difficile comprendere che una monade in fondo non è sola, ma fa sistema con le altre. Se ci si butta, passando attraverso quella porta ci sono strutture che fanno da paracadute, anche a Genova. Ci aiutano a fluttuare nella vita, moto perpetuo al quale è dolce adeguarsi, sebbene qualche volta ci sommerga, per farci riemergere sorprendentemente subito dopo.
* http://seidimoda.repubblica.it/dettaglio/Portman:-vegana-o-anoressica/75460
(Maria Alisia Poggio)
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OLI 283: CITTA’ – Gucci: festa di strada
Finalmente!
Dopo Firenze, Portofino, Venezia, Cortina, Milano, Capri, Roma, Porto Cervo, Monte Carlo, Dubai e tanti altri luoghi più o meno d’élite in tutto il mondo, anche Genova ha ora la sua boutique Gucci, nella centralissima Via XXV Aprile, al pianterreno del neoclassico Palazzo Costa Gallera (*1).
Giovedì 16 dicembre, tra il tardo pomeriggio e la prima serata, s’è tenuto il tanto atteso vernissage.
Molta bella gente di varia eleganza, dal casual al fashion victim. Impeccabili hostess controllavano gli accessi consentendo soltanto agli invitati l’ingresso nell’area della pubblica via recintata da vistosi cordoni, con l’asfalto coperto da una sobria moquette arredata con grandi cubi di luce. Gli ampi vasi con le piante che normalmente fiancheggiano il marciapiede erano stati spostati da un lato, sia per liberare il fronte del negozio, sia per schermare la postazione del tecnico che gestiva l’accompagnamento musicale dell’evento.
Grande animazione: fuori sfidando il gelo e all’interno nella raffinata atmosfera caratterizzata da vetri fumé, specchi, legno, marmi e moquette, dove Frida Giannini – la stilista direttore creativo di tutte le linee di prodotto Gucci – ha “voluto esaltare l’aspetto lussuoso della boutique attraverso la luce naturale e i richiami alla tradizione”, come riporta Wanda Valli su la Repubblica / Ed. Genova del 17 dicembre (pag. 3). Nello stesso pezzo, intitolato entusiasticamente “Gucci lancia la sfida all’austerity, 'Città moderna, noi ci crediamo' ”, si dà conto anche della compiaciuta visita della sindaco Vincenzi, “convinta che anche l’industria della moda serva a dar lavoro e a rilanciare Genova”, e si nota come pure altrove in città vi siano analoghi segnali di incremento d’offerta di prodotti di fascia alta.
Andrea Morando, proprietario di questo (in franchising) e di vari altri negozi in centro e altrove, dichiara in un articolo on line (*2): “siamo sicuri di avere successo. Per noi portare una griffe così importante al livello mondiale qui a Genova significa credere in un progetto ambizioso. […] Il nostro è stato un investimento molto rilevante, il livello del brand è altissimo, per cui, essendo questa una nicchia del lusso, ci aspettiamo dei riscontri importanti”.
Auguri!
Ma casi come questo sono indici di ripresa o non piuttosto di un persistere – se non di un aggravarsi – della crisi?
Da che mondo è mondo, si sa che i consumi di lusso si intensificano nei periodi di recessione economica, quando si accentua il divario tra i pochi che dispongono di ingenti mezzi – e amano investirli anche in status symbol di una presunta superiorità reale o agognata – e i troppi che ne hanno pochi o niente affatto e restano a guardare, ora con invidioso rammarico, ora con indifferenza, ora con disgusto sdegnato o rabbioso.
Nel primo Seicento, momento di grave congiuntura in tutta Europa, proprio qui a Genova, quando schiere di mendicanti invadevano le strade (e infatti si eresse l’immenso Albergo dei poveri per rinchiuderveli), chi poteva permetterselo innalzava palazzi o chiese sfarzosi e le signore esibivano abiti che costavano quanto una nave di medio tonnellaggio o un caseggiato. Tutto ciò non era simpatico, almeno per certe sensibilità odierne.
Nessuno intende adesso contestare chi può e desidera comprarsi borse di pitone da 2800 euro o abitini da 1400 euro: liberissimo di farlo, buon per lui.
Non è però simpatico che – per quanto “prestigiosa” possa essere la griffe – per una festa privata d’inaugurazione – si dice con 1500 invitati, ma pare ne siano venuti assai meno – si chieda e si ottenga di occupare non uno spazio pubblico marginale, bensì una centralissima strada di grande traffico, per giunta in orario di punta – dalle 18,30 alle 21,30 – costringendo i mezzi a variazioni di percorso con l’intervento straordinario della polizia municipale e disagi per migliaia di cittadini.
Voci critiche si sono già levate, sia on line (*3), sia come riportato da Il Secolo XIX del 17 dicembre (pag. 26, a firma R.C.).
Vorremmo aggiungere ai competenti uffici alcune domande che ci paiono legittime, in un’ottica di trasparenza amministrativa: a fronte di tutto ciò, quale è stato il beneficio per la collettività? Quanto è stato versato al Comune dagli organizzatori per l’occupazione del suolo pubblico e altre spese? Qual è il ricavato netto per le nostre disastrate casse?
Grazie.
(*1) http://www.gucci.com/it/home
(*2) http://www.genova24.it/tag/gucci
(*3)http://www.genovaogginotizie.it/cronaca-cronaca-locale/2010/12/17/news-4848/genova-via-xxv-aprile-chiusa-ieri-per-100.html
Per i non addetti ai lavori, sul significato di termini quali “brand”, “casual”, “fashion victim”, può essere d’aiuto Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Casual
http://it.wikipedia.org/wiki/Fashion_victim
(Ferdinando Bonora, foto dell’autore)
Dopo Firenze, Portofino, Venezia, Cortina, Milano, Capri, Roma, Porto Cervo, Monte Carlo, Dubai e tanti altri luoghi più o meno d’élite in tutto il mondo, anche Genova ha ora la sua boutique Gucci, nella centralissima Via XXV Aprile, al pianterreno del neoclassico Palazzo Costa Gallera (*1).
Giovedì 16 dicembre, tra il tardo pomeriggio e la prima serata, s’è tenuto il tanto atteso vernissage.
Molta bella gente di varia eleganza, dal casual al fashion victim. Impeccabili hostess controllavano gli accessi consentendo soltanto agli invitati l’ingresso nell’area della pubblica via recintata da vistosi cordoni, con l’asfalto coperto da una sobria moquette arredata con grandi cubi di luce. Gli ampi vasi con le piante che normalmente fiancheggiano il marciapiede erano stati spostati da un lato, sia per liberare il fronte del negozio, sia per schermare la postazione del tecnico che gestiva l’accompagnamento musicale dell’evento.
Grande animazione: fuori sfidando il gelo e all’interno nella raffinata atmosfera caratterizzata da vetri fumé, specchi, legno, marmi e moquette, dove Frida Giannini – la stilista direttore creativo di tutte le linee di prodotto Gucci – ha “voluto esaltare l’aspetto lussuoso della boutique attraverso la luce naturale e i richiami alla tradizione”, come riporta Wanda Valli su la Repubblica / Ed. Genova del 17 dicembre (pag. 3). Nello stesso pezzo, intitolato entusiasticamente “Gucci lancia la sfida all’austerity, 'Città moderna, noi ci crediamo' ”, si dà conto anche della compiaciuta visita della sindaco Vincenzi, “convinta che anche l’industria della moda serva a dar lavoro e a rilanciare Genova”, e si nota come pure altrove in città vi siano analoghi segnali di incremento d’offerta di prodotti di fascia alta.
Andrea Morando, proprietario di questo (in franchising) e di vari altri negozi in centro e altrove, dichiara in un articolo on line (*2): “siamo sicuri di avere successo. Per noi portare una griffe così importante al livello mondiale qui a Genova significa credere in un progetto ambizioso. […] Il nostro è stato un investimento molto rilevante, il livello del brand è altissimo, per cui, essendo questa una nicchia del lusso, ci aspettiamo dei riscontri importanti”.
Auguri!
Ma casi come questo sono indici di ripresa o non piuttosto di un persistere – se non di un aggravarsi – della crisi?
Da che mondo è mondo, si sa che i consumi di lusso si intensificano nei periodi di recessione economica, quando si accentua il divario tra i pochi che dispongono di ingenti mezzi – e amano investirli anche in status symbol di una presunta superiorità reale o agognata – e i troppi che ne hanno pochi o niente affatto e restano a guardare, ora con invidioso rammarico, ora con indifferenza, ora con disgusto sdegnato o rabbioso.
Nel primo Seicento, momento di grave congiuntura in tutta Europa, proprio qui a Genova, quando schiere di mendicanti invadevano le strade (e infatti si eresse l’immenso Albergo dei poveri per rinchiuderveli), chi poteva permetterselo innalzava palazzi o chiese sfarzosi e le signore esibivano abiti che costavano quanto una nave di medio tonnellaggio o un caseggiato. Tutto ciò non era simpatico, almeno per certe sensibilità odierne.
Nessuno intende adesso contestare chi può e desidera comprarsi borse di pitone da 2800 euro o abitini da 1400 euro: liberissimo di farlo, buon per lui.
Non è però simpatico che – per quanto “prestigiosa” possa essere la griffe – per una festa privata d’inaugurazione – si dice con 1500 invitati, ma pare ne siano venuti assai meno – si chieda e si ottenga di occupare non uno spazio pubblico marginale, bensì una centralissima strada di grande traffico, per giunta in orario di punta – dalle 18,30 alle 21,30 – costringendo i mezzi a variazioni di percorso con l’intervento straordinario della polizia municipale e disagi per migliaia di cittadini.
Voci critiche si sono già levate, sia on line (*3), sia come riportato da Il Secolo XIX del 17 dicembre (pag. 26, a firma R.C.).
Vorremmo aggiungere ai competenti uffici alcune domande che ci paiono legittime, in un’ottica di trasparenza amministrativa: a fronte di tutto ciò, quale è stato il beneficio per la collettività? Quanto è stato versato al Comune dagli organizzatori per l’occupazione del suolo pubblico e altre spese? Qual è il ricavato netto per le nostre disastrate casse?
Grazie.
(*1) http://www.gucci.com/it/home
(*2) http://www.genova24.it/tag/gucci
(*3)http://www.genovaogginotizie.it/cronaca-cronaca-locale/2010/12/17/news-4848/genova-via-xxv-aprile-chiusa-ieri-per-100.html
Per i non addetti ai lavori, sul significato di termini quali “brand”, “casual”, “fashion victim”, può essere d’aiuto Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Casual
http://it.wikipedia.org/wiki/Fashion_victim
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OLI 283: SOCIETA' - La parabola di Marta tra Gucci, Littizzetto e Tenco
Giovedì 16 dicembre 2010 il traffico di Via XXV Aprile è stato interrotto nel pomeriggio perché veniva inaugurata la nuova boutique Gucci a Genova.
All’evento erano presenti molte personalità – Very Important Persons – del jet set genovese tra le quali la Sindaco Marta Vincenzi convinta, secondo la Repubblica / Ed. Genova, che l’industria della moda serva a rilanciare la città.
Nel Settembre 2010 Victor Uckmar, presidente dell’Airc, partecipava ad una serata a Palazzo Lomellino interamente dedicata alla raccolta di fondi per la ricerca sul cancro. Mostra di quadri di personalità dello spettacolo e asta di tali opere facevano da cornice all’iniziativa. Ad ogni partecipante veniva richiesto un contributo.
Né Marta Vincenzi, né alcun assessore della sua giunta hanno partecipato all’evento.
Ma veniamo alla politica, con alcune domande per le quali attendiamo risposte:
Quanti soldi sono entrati nelle casse del Comune per l’interruzione del traffico cittadino a causa dell’inaugurazione di una boutique? Quale l'impatto in termini di gestione della mobilità per AMT e vigili urbani?
Sulla base di quale progetto politico Marta Vincenzi programma la sua agenda?
Ai primi quesiti si risponderà semplicemente mostrando i conti, per provare ai cittadini, vessati da prossimi aumenti di tariffe, che il gioco è valso la candela.
Alla terza domanda si potrà dare risposta con una vision – parafrasando il linguaggio dei corsi di formazione – condivisibile che, ultimamente, è assai faticoso cogliere.
Qui non stiamo parlando solo dell’assenza all’Airc, ma di un’assenza generale della Sindaco Vincenzi dalle cose che la renderebbero più vicina ai cittadini che l’hanno eletta. Dalla manifestazione del 1 marzo a favore dei migranti, colma di gente, partita in un lungo corteo da piazza della Commenda che ha visto la Sindaco partecipare, solo con un saluto, quando la manifestazione è stata costretta ad uno stop sotto palazzo Tursi, per aggiungere i molti cortei cittadini e terminare con il mitico sportello delle multe del secondo piano del Matitone – botta di realtà per tutte le anonime Marte della città – nel quale i numeri di prenotazione scendono alla velocità di un bradipo.
Luciana Littizzetto ha dato spazio a Marta Vincenzi, in prima serata, in relazione all’ordinanza relativa alle prostitute:La “Sindachessa” è finita tra le notizie “balenghe” di Che tempo che fa.
Non si chiede qui alla Sindaco di esserci sempre e comunque. Ma di selezionare, in base al clima pesante che grava sulle spalle di molti, le occasioni nelle quali la sua firma e presenza istituzionale possa avere spessore.
La boutique di Gucci non fa parte della lista.
Ai nostri lettori lasciamo, come augurio natalizio, l’ascolto della canzone del genovese Luigi Tenco, diventata bandiera della richiesta di cambiamento della sinistra.
Con la speranza che Marta Vincenzi nel 2011 ne faccia buon uso.
(Giovanna Profumo)
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OLI 283: SOCIETA' - Le strane dichiarazioni del capo della Protezione civile
Dal 13 novembre 2010 il nuovo capo Dipartimento della protezione civile è Franco Gabrielli, il cui curriculum può essere così sintetizzato: laureato in giurisprudenza, entra in polizia nel 1996, diviene capo della Digos a Roma, passa poi alla Polizia di prevenzione. Quindi direttore del Sisde, Prefetto dell'Aquila, entra nella Protezione civile a seguito del terremoto, divenendone capo dopo la "messa in pensione" di Bertolaso (*).
A seguito della nevicata sulla Toscana, concede un'intervista telefonica a Repubblica TV/Radio Capital (**), dove asserisce che la colpa del mega ingorgo in autostrada è degli automobilisti, di quelli che entrano senza curarsi di guardare prima i pannelli di avviso dove viene indicato l'obbligo di catene a bordo. Evitiamo di dilungarci su dove siano stati installati in molti casi questi pannelli, già in autostrada o nelle immediate vicinanze del casello, in modo che qualsiasi sia l'avviso, ormai è troppo tardi per tornare indietro: non siamo mica in Francia, patria della "informatique", dove il concetto di informazione si sposa anche con quello di efficacia ed intelligenza.
Ma si lamenta anche che "poi si chiede alla Protezione civile di portare bevande calde e coperte", dimenticandosi forse di avere assunto la direzione di quel servizio che serve proprio a questo, non a dare multe o ad arrestare automobilisti distratti.
Sembra invece che l'uso degli Sms sia una pratica utile solo a Berlusconi quando deve intimare di andare a votare, mentre spedirli per avvisare intere popolazioni che sta per esondare un fiume o piovere "cats and dogs", come dicono a Londra, richieda uno sforzo di fantasia troppo costoso.
Comunque si sa che il fatturato delle autostrade è ben più importante di 15 ore di coda in autostrada, altrimenti come si spiegherebbe che per uscire si doveva comunque pagare il pedaggio, rallentando il deflusso dei mezzi e prolungando, di conseguenza, il lavoro anche della Protezione civile stessa?
Per concludere in allegria prima della pausa festiva di Oli, ecco un bel video di come ci si ingegna per passare 15 ore in autostrada mentre nel caldo dei loro uffici i nostri dirigenti massimi fanno lo scaricabarile sulle competenze:
(Stefano De Pietro)
A seguito della nevicata sulla Toscana, concede un'intervista telefonica a Repubblica TV/Radio Capital (**), dove asserisce che la colpa del mega ingorgo in autostrada è degli automobilisti, di quelli che entrano senza curarsi di guardare prima i pannelli di avviso dove viene indicato l'obbligo di catene a bordo. Evitiamo di dilungarci su dove siano stati installati in molti casi questi pannelli, già in autostrada o nelle immediate vicinanze del casello, in modo che qualsiasi sia l'avviso, ormai è troppo tardi per tornare indietro: non siamo mica in Francia, patria della "informatique", dove il concetto di informazione si sposa anche con quello di efficacia ed intelligenza.
Ma si lamenta anche che "poi si chiede alla Protezione civile di portare bevande calde e coperte", dimenticandosi forse di avere assunto la direzione di quel servizio che serve proprio a questo, non a dare multe o ad arrestare automobilisti distratti.
Sembra invece che l'uso degli Sms sia una pratica utile solo a Berlusconi quando deve intimare di andare a votare, mentre spedirli per avvisare intere popolazioni che sta per esondare un fiume o piovere "cats and dogs", come dicono a Londra, richieda uno sforzo di fantasia troppo costoso.
Comunque si sa che il fatturato delle autostrade è ben più importante di 15 ore di coda in autostrada, altrimenti come si spiegherebbe che per uscire si doveva comunque pagare il pedaggio, rallentando il deflusso dei mezzi e prolungando, di conseguenza, il lavoro anche della Protezione civile stessa?
Per concludere in allegria prima della pausa festiva di Oli, ecco un bel video di come ci si ingegna per passare 15 ore in autostrada mentre nel caldo dei loro uffici i nostri dirigenti massimi fanno lo scaricabarile sulle competenze:
Buon anno nuovo anche Beppe Grillo che lo ha linkato sul proprio blog.
* http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Gabrielli
** http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=58568* http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Gabrielli
(Stefano De Pietro)
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OLI 283: POLITICA - Tre voti
Da qualche giorno circola in rete - per iniziativa di Alessandro Fiorani - questo spezzone da Gli Onorevoli, di Sergio Corbucci, con Totò (1963):
(a cura di Ferdinando Bonora)
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Oli 283: COSTITUZIONE ITALIANA - Piero Calamandrei sulla scuola
Qui di seguito alcuni passaggi del discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11 febbraio 1950
[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]
Cari colleghi,
[...] Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. [...] Anche la scuola è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima. Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
E c'è un altro pericolo: è di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. E' accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia.
Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire.
Siamo fedeli alla Resistenza.
Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.
[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]
Cari colleghi,
[...] Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. [...] Anche la scuola è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima. Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private [...].
E c'è un altro pericolo: è di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. E' accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia.
Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire.
Siamo fedeli alla Resistenza.
Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.
Piero Calamandrei
(a cura di Aglaja)
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OLI 283: LETTERE - Opposizione laica alla giornata degli “Stati vegetativi”
Nella deriva integralista che ci avvolge, ci toccherà tra poco (9 febbraio 2011) anche la “Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi” istituita lo scorso anno dal Governo per marcare, con una decisione macabra, strumentale, priva di rispetto, l’anniversario della morte di Eluana Englaro.
Ma una opposizione sta nascendo, e la guida la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni (http://www.torinolaica.it/ ).
Per il prossimo 9 febbraio il Governo, su proposta della sottosegretaria Roccella, ha istituito la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. Decisione moralmente mostruosa, poiché offende la memoria di Eluana Englaro, che in quel giorno finalmente, dopo quindici anni di non vita, vedeva un anno fa rispettata la sua volontà sul proprio corpo, portata avanti con coraggio, determinazione e amore paterno da Beppino Englaro. Decisione istituzionalmente irricevibile, poiché ufficializza come “delitto” una sacrosanta sentenza della magistratura. Decisione che infanga la Costituzione, poiché con essa il governo intende addirittura solennizzare la pretesa che la vita di ogni cittadino, anziché appartenere a chi la vive, sia alla mercé di una maggioranza parlamentare.
Di fronte a tutto ciò, diventa doveroso che tutta l’Italia democratica e laica proclami il 9 febbraio Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita, onorando così la memoria di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, di Luca Coscioni, e dei tanti altri che oltre alla tragedia della condanna a morte per malattia hanno dovuto affrontare anche la violenza di coloro che vogliono costringere i malati alla tortura delle sofferenze terminali, quando essi non lo ritengono accettabile e dignitoso per se stessi.
La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, in collaborazione con la rivista MicroMega, chiede a tutte le associazioni laiche, a tutte le testate giornalistiche e i siti web, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione, a tutte le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che sentono il dovere elementare di rispettare e far rispettare la decisione di ciascuno sul proprio fine-vita, di mettersi immediatamente in contatto per organizzare insieme, a Torino, la giornata del 9 febbraio come giornata di libertà , di dignità e di autodeterminazione per tutte e per tutti.
A tale appello, che ha come primi firmatari Tullio Monti, Coordinatore della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e Carlo Augusto Viano, Presidente del Centro studi Piero Calamandrei, hanno già aderito il Comitato 19 giugno, il Coordinamento Torino Pride LGBT e Donne di Torino per l’autodeterminazione.
Per sottoscrivere l’appello invia una mail a info@torinolaica.it
(A cura di Paola Pierantoni)
Ma una opposizione sta nascendo, e la guida la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni (http://www.torinolaica.it/ ).
La chiara ed esplicita difesa della libertà di seguire un’etica che non coincida con quella delle gerarchie cattoliche è, una volta di più, assunta da gruppi, associazioni, movimenti non partitici a cui pare ormai delegato il ruolo di assumere posizioni politiche sulla base di un pensiero, di una opzione etica, di un progetto culturale e sociale, e non di calcoli prevalentemente attenti alle possibili alleanze, o ai presunti futuribili consensi elettorali.
La crescente separazione di questi due piani dell’agire politico sta sempre più indebolendo il ruolo e le prospettive della opposizione parlamentare, e in particolare quelli del P.D.
Nel frattempo le persone inventano nuove modalità e spazi per fare informazione, cultura e politica. Può essere che la divaricazione di questa forbice diventi finalmente insostenibile, e inneschi un cambiamento profondo che riapra i giochi.
Tra questi soggetti di politica diffusa c’è la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni (http://www.torinolaica.it/ ) che sta guidando l’opposizione alla giornata degli stati vegetativi, e ha lanciato il seguente appello:
No alla tortura di stato.
Proclamiamo il 9 febbraio “Giornata della libertà di scelta sulla propria vita”
Di fronte a tutto ciò, diventa doveroso che tutta l’Italia democratica e laica proclami il 9 febbraio Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita, onorando così la memoria di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, di Luca Coscioni, e dei tanti altri che oltre alla tragedia della condanna a morte per malattia hanno dovuto affrontare anche la violenza di coloro che vogliono costringere i malati alla tortura delle sofferenze terminali, quando essi non lo ritengono accettabile e dignitoso per se stessi.
La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, in collaborazione con la rivista MicroMega, chiede a tutte le associazioni laiche, a tutte le testate giornalistiche e i siti web, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione, a tutte le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che sentono il dovere elementare di rispettare e far rispettare la decisione di ciascuno sul proprio fine-vita, di mettersi immediatamente in contatto per organizzare insieme, a Torino, la giornata del 9 febbraio come giornata di libertà , di dignità e di autodeterminazione per tutte e per tutti.
A tale appello, che ha come primi firmatari Tullio Monti, Coordinatore della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e Carlo Augusto Viano, Presidente del Centro studi Piero Calamandrei, hanno già aderito il Comitato 19 giugno, il Coordinamento Torino Pride LGBT e Donne di Torino per l’autodeterminazione.
Per sottoscrivere l’appello invia una mail a info@torinolaica.it
(A cura di Paola Pierantoni)
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martedì 14 dicembre 2010
OLI 282: SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - NUNTIO VOBIS CLAUDIUM MAGNUM (Enzo Costa&Aglaja)
LIGURIA - Affari di mare (Bianca Vergati)
ILVA - L'intensa giornata di Claudio Burlando (Giovanna Profumo)
TRASPORTI - AMT versus BVG: terrestri contro alieni (Paola Pierantoni)
SOCIETA’ – Buon Compleanno, Italia Nostra! (Ferdinando Bonora)
CULTURA - La notte più lunga dell'anno (Giovanna Profumo)
INFORMAZIONE - Il Secolo XIX e l'insostenibile leggerezza di Internet (Stefano De Pietro)
COSTITUZIONE ITALIANA - Il maestro Barenboim legge l'art. 9 della Costituzione (a cura di Aglaja)
PAROLE DEGLI OCCHI – Clonazioni, da Dolly a Berlusconi (a cura di Giorgio Bergami)
LIGURIA - Affari di mare (Bianca Vergati)
ILVA - L'intensa giornata di Claudio Burlando (Giovanna Profumo)
TRASPORTI - AMT versus BVG: terrestri contro alieni (Paola Pierantoni)
SOCIETA’ – Buon Compleanno, Italia Nostra! (Ferdinando Bonora)
CULTURA - La notte più lunga dell'anno (Giovanna Profumo)
INFORMAZIONE - Il Secolo XIX e l'insostenibile leggerezza di Internet (Stefano De Pietro)
COSTITUZIONE ITALIANA - Il maestro Barenboim legge l'art. 9 della Costituzione (a cura di Aglaja)
PAROLE DEGLI OCCHI – Clonazioni, da Dolly a Berlusconi (a cura di Giorgio Bergami)
OLI 282: VERSANTE LIGURE - NUNTIO VOBIS CLAUDIUM MAGNUM
Sei con l’acqua alla gola?
Questa crisi ti spela?
Fra i depressi sei in fila?
Ogni sogno rincula?
Per te c’è un colpo d’ala:
è tornato Scajola.
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OLI 282: LIGURIA - Affari di mare
Con il racconto di onde alte tredici metri e vento a cento chilometri l'ora e l'avvenuto salvataggio si conclude l'avventura dei ventuno uomini della Jolly Amaranto, nave della flotta Messina con i motori in avaria da sabato 13 nel mare in tempesta davanti all'Egitto.
L'armatore ci tiene a sottolineare di essere contento per il suo equipaggio, tutto in salvo. Un atteggiamento propagandato con sollecitudine sui media, foto di Ignazio e di Stefano, in apprensione nei loro uffici.
“M'interessano i miei, del carico non m'importa” si dichiara sui giornali. E l'attenzione è così scivolata via, in sordina, sul carico, peraltro coperto da assicurazione e che di certo - si sostiene - non può provocare un disastro ambientale. Si tratta di vernici, resine, inchiostro; ma anche pitture speciali, sostanze chimiche e farmaceutiche, lacche, liquidi corrosivi.
Dopo l'attracco al porto di Alessandria d'Egitto l'armatore fa la conta dei danni, almeno venti container persi, lamenta; non una parola di preoccupazione sul “genere” di merce dispersa.
“Sono prodotti che ricadono nella categoria Imco3, controllati dalla Capitaneria di porto di Genova” spiega sbrigativamente.
Ovvero?
Nel sito http://www.egyshipping.com/resources/dgt.html si presentano varie classi di “Dangerous Good Transportation”: la 3 è quella dei liquidi altamente infiammabili per il trasporto, non certo profumi e bombon per Natale: un carico “speciale” ad alto rischio d'inquinamento se finisse in mare, com'è successo.
Ma che importa? Non è davanti alle nostre coste. Stavolta.
Dieci anni fa un'altra nave della flotta, la Jolly Rosso, si spiaggiò in Calabria con i suoi container e vi fu un'inchiesta archiviata per sospetto trasporto di rifiuti tossici.
Per i loro ghiotti carichi finirono nel mirino dei pirati la Jolly Smeraldo e la Jolly Marrone e allora la società armatrice protestò per la mancanza di scorta, più volte invocata, alle sue navi, che spesso hanno come destinazione il continente africano: non solo meta di business, ma nota e inerme pattumiera del mondo.
Soltanto una volta i Messina ufficializzarono la natura dei loro trasporti, quando nel 1988 la Jolly Rosso arrivò dal Libano con rifiuti tossici che “alcune aziende italiane senza scrupoli - si legge nel memoriale della nave dei veleni M/T Rosso, stilato dalla Linea Messina - avevano smaltito in Libano e in Paesi del Terzo Mondo”. Mai e poi mai la società si presta a simili trasporti, avvenne in quell'unica occasione, anzi la motonave venne poi ampiamente bonificata per procedere al trasporto di generi alimentari.
Ce ne fossero di imprenditori così che a Genova portano lavoro.
Per lavorare la Culmv non snobba i rifiuti speciali, si adatta a chiedere garanzie,vedi il prossimo imbarco delle big bags della bonifica dell'ex area industriale di Pioltello, Milano, in partenza per la Spagna (ancora ignoto l'armatore).
In Italia ci sono cantieri navali, ma i Messina si fanno costruire le navi in Corea, a prezzi più convenienti, per carità, e protestano se gli si contesta la situazione di privilegio che hanno da decenni sui moli: non vorrebbero gare d'appalto, libera concorrenza.
Perciò hanno contribuito a mandare in galera il presidente dell'Autorità Portuale Novi, prosciolto poi in giudizio e i Messina risponderanno per diffamazione.
Persone discrete, che investono nell'edilizia, abbondantemente e sommessamente.
Peccato essere finiti nei giorni scorsi sui giornali, persino nell'Amaca di Michele Serra su Repubblica: le due figlie eredi non sono state ammesse allo Yacht Club, rifiutate nel segreto dell'urna, forse per solidarietà all'ex presidente Novi (dell'Autorità portuale e per dieci anni dello Y.C.I.).
Pare diranno addio al prestigioso club, portandosi via le loro nuovissime imbarcazioni, le più grandi ancorate lì, salutando i Moratti, gli Agnelli e i Tronchetti Provera.
Che dispiacere, davvero un triste Natale.
(Bianca Vergati)
L'armatore ci tiene a sottolineare di essere contento per il suo equipaggio, tutto in salvo. Un atteggiamento propagandato con sollecitudine sui media, foto di Ignazio e di Stefano, in apprensione nei loro uffici.
“M'interessano i miei, del carico non m'importa” si dichiara sui giornali. E l'attenzione è così scivolata via, in sordina, sul carico, peraltro coperto da assicurazione e che di certo - si sostiene - non può provocare un disastro ambientale. Si tratta di vernici, resine, inchiostro; ma anche pitture speciali, sostanze chimiche e farmaceutiche, lacche, liquidi corrosivi.
Dopo l'attracco al porto di Alessandria d'Egitto l'armatore fa la conta dei danni, almeno venti container persi, lamenta; non una parola di preoccupazione sul “genere” di merce dispersa.
“Sono prodotti che ricadono nella categoria Imco3, controllati dalla Capitaneria di porto di Genova” spiega sbrigativamente.
Ovvero?
Nel sito http://www.egyshipping.com/resources/dgt.html si presentano varie classi di “Dangerous Good Transportation”: la 3 è quella dei liquidi altamente infiammabili per il trasporto, non certo profumi e bombon per Natale: un carico “speciale” ad alto rischio d'inquinamento se finisse in mare, com'è successo.
Ma che importa? Non è davanti alle nostre coste. Stavolta.
Dieci anni fa un'altra nave della flotta, la Jolly Rosso, si spiaggiò in Calabria con i suoi container e vi fu un'inchiesta archiviata per sospetto trasporto di rifiuti tossici.
Per i loro ghiotti carichi finirono nel mirino dei pirati la Jolly Smeraldo e la Jolly Marrone e allora la società armatrice protestò per la mancanza di scorta, più volte invocata, alle sue navi, che spesso hanno come destinazione il continente africano: non solo meta di business, ma nota e inerme pattumiera del mondo.
Soltanto una volta i Messina ufficializzarono la natura dei loro trasporti, quando nel 1988 la Jolly Rosso arrivò dal Libano con rifiuti tossici che “alcune aziende italiane senza scrupoli - si legge nel memoriale della nave dei veleni M/T Rosso, stilato dalla Linea Messina - avevano smaltito in Libano e in Paesi del Terzo Mondo”. Mai e poi mai la società si presta a simili trasporti, avvenne in quell'unica occasione, anzi la motonave venne poi ampiamente bonificata per procedere al trasporto di generi alimentari.
Ce ne fossero di imprenditori così che a Genova portano lavoro.
Per lavorare la Culmv non snobba i rifiuti speciali, si adatta a chiedere garanzie,vedi il prossimo imbarco delle big bags della bonifica dell'ex area industriale di Pioltello, Milano, in partenza per la Spagna (ancora ignoto l'armatore).
In Italia ci sono cantieri navali, ma i Messina si fanno costruire le navi in Corea, a prezzi più convenienti, per carità, e protestano se gli si contesta la situazione di privilegio che hanno da decenni sui moli: non vorrebbero gare d'appalto, libera concorrenza.
Perciò hanno contribuito a mandare in galera il presidente dell'Autorità Portuale Novi, prosciolto poi in giudizio e i Messina risponderanno per diffamazione.
Persone discrete, che investono nell'edilizia, abbondantemente e sommessamente.
Peccato essere finiti nei giorni scorsi sui giornali, persino nell'Amaca di Michele Serra su Repubblica: le due figlie eredi non sono state ammesse allo Yacht Club, rifiutate nel segreto dell'urna, forse per solidarietà all'ex presidente Novi (dell'Autorità portuale e per dieci anni dello Y.C.I.).
Pare diranno addio al prestigioso club, portandosi via le loro nuovissime imbarcazioni, le più grandi ancorate lì, salutando i Moratti, gli Agnelli e i Tronchetti Provera.
Che dispiacere, davvero un triste Natale.
(Bianca Vergati)
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OLI 282: ILVA - L'intensa giornata di Claudio Burlando
Burlando, 25/4/10 |
E’ stato ricevuto, nel seguente ordine, da Emilio Riva e figlio per una "colazione", il pranzo un tempo si definiva così. In seguito dalla RSU. E in fine da un gruppo di lavoratori – leggasi comitato – che nel mese di novembre ha condiviso con la stampa locale preoccupazioni sul futuro dello stabilimento siderurgico.
Giornata intensa quella del presidente della regione, accompagnato nella vista da un collaboratore e da una collaboratrice. Anche perché l’attacco dei 112 aderenti al comitato era assai puntuale e sollevava domande precise su futuro di aree, lavoro e fabbrica.
Giornata intensa poiché il presidente Burlando pareva avesse come obbiettivo quello di essere rassicurato sul lavoro svolto. Politicamente parlando.
Giornata nella quale il solco tra sindacati e comitato di cento dei lavoratori rientrati dagli enti pubblici si è fatto più profondo vista l’agenda del presidente e la distanza ormai certificata tra i due gruppi. Ma nei due mesi trascorsi, purtroppo, non è stato possibile fissare un’assemblea sindacale di tutti i lavoratori, strumento assai utile per sciogliere i nodi che man mano venivano al pettine.
Giornata inutile quella del presidente Burlando che occasioni di ascolto ne avrebbe potuto creare a dozzine nei cinque anni trascorsi e che si ritrova adesso a ricevere piccoli insiemi ognuno con le proprie verità.
Vero sarà infatti che il gruppo Riva ha intenzione di far ripartire ad aprile il quarto altoforno a Taranto, con conseguente incremento di attività produttive sullo stabilimento genovese.
Vera sarà la garanzia di salario – verificabile nei prossimi mesi - dei lavoratori rientrati dopo la loro attività in comune e provincia.
Vera la preoccupazione di chi – dichiarato “esubero temporaneo” – fatica a scorgere un futuro.
L’idea politica che è mancata a Burlando oggi – sono passate le stagioni elettorali di Maestrale – era quella di ricevere proprietà, RSU e comitato tutti insieme, pacatamente. Magari in una pubblica assemblea. Mettendo in condizione ogni gruppo di confrontare il proprio punto di vista. Valorizzando lo sguardo di ognuno. E fare sintesi.
Perché di temi in agenda ce ne sono parecchi, disposti a ventaglio a partire da tutte le aree di Cornigliano per arrivare a centrale elettrica, amianto e mobilità.
Scoraggiante, come delegata Fiom, è stato dover richiamare l’attenzione del presidente Burlando, che messaggiava sul suo cellulare mentre, in RSU gli esponevo il mio punto di vista.
Mi chiedo se ha fatto la stessa cosa durante la colazione con la proprietà.
(Giovanna Profumo)
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OLI 282: TRASPORTI - AMT versus BVG: terrestri contro alieni
Aeroporto internazionale di Berlino. Ritrovandosi in albergo (distante 12 km) a disfare la valigia esattamente quaranta minuti dopo essere uscita dall’aeromobile, la viaggiatrice prova la sensazione di essere atterrata su un pianeta alieno, visto che per compiere l’impresa ha utilizzato la rete pubblica (BVG), e che nei quaranta minuti sono inclusi il recupero del bagaglio, la canonica visita alla toilette, il guardarsi un attimo in giro, e l’acquisto del biglietto (2,1 €). Poi, la nostra nota altri dettagli. Ad esempio agli incroci non ci sono vigili che si sbracciano. E in effetti, pensa, che ci starebbero a fare? In questa città così grande c’è un bel silenzio, poche macchine, niente ingorghi.
Di berlinesi in giro c’è pieno, con aggiunta di turisti, solo che stanno sugli autobus, in metropolitana, o a piedi. Tanto sanno che possono andare dove vogliono e tornare quando vogliono coi mezzi pubblici.
Ecco spiegate le signore che vanno all’Opera armate di sacchetti di plastica: dato che non si fanno depositare sulla soglia dalle automobili, se ne arrivano e se ne partono con calzature da neve e, senza imbarazzi, indossano le scarpette eleganti nel foyer.
Troppo impietoso e ingiusto un paragone con AMT? Vediamo.
A Berlino il biglietto singolo costa quasi il doppio (2.1 €) del nostro. Ma presto noi arriveremo a 1.50, e in caso di integrazione con la ferrovia, a 1.80. A quel punto dal super integrato biglietto berlinese ci separerebbe solo una differenza del 14,3 %, che potrebbe scendere ulteriormente se si tiene conto della validità, che a Berlino è di 120 minuti a Berlino.
Senz’altro più sensibile il divario di costo dell’abbonamento annuale ordinario: 612 euro berlinesi, contro i (previsti) 392 di AMT, ma l’utilizzo medio di mezzi pubblici a Berlino supera ampiamente il nostro. Infatti qui gioca la siderale distanza qualitativa del servizio: lì si va ovunque a qualunque ora con tempi massimi di attesa che vanno dai 3/4 minuti delle ore di punta, ai 15 della mezzanotte, fino a mezz’ora da notte fonda a nuovo giorno.
Il fatto è che ci avviciniamo all’Europa sul piano delle tariffe, ma ce ne allontaniamo per qualità del servizio: infatti all’orizzonte ci sono tagli alle corse di autobus e treni. Forse, nell’emergenza, è una misura indispensabile. Solo che così non funziona e non funzionerà mai. Che il servizio pubblico sia tale da essere usato da tutti, e non solo dai poveracci, non è un lusso da ricchi, ma l’unica condizione per modificare davvero la vita in una città, e per avere un equilibrio di bilancio.
Marta Vincenzi (Il Secolo XIX, 25/11) addossa la colpa a Tremonti, ma ammette che la privatizzazione di AMT “Non è servita a garantire gli obiettivi che si era posta. Miglioramento del servizio, razionalizzazione delle linee, manutenzione dei mezzi più efficace”. Motivo? “E’ mancata la riorganizzazione dei bacini di utenza”. Forse c’è un eccesso di sintesi nell’articolo, ma vorremmo capire meglio questa situazione AMT “Che ci sta scappando di mano” (Margini, Il Secolo XIX, 14/12), e in cui divisioni e liti attraversano tutti i soggetti coinvolti (idem).
(Paola Pierantoni)
Di berlinesi in giro c’è pieno, con aggiunta di turisti, solo che stanno sugli autobus, in metropolitana, o a piedi. Tanto sanno che possono andare dove vogliono e tornare quando vogliono coi mezzi pubblici.
Ecco spiegate le signore che vanno all’Opera armate di sacchetti di plastica: dato che non si fanno depositare sulla soglia dalle automobili, se ne arrivano e se ne partono con calzature da neve e, senza imbarazzi, indossano le scarpette eleganti nel foyer.
Troppo impietoso e ingiusto un paragone con AMT? Vediamo.
A Berlino il biglietto singolo costa quasi il doppio (2.1 €) del nostro. Ma presto noi arriveremo a 1.50, e in caso di integrazione con la ferrovia, a 1.80. A quel punto dal super integrato biglietto berlinese ci separerebbe solo una differenza del 14,3 %, che potrebbe scendere ulteriormente se si tiene conto della validità, che a Berlino è di 120 minuti a Berlino.
Senz’altro più sensibile il divario di costo dell’abbonamento annuale ordinario: 612 euro berlinesi, contro i (previsti) 392 di AMT, ma l’utilizzo medio di mezzi pubblici a Berlino supera ampiamente il nostro. Infatti qui gioca la siderale distanza qualitativa del servizio: lì si va ovunque a qualunque ora con tempi massimi di attesa che vanno dai 3/4 minuti delle ore di punta, ai 15 della mezzanotte, fino a mezz’ora da notte fonda a nuovo giorno.
Il fatto è che ci avviciniamo all’Europa sul piano delle tariffe, ma ce ne allontaniamo per qualità del servizio: infatti all’orizzonte ci sono tagli alle corse di autobus e treni. Forse, nell’emergenza, è una misura indispensabile. Solo che così non funziona e non funzionerà mai. Che il servizio pubblico sia tale da essere usato da tutti, e non solo dai poveracci, non è un lusso da ricchi, ma l’unica condizione per modificare davvero la vita in una città, e per avere un equilibrio di bilancio.
Marta Vincenzi (Il Secolo XIX, 25/11) addossa la colpa a Tremonti, ma ammette che la privatizzazione di AMT “Non è servita a garantire gli obiettivi che si era posta. Miglioramento del servizio, razionalizzazione delle linee, manutenzione dei mezzi più efficace”. Motivo? “E’ mancata la riorganizzazione dei bacini di utenza”. Forse c’è un eccesso di sintesi nell’articolo, ma vorremmo capire meglio questa situazione AMT “Che ci sta scappando di mano” (Margini, Il Secolo XIX, 14/12), e in cui divisioni e liti attraversano tutti i soggetti coinvolti (idem).
(Paola Pierantoni)
OLI 282: SOCIETA’ – Buon Compleanno, Italia Nostra!
La sezione genovese di Italia Nostra, nata nel 1960, compie 50 anni. Auguri!
Il compleanno è stato festeggiato sabato scorso alla Biblioteca Berio, in una gremita sala dei Chierici, con la partecipazione di Alessandra Mottola Molfino, presidente nazionale, e dei responsabili locale e regionale, Alberto Beniscelli e Roberto Cuneo. Giovanna Rotondi Terminiello, già soprintendente per i Beni artistici e storici della Liguria nonché figlia di quel Pasquale Rotondi cui la nazione deve molto per la salvezza dei propri capolavori durante la seconda Guerra mondiale, ha espresso grande stima e affetto in una dissertazione sul tema “I Beni culturali per l’Italia”.
La benemerita associazione aveva visto la luce a Roma nel 1955, creata da uomini di lettere, artisti, storici, critici d’arte, architetti e urbanisti che si unirono a difesa del patrimonio culturale e delle bellezze naturali sempre più minacciate, con un largo seguito di iscritti via via più numerosi. All’inizio fu una specifica azione per contrastare e sventare uno dei tanti scempi urbanistici nella Capitale, da cui prese il via un’attività di attento monitoraggio, conoscenza e salvaguardia che continua tuttora sull’intero territorio italiano.
La stessa Biblioteca Berio ospita nella Sala lignea, fino a sabato 18 dicembre, un’esposizione di documenti, ritagli di giornali, manifesti, fotografie, pubblicazioni e altri materiali che testimoniano il mezzo secolo di attività di Italia Nostra in Liguria, tra battaglie vinte e sconfitte, ma in ogni caso producendo aumento di consapevolezza e partecipazione tra i cittadini.
Una mostra “povera”, visitabile ogni giorno dalle 15,30 alle 18,30, messa su grazie al volontariato e con pochi mezzi, senza effetti speciali ma non per questo meno degna di essere visitata di tante altre. In una ventina di bacheche è presentata una rassegna di argomenti che non riguardano solo gli addetti ai lavori ma toccano tutta la società.
Lo stesso ex Seminario arcivescovile, che oggi ospita la Berio, sarebbe stato distrutto e sostituito da un grattacielo ben più redditizio per la Curia che aveva intrapreso l’operazione, se Cesare Fera, Bruno Gabrielli e altri di Italia Nostra non si fossero messi in gioco investendo tempo, energie e competenze. Così per molte altre vicende, come ad esempio lo smisurato Cono di Portman che sarebbe dovuto sorgere al centro del porto antico ed è fortunatamente rimasto sulla carta, o il Palazzo dei Pagliacci a Sampierdarena, testimonianza di un bel liberty di primo Novecento destinata alla demolizione e invece salvata. Oppure, una decina d’anni fa, il mantenimento a liberi usi pubblici della Loggia di Banchi, in sinergia con altre associazioni coordinate nel Forum dei cittadini e delle associazioni del Centro storico.
Più in generale, non si oppongono solo dinieghi ma soprattutto si propongono alternative concrete e ben argomentate alle attuali prassi in tema di mobilità dei cittadini e delle merci, gestione dei rifiuti, arredo urbano e via dicendo.
Di fronte a tanto impegno civile, monta però una certa amarezza considerando quanto sta accadendo negli ultimi anni, con la ripresa alla grande del saccheggio del territorio e degli sfregi a quanto ereditato da chi ci ha preceduto. Come se anni di lotte non fossero serviti a nulla. Anzi, rispetto a mezzo secolo fa la situazione è ancor più grave: se un tempo poteva esserci almeno la scusa dell’ignoranza, oggi la speculazione procede arrogantemente tra mistificazioni e manipolazioni della verità, con normative compiacenti e incurante della crescita culturale e delle sensibilità sviluppatesi grazie anche a Italia Nostra e ad altre analoghe realtà. Sarà opportuno che tutta la società non stia a guardare ma riprenda la battaglia, in prima linea al fianco di Italia Nostra.
(Ferdinando Bonora)
Il compleanno è stato festeggiato sabato scorso alla Biblioteca Berio, in una gremita sala dei Chierici, con la partecipazione di Alessandra Mottola Molfino, presidente nazionale, e dei responsabili locale e regionale, Alberto Beniscelli e Roberto Cuneo. Giovanna Rotondi Terminiello, già soprintendente per i Beni artistici e storici della Liguria nonché figlia di quel Pasquale Rotondi cui la nazione deve molto per la salvezza dei propri capolavori durante la seconda Guerra mondiale, ha espresso grande stima e affetto in una dissertazione sul tema “I Beni culturali per l’Italia”.
La benemerita associazione aveva visto la luce a Roma nel 1955, creata da uomini di lettere, artisti, storici, critici d’arte, architetti e urbanisti che si unirono a difesa del patrimonio culturale e delle bellezze naturali sempre più minacciate, con un largo seguito di iscritti via via più numerosi. All’inizio fu una specifica azione per contrastare e sventare uno dei tanti scempi urbanistici nella Capitale, da cui prese il via un’attività di attento monitoraggio, conoscenza e salvaguardia che continua tuttora sull’intero territorio italiano.
La stessa Biblioteca Berio ospita nella Sala lignea, fino a sabato 18 dicembre, un’esposizione di documenti, ritagli di giornali, manifesti, fotografie, pubblicazioni e altri materiali che testimoniano il mezzo secolo di attività di Italia Nostra in Liguria, tra battaglie vinte e sconfitte, ma in ogni caso producendo aumento di consapevolezza e partecipazione tra i cittadini.
Una mostra “povera”, visitabile ogni giorno dalle 15,30 alle 18,30, messa su grazie al volontariato e con pochi mezzi, senza effetti speciali ma non per questo meno degna di essere visitata di tante altre. In una ventina di bacheche è presentata una rassegna di argomenti che non riguardano solo gli addetti ai lavori ma toccano tutta la società.
Lo stesso ex Seminario arcivescovile, che oggi ospita la Berio, sarebbe stato distrutto e sostituito da un grattacielo ben più redditizio per la Curia che aveva intrapreso l’operazione, se Cesare Fera, Bruno Gabrielli e altri di Italia Nostra non si fossero messi in gioco investendo tempo, energie e competenze. Così per molte altre vicende, come ad esempio lo smisurato Cono di Portman che sarebbe dovuto sorgere al centro del porto antico ed è fortunatamente rimasto sulla carta, o il Palazzo dei Pagliacci a Sampierdarena, testimonianza di un bel liberty di primo Novecento destinata alla demolizione e invece salvata. Oppure, una decina d’anni fa, il mantenimento a liberi usi pubblici della Loggia di Banchi, in sinergia con altre associazioni coordinate nel Forum dei cittadini e delle associazioni del Centro storico.
Più in generale, non si oppongono solo dinieghi ma soprattutto si propongono alternative concrete e ben argomentate alle attuali prassi in tema di mobilità dei cittadini e delle merci, gestione dei rifiuti, arredo urbano e via dicendo.
Di fronte a tanto impegno civile, monta però una certa amarezza considerando quanto sta accadendo negli ultimi anni, con la ripresa alla grande del saccheggio del territorio e degli sfregi a quanto ereditato da chi ci ha preceduto. Come se anni di lotte non fossero serviti a nulla. Anzi, rispetto a mezzo secolo fa la situazione è ancor più grave: se un tempo poteva esserci almeno la scusa dell’ignoranza, oggi la speculazione procede arrogantemente tra mistificazioni e manipolazioni della verità, con normative compiacenti e incurante della crescita culturale e delle sensibilità sviluppatesi grazie anche a Italia Nostra e ad altre analoghe realtà. Sarà opportuno che tutta la società non stia a guardare ma riprenda la battaglia, in prima linea al fianco di Italia Nostra.
(Ferdinando Bonora)
OLI 282: CULTURA - La notte più lunga dell'anno
David Grossman racconta di quando, il 21 dicembre di molti anni fa, mettendo a letto suo figlio Yonathan, di tre anni, gli disse che quella sarebbe stata la notte più lunga dell’anno. Solo un’informazione curiosa per l’autore, ma di impatto enorme per il bambino che il giorno dopo mostrò grande sollievo per la fine di quel lungo buio.
Al salone del Maggior Consiglio lunedì 13 dicembre 2010 David Grossman racconta di favole e paure alla grandissima platea. Spiegando quella dimensione incantata che si interpone tra giorno e notte e che permette a chi vuol essere genitore di cogliere la magia della narrazione di una favola al proprio bambino. E’ il momento in cui il bimbo non deve mettere in ordine, rispondere alle regole, fare questo o quello, ma andare in un posto altro e godere di fantasia e immaginazione. Occasione unica per genitori e figli. L’autore mette a fuoco le ombre che nel chiaroscuro della stanza scivolano sugli oggetti trasformandoli agli occhi dei bambini in mostri, e narra delle voci distanti e ovattate che provengono dalle alte stanze. Racconta delle paure dei bambini e reclama per loro la massima attenzione. Nel Talmud si racconta che quando il primo uomo vide il sole che tramontava divenne isterico, pensò che quella fosse la punizione all’oscurità voluta per lui da dio perché aveva mancato in qualcosa. Solo nei giorni successivi comprese che il tramonto faceva parte del ciclo della vita.
Il bambino è come quell’uomo primordiale. Quando gli viene detto “papà domani vola in America”, non capisce, cerca di immaginarne le ali, il bambino è come un emigrante nel nostro mondo. Per questo l’universo dei bambini va preservato dalla brutalità. Non si può raccontare ai bambini qualsiasi orrore.
Si ha la percezione che la notte più lunga, nell’incontro di Grossman con i genovesi, sia anche quella tra palestinesi e israeliani, votati alla guerra perché incapaci di immaginare la pace. E per questo condannati a sopravvivere e basta. Quando vengo in Europa – racconta l’autore – respiro a pieni polmoni. Quando sono in Israele respiro a metà. Sono sempre all’erta.
Dalla letteratura per l’infanzia a quella per adulti si passa in batter di ciglia e nell’incontro, come per magia, si è trasportati nella narrazione del suo ultimo romanzo, dove guerra e destino del figlio al fronte spingono una madre alla fuga dalla propria la casa. La donna infatti scappa dall’unico luogo nel quale le può essere recapitata l’eventuale notizia della morte del giovane. E in questo viaggio i ricordi narrati ad un amico ripercorrono gli istanti di vita del figlio, fin dalla prima poppata e dai primi passi, dando voce alla fatica di forgiare un essere umano. Dando corpo alla facilità assurda con la quale un essere umano possa soccombere per la guerra.
(Giovanna Profumo)
Al salone del Maggior Consiglio lunedì 13 dicembre 2010 David Grossman racconta di favole e paure alla grandissima platea. Spiegando quella dimensione incantata che si interpone tra giorno e notte e che permette a chi vuol essere genitore di cogliere la magia della narrazione di una favola al proprio bambino. E’ il momento in cui il bimbo non deve mettere in ordine, rispondere alle regole, fare questo o quello, ma andare in un posto altro e godere di fantasia e immaginazione. Occasione unica per genitori e figli. L’autore mette a fuoco le ombre che nel chiaroscuro della stanza scivolano sugli oggetti trasformandoli agli occhi dei bambini in mostri, e narra delle voci distanti e ovattate che provengono dalle alte stanze. Racconta delle paure dei bambini e reclama per loro la massima attenzione. Nel Talmud si racconta che quando il primo uomo vide il sole che tramontava divenne isterico, pensò che quella fosse la punizione all’oscurità voluta per lui da dio perché aveva mancato in qualcosa. Solo nei giorni successivi comprese che il tramonto faceva parte del ciclo della vita.
Il bambino è come quell’uomo primordiale. Quando gli viene detto “papà domani vola in America”, non capisce, cerca di immaginarne le ali, il bambino è come un emigrante nel nostro mondo. Per questo l’universo dei bambini va preservato dalla brutalità. Non si può raccontare ai bambini qualsiasi orrore.
Si ha la percezione che la notte più lunga, nell’incontro di Grossman con i genovesi, sia anche quella tra palestinesi e israeliani, votati alla guerra perché incapaci di immaginare la pace. E per questo condannati a sopravvivere e basta. Quando vengo in Europa – racconta l’autore – respiro a pieni polmoni. Quando sono in Israele respiro a metà. Sono sempre all’erta.
Dalla letteratura per l’infanzia a quella per adulti si passa in batter di ciglia e nell’incontro, come per magia, si è trasportati nella narrazione del suo ultimo romanzo, dove guerra e destino del figlio al fronte spingono una madre alla fuga dalla propria la casa. La donna infatti scappa dall’unico luogo nel quale le può essere recapitata l’eventuale notizia della morte del giovane. E in questo viaggio i ricordi narrati ad un amico ripercorrono gli istanti di vita del figlio, fin dalla prima poppata e dai primi passi, dando voce alla fatica di forgiare un essere umano. Dando corpo alla facilità assurda con la quale un essere umano possa soccombere per la guerra.
(Giovanna Profumo)
OLI 282: INFORMAZIONE - Il Secolo XIX e l'insostenibile leggerezza di Internet
L'articolo su ilsecoloxix.it ingloba due filmati, che sono però stati rimossi dall'utente di Youtube accusato di aver ripreso le sue malefatte per metterle in onda e farsi bello coi compagni. Se ne accorge anche un lettore, che commenta "MrGiacomo1997 ha prontamente rimosso i video; non è che qualcuno li ha preventivamente salvati?". Elementare, Watson.
Prima dell'avvento di internet, si usava dire "non sai fare un piffero", oggi protremmo sostituirlo con la sua versione più moderna "non sai fare un link". Il Secolo XIX casca nella trappola del nuovo web, quello dove la gestione dei contenuti è affidata in modo autonomo agli autori. Forse, abituati ad un lavoro di redazione inquadrato in regole tradizionali e rigide, è sfuggito all'articolista che i video su Youtube possono essere anche rimossi: necessita una copia locale, personale, per documentare quello che si asserisce. Per riportare il discorso sul tradizionale, è un po' come se, recandosi in un luogo per fare un servizio, ci si dimenticasse di fare le fotografie: "l'asfalto ha le buche", "il muro stava per crollare", il giorno dopo sono notizie che senza foto potrebbe essere difficile documentare. E adesso, il buon MrGiacomo1997 che farà? Forte della mancanza della prova, chiederà al Secolo XIX una rettifica? Potrebbero negargliela? Certo, Santo Google potrebbe resuscitare il video incriminato, se però la cosa fosse richiesta da un magistrato. Google, si sa, fa sul serio, conserva tutto.
http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/12/12/AM4xRBQE-vandalismi_esibiti_youtube.shtml
(Stefano De Pietro)
Prima dell'avvento di internet, si usava dire "non sai fare un piffero", oggi protremmo sostituirlo con la sua versione più moderna "non sai fare un link". Il Secolo XIX casca nella trappola del nuovo web, quello dove la gestione dei contenuti è affidata in modo autonomo agli autori. Forse, abituati ad un lavoro di redazione inquadrato in regole tradizionali e rigide, è sfuggito all'articolista che i video su Youtube possono essere anche rimossi: necessita una copia locale, personale, per documentare quello che si asserisce. Per riportare il discorso sul tradizionale, è un po' come se, recandosi in un luogo per fare un servizio, ci si dimenticasse di fare le fotografie: "l'asfalto ha le buche", "il muro stava per crollare", il giorno dopo sono notizie che senza foto potrebbe essere difficile documentare. E adesso, il buon MrGiacomo1997 che farà? Forte della mancanza della prova, chiederà al Secolo XIX una rettifica? Potrebbero negargliela? Certo, Santo Google potrebbe resuscitare il video incriminato, se però la cosa fosse richiesta da un magistrato. Google, si sa, fa sul serio, conserva tutto.
http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/12/12/AM4xRBQE-vandalismi_esibiti_youtube.shtml
(Stefano De Pietro)
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OLI 282: COSTITUZIONE ITALIANA - Il maestro Barenboim legge l'art. 9 della Costituzione
7 dicembre 2010, prima della Scala. Il maestro Daniel Barenboim, prima di iniziare a dirigere la «Valchiria» di Wagner, legge l'articolo 9 della Costituzione italiana
Analoghi concetti (ma senza leggere la Costituzione) erano stati espressi in più occasioni anche da Zubin Mehta, a Firenze, Mantova e Genova.
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OLI 282: PAROLE DEGLI OCCHI – Clonazioni, da Dolly a Berlusconi
Giorni fa, l'8 dicembre, su Rai3 Fuori Tg ha trattato l’argomento, con servizi e qualificati ospiti in studio che hanno ragionato circa l’affidabilità e bontà delle carni clonate.
Perplessità continuano a serpeggiare, per una pratica che va comunque contro la natura delle cose.
Anche l’ultima clonazione del governo Berlusconi, che è riuscito a riprodurre se stesso mediante spericolate alchimie parlamentari, lascia gran parte degli italiani (e anche di molti stranieri) nello sconcerto e ancor più nel disgusto.
Fuori Tg dell'8 dicembre 2010
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-24365510-3485-4e79-8300-d265501b1ff1.html
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-24365510-3485-4e79-8300-d265501b1ff1.html
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martedì 7 dicembre 2010
OLI 281: SOMMARIO
VERSANTE LIGURE - DISCENTE DISCINTA CERCASI (Enzo Costa&Aglaja)
IMMIGRAZIONE - Conoscere la lingua è fondamentale per l’integrazione, il test di italiano la ostacola (Saleh Zaghloul)
INFORMAZIONE - Morte in sala operatoria (Stefano De Pietro)
SOCIETA' - Bambini ai margini (Bianca Vergati)
VIVISEZIONE - I nuovi esuli (Maria Alisia Poggio)
SOCIETA' - Call center con il sorriso (Giovanna Profumo)
COSTITUZIONE ITALIANA - Gustavo Zagrebelsky racconta l'origine della Costituzione (seconda parte, a cura di Aglaja)
PAROLE DEGLI OCCHI - Beni culturali (a cura di Giorgio Bergami)
LETTERE - Un video da Brescia (Marina Seveso)
OLI 281: VERSANTE LIGURE - DISCENTE DISCINTA CERCASI
Diligente discente
cerco, che a casa stia
(giammai manifestante!
chiamo la polizia!),
salvo uscita “bungante”
per soirée in casa mia
presso wild Presidente,
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OLI 281: IMMIGRAZIONE - Conoscere la lingua è fondamentale per l’integrazione, il test di italiano la ostacola
La conoscenza della lingua italiana è senza dubbio un fattore molto importante per l’integrazione e l’inserimento sociale e lavorativo e gli stessi immigrati sono i primi a considerarla tale e a chiederne l’organizzazione di corsi di insegnamento. Tutta un'altra cosa è quella di usare la conoscenza della lingua per escludere gli immigrati da diritti e servizi: è il caso dell’obbligo, che scatterebbe dal 9 dicembre 2010, di superare un test di lingua italiana per ottenere il permesso di soggiorno CE (ex carta di soggiorno). Una misura prevista dal primo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi.
La carta di soggiorno (ora permesso CE) ha una durata a tempo indeterminato ed è stata istituita per consolidare la situazione di coloro che soggiornano regolarmente in Italia da lungo periodo (almeno 5 anni) e per risparmiare loro (ma anche ai lavoratori degli uffici immigrazione delle questure e degli sportelli unici delle prefetture) la lunga, costosa e faticosa pratica del rinnovo del semplice permesso di soggiorno. Fino a quando l'immigrato non ottiene la Carta di soggiorno rischia sempre (ad ogni rinnovo ed ogni volta che perde il lavoro) di perdere il Permesso di soggiorno e di diventare irregolare o "clandestino". Chi è senza Permesso di soggiorno è costretto a lavorare in nero ed è più esposto al ricatto della criminalità. Un pacchetto "sicurezza" degno di questo nome avrebbe dovuto facilitare il rilascio della Carta di soggiorno, un documento che consolida la regolarità del soggiorno, ad oggi posseduto solo da una minima parte dei soggiornanti di lungo periodo, che teoricamente ne avrebbero diritto, a causa dell’applicazione restrittiva di una norma migliorabile.
Coincidenza vuole che venerdì scorso, a pochi giorni dal 9 dicembre, è stato presentato il 44° Rapporto Censis dal quale risulta che l’85% degli immigrati ha una conoscenza della lingua italiana almeno sufficiente: l’8,9% ha un’ottima conoscenza, il 33,1% ne ha una conoscenza buona, per la gran parte (circa il 43%) il livello è sufficiente, mentre la quota di chi non conosce a sufficienza l’italiano risulta pari al 15,1% del totale. E’ difficile non conoscere la lingua italiana (livello A2, italiano per principianti) dopo 5 anni di soggiorno regolare in Italia (sommati a qualche anno di soggiorno irregolare). Test inutile che finirà per aggravare la situazione degli sportelli unici per l’immigrazione già alle prese con pratiche arretrate di sanatoria, flussi, rinnovi, ricongiungimenti, ecc, e minacciati di perdere 650 lavoratori precari. Test inutile che costerà allo Stato significative risorse finanziarie in una fase delicata dove non si trovano risorse per necessità sociali molto importanti.
(Saleh Zaghloul)
La carta di soggiorno (ora permesso CE) ha una durata a tempo indeterminato ed è stata istituita per consolidare la situazione di coloro che soggiornano regolarmente in Italia da lungo periodo (almeno 5 anni) e per risparmiare loro (ma anche ai lavoratori degli uffici immigrazione delle questure e degli sportelli unici delle prefetture) la lunga, costosa e faticosa pratica del rinnovo del semplice permesso di soggiorno. Fino a quando l'immigrato non ottiene la Carta di soggiorno rischia sempre (ad ogni rinnovo ed ogni volta che perde il lavoro) di perdere il Permesso di soggiorno e di diventare irregolare o "clandestino". Chi è senza Permesso di soggiorno è costretto a lavorare in nero ed è più esposto al ricatto della criminalità. Un pacchetto "sicurezza" degno di questo nome avrebbe dovuto facilitare il rilascio della Carta di soggiorno, un documento che consolida la regolarità del soggiorno, ad oggi posseduto solo da una minima parte dei soggiornanti di lungo periodo, che teoricamente ne avrebbero diritto, a causa dell’applicazione restrittiva di una norma migliorabile.
Coincidenza vuole che venerdì scorso, a pochi giorni dal 9 dicembre, è stato presentato il 44° Rapporto Censis dal quale risulta che l’85% degli immigrati ha una conoscenza della lingua italiana almeno sufficiente: l’8,9% ha un’ottima conoscenza, il 33,1% ne ha una conoscenza buona, per la gran parte (circa il 43%) il livello è sufficiente, mentre la quota di chi non conosce a sufficienza l’italiano risulta pari al 15,1% del totale. E’ difficile non conoscere la lingua italiana (livello A2, italiano per principianti) dopo 5 anni di soggiorno regolare in Italia (sommati a qualche anno di soggiorno irregolare). Test inutile che finirà per aggravare la situazione degli sportelli unici per l’immigrazione già alle prese con pratiche arretrate di sanatoria, flussi, rinnovi, ricongiungimenti, ecc, e minacciati di perdere 650 lavoratori precari. Test inutile che costerà allo Stato significative risorse finanziarie in una fase delicata dove non si trovano risorse per necessità sociali molto importanti.
(Saleh Zaghloul)
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OLI 281: INFORMAZIONE - Morte in sala operatoria
La notizia in sé stessa, a parte il contenuto umano che trasmette, non è eclatante: un paziente muore in sala operatoria e il Corsera ne dà notizia con un articolo della sua redazione online. Nei fatti, i parenti del deceduto prendono a calci e pugni l'equipe medica. L'ospedale, su denuncia dei parenti, apre un'inchiesta che porterà ad appurare i fatti sulla morte del malato. Riveste un certo interesse analizzare i variegati commenti dei lettori. Da notare che il titolo è ineccepibile, fornisce una notizia esatta.
1. Togliamo ai medici il diritto di essere umani - non è possibile continuare a sentire casi del genere. I medici devono capire che la vita degli altri è importante almeno quanto la loro. Togliamo ai medici, tutti, il diritto di essere umani, bisogna che sappiano che la gente è pronta ad affrontarli con tutti i mezzi per vedere riconosciuti i loro diritti. Togliamo ai medici la disgraziata possibilità di sbagliare e di trincerarsi dietro fantasiose storie di difficoltà operatorie e formiamo medici che non sbagliano mai, che ridonano la vita a tutti, che sappiano risolvere ogni tipo di urgenza senza nessuna possibilità di inconveniente perché tutti i casi di malasanità , oramai è chiaro, sono tutti determinati dai loro errori. Togliamo loro i diritti di essere umani.
2. Colpa dei "media" - Sono un medico chirurgo, e posso solo dire, senza scendere nel dettaglio del gravissimo episodio, che la colpa principale è di voi "media", in quanto al solo scopo di un "presunto scoop" non ci pensate due volte a titolare una notizia "...caso di malasanità...." senza andare ad intervistare i diretti interessati esprimendo giudizi affrettati, e come di moda oramai, istruendo i processi sulla carta stampata o in studi televisivi, inasprendo cosi gli animi...ovviamente per gravissimo episodio intendo l'aggressione al personale sanitario e parasanitario, nel più profondo rispetto e dolore della perdita di una vita umana.
3. I medici devono pagare - In un Ospedale Romano, sei mesi fa, la mia compagna veniva operata per l'asportazione di due noduli ai seni con conseguente biopsia. Una settimana fa, una nuova ecografia rivela che, nonostante il referto dell'intervento affermi il contrario, i noduli sono ancora lì, tali e quali. Immediato il ricorso ai nostri legali.
4. Anche il titolo è una forzatura... - "Muore durante un'operazione". Poi leggi invece che era appena iniziata l'anestesia, e che, essendo gravemente malato di anemia mediterranea, il rischio era forte e ben conosciuto. Bisognerebbe smetterla di alimentare idee sbagliate nella gente. E bisognerebbe anche smettere di compatire le persone violente. Quel genere di sceneggiate non sono infrequenti, e con i malati e le povere vite perse non hanno nulla a che fare. Non sono manifestazioni di dolore, ma di ben altro.
5. Occorre prima capire! - Cosa è successo veramente in sala operatoria? I parenti erano stati bene informati del rischio elevato che correva il ragazzo o qualcosa è andata storta oltre ogni previsione? Esempio: ci si è accorti solo tardivamente di una errata manovra di intubazione oro-tracheale con ovvie e nefaste conseguenze? Sono un medico ma sono dalla parte dei parenti ... almeno fino a prova contraria!
6. Guardate cosa scrivono i lettori - Concordo pienamente con chi attribuisce gran parte della colpa di questi episodi ai media che pur di cercare lo scoop non hanno la benchè minima attenzione alla obiettività dei fatti. Tutto questo ha portato ad un concetto di immortalità sempre più diffusa : non si può morire, se accade deve essere colpa di qualcuno. Invece morire succede e può succedere in qualsiasi momento senza che per questo sia colpa di qualcuno. E' ovvio che per casi simili ci saranno indagini adeguate, come sempre ci sono ma non certo per furore di popolo. Accadrà che nessuno vorrà più assumersi dei rischi e si faranno sempre meno interventi. questo sta già accadendo da tempo. Di fronte a casi del genere, invece di gridare all'untore ognuno si faccia per la sua parte il Mea Culpa. Guardate cosa scrive un lettore "formiamo dei medici ..che ridiano la vita a tutti..." Se potessero esistere medici simili nessuno morirebbe mai. Per formare questo tipo di fantascientifici medici forse dovremmo rivolgerci a Gesù... ma forse neppure.... Se ci sono persone (e tante) che scrivono questo vuol dire che lo credono.
http://roma.corriere.it/roma/dilatua/cronaca/articoli/2010/12/04/ragazzo-muore-durante-operazione-reazione-genitori_full.shtml
(Stefano De Pietro)
1. Togliamo ai medici il diritto di essere umani - non è possibile continuare a sentire casi del genere. I medici devono capire che la vita degli altri è importante almeno quanto la loro. Togliamo ai medici, tutti, il diritto di essere umani, bisogna che sappiano che la gente è pronta ad affrontarli con tutti i mezzi per vedere riconosciuti i loro diritti. Togliamo ai medici la disgraziata possibilità di sbagliare e di trincerarsi dietro fantasiose storie di difficoltà operatorie e formiamo medici che non sbagliano mai, che ridonano la vita a tutti, che sappiano risolvere ogni tipo di urgenza senza nessuna possibilità di inconveniente perché tutti i casi di malasanità , oramai è chiaro, sono tutti determinati dai loro errori. Togliamo loro i diritti di essere umani.
2. Colpa dei "media" - Sono un medico chirurgo, e posso solo dire, senza scendere nel dettaglio del gravissimo episodio, che la colpa principale è di voi "media", in quanto al solo scopo di un "presunto scoop" non ci pensate due volte a titolare una notizia "...caso di malasanità...." senza andare ad intervistare i diretti interessati esprimendo giudizi affrettati, e come di moda oramai, istruendo i processi sulla carta stampata o in studi televisivi, inasprendo cosi gli animi...ovviamente per gravissimo episodio intendo l'aggressione al personale sanitario e parasanitario, nel più profondo rispetto e dolore della perdita di una vita umana.
3. I medici devono pagare - In un Ospedale Romano, sei mesi fa, la mia compagna veniva operata per l'asportazione di due noduli ai seni con conseguente biopsia. Una settimana fa, una nuova ecografia rivela che, nonostante il referto dell'intervento affermi il contrario, i noduli sono ancora lì, tali e quali. Immediato il ricorso ai nostri legali.
4. Anche il titolo è una forzatura... - "Muore durante un'operazione". Poi leggi invece che era appena iniziata l'anestesia, e che, essendo gravemente malato di anemia mediterranea, il rischio era forte e ben conosciuto. Bisognerebbe smetterla di alimentare idee sbagliate nella gente. E bisognerebbe anche smettere di compatire le persone violente. Quel genere di sceneggiate non sono infrequenti, e con i malati e le povere vite perse non hanno nulla a che fare. Non sono manifestazioni di dolore, ma di ben altro.
5. Occorre prima capire! - Cosa è successo veramente in sala operatoria? I parenti erano stati bene informati del rischio elevato che correva il ragazzo o qualcosa è andata storta oltre ogni previsione? Esempio: ci si è accorti solo tardivamente di una errata manovra di intubazione oro-tracheale con ovvie e nefaste conseguenze? Sono un medico ma sono dalla parte dei parenti ... almeno fino a prova contraria!
6. Guardate cosa scrivono i lettori - Concordo pienamente con chi attribuisce gran parte della colpa di questi episodi ai media che pur di cercare lo scoop non hanno la benchè minima attenzione alla obiettività dei fatti. Tutto questo ha portato ad un concetto di immortalità sempre più diffusa : non si può morire, se accade deve essere colpa di qualcuno. Invece morire succede e può succedere in qualsiasi momento senza che per questo sia colpa di qualcuno. E' ovvio che per casi simili ci saranno indagini adeguate, come sempre ci sono ma non certo per furore di popolo. Accadrà che nessuno vorrà più assumersi dei rischi e si faranno sempre meno interventi. questo sta già accadendo da tempo. Di fronte a casi del genere, invece di gridare all'untore ognuno si faccia per la sua parte il Mea Culpa. Guardate cosa scrive un lettore "formiamo dei medici ..che ridiano la vita a tutti..." Se potessero esistere medici simili nessuno morirebbe mai. Per formare questo tipo di fantascientifici medici forse dovremmo rivolgerci a Gesù... ma forse neppure.... Se ci sono persone (e tante) che scrivono questo vuol dire che lo credono.
http://roma.corriere.it/roma/dilatua/cronaca/articoli/2010/12/04/ragazzo-muore-durante-operazione-reazione-genitori_full.shtml
(Stefano De Pietro)
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Stefano De Pietro
OLI 281: SOCIETA' - Bambini ai margini
Esperanza, quattordici anni, ha le mani piccole e sporche, come quelle di sua mamma Gloria, di anni 39 che sembra molto più vecchia, insieme aspettano l’autobus, tutt’intorno campagna. Dice fiera Gloria che sua figlia lavora alla Fattoria da tempo, raccogliendo frutta, rigovernando. Esperanza è una dei 200 mila bambini, quasi tutti latinos, che lavora nei campi degli Stati Uniti e prima o poi andrà a scuola, finita la stagione. Secondo il Rapporto Fields of Peril arriva quasi a mezzo milione il numero di bambini e adolescenti che, con paghe ridotte e senza vincoli d'orario,“danno una mano” ai grandi seguendo i genitori braccianti. Così è la condizione di parte dei bambini negli States, che hanno speso l’anno scorso 26 milioni di dollari per programmi di tutela dei diritti dei lavoratori nel mondo. E in casa loro?
Gli States compaiono anche nel rapporto Card 9 dell’Unicef ne “bambini ai margini”, che per la prima volta esamina quanto stanno facendo i Paesi più industrializzati per limitare le disparità per i giovanissimi all’interno della società, rispetto allo standard di opportunità dei coetanei. Sono 24 i Paesi esaminati e l’Italia con gli Usa e la Gran Bretagna, figura agli ultimi posti a fronte dei Paesi scandinavi e della Svizzera: ventunesimo per l’istruzione, penultimo per la salute.
L’Italia è la “casa” dei suoi cittadini giovani più poveri con un tasso di povertà relativa fra i bambini del 15,5%, ovvero circa un milione e mezzo di ragazzini vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Una famiglia per cui si spende lo 0,06% del Pil a fronte del 2,8% della Germania e del 3,7% della Francia. Il Natale s’avvicina, alberi in piazza, luminarie, messaggini e posta t’invitano a pensare all’infanzia maltrattata. Google nella giornata dei Diritti dei Bambini il 20 novembre ha rappresentato la giornata di un bambino e Facebook ha invitato i suoi utenti a tornare bambini, cambiando l’immagine del proprio profilo con quello del cartone animato preferito. Ma sbiadita è ormai l’immagine Tv di quella bimba americana di cinque anni, che riempiva di mirtilli le ceste e che i suoi fratelli di sette trascinavano poi via: 5500 dollari di multa per l’azienda agricola e la rescissione del contratto con l’azienda di distribuzione. Nulla è cambiato però per i giovani braccianti che possono imbracciare un forcone a dieci anni ma non a sedici come apprendisti dal ferramenta, vige ancora una legge del ‘38 sul lavoro minorile e un tentativo di riforma giace al Congresso da oltre un anno con metà firme dei parlamentari.
E noi, in Italia, che cosa facciamo? Che cosa rispondiamo alla domanda dell’Unicef, che si chiede - fino a che punto le nazioni ricche tollerano che i bambini più svantaggiati rimangano indietro ai margini del benessere della società? -
(Bianca Vergati)
Gli States compaiono anche nel rapporto Card 9 dell’Unicef ne “bambini ai margini”, che per la prima volta esamina quanto stanno facendo i Paesi più industrializzati per limitare le disparità per i giovanissimi all’interno della società, rispetto allo standard di opportunità dei coetanei. Sono 24 i Paesi esaminati e l’Italia con gli Usa e la Gran Bretagna, figura agli ultimi posti a fronte dei Paesi scandinavi e della Svizzera: ventunesimo per l’istruzione, penultimo per la salute.
L’Italia è la “casa” dei suoi cittadini giovani più poveri con un tasso di povertà relativa fra i bambini del 15,5%, ovvero circa un milione e mezzo di ragazzini vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Una famiglia per cui si spende lo 0,06% del Pil a fronte del 2,8% della Germania e del 3,7% della Francia. Il Natale s’avvicina, alberi in piazza, luminarie, messaggini e posta t’invitano a pensare all’infanzia maltrattata. Google nella giornata dei Diritti dei Bambini il 20 novembre ha rappresentato la giornata di un bambino e Facebook ha invitato i suoi utenti a tornare bambini, cambiando l’immagine del proprio profilo con quello del cartone animato preferito. Ma sbiadita è ormai l’immagine Tv di quella bimba americana di cinque anni, che riempiva di mirtilli le ceste e che i suoi fratelli di sette trascinavano poi via: 5500 dollari di multa per l’azienda agricola e la rescissione del contratto con l’azienda di distribuzione. Nulla è cambiato però per i giovani braccianti che possono imbracciare un forcone a dieci anni ma non a sedici come apprendisti dal ferramenta, vige ancora una legge del ‘38 sul lavoro minorile e un tentativo di riforma giace al Congresso da oltre un anno con metà firme dei parlamentari.
E noi, in Italia, che cosa facciamo? Che cosa rispondiamo alla domanda dell’Unicef, che si chiede - fino a che punto le nazioni ricche tollerano che i bambini più svantaggiati rimangano indietro ai margini del benessere della società? -
(Bianca Vergati)
OLI 281: VIVISEZIONE - I nuovi esuli
Mi presento, sono Bobo, testa imponente e prepotente, occhio sornione, pelo rosso ed arruffato che ricopre le mie zampe posteriori da maschio intero in un tutt'uno con la coda ritta. Vago per via Emilia, rispettato dalla combriccola di smilzi ciondolanti, ammirato dalle bambole bianche e nere che spuntano ogni tanto dai cortili. Faccio mostra di me sulla grondaia di un giardino al limite del Bisagno, nell'attesa di una ciotola piena di bocconcini che alcuni volenterosi bipedi mi offrono. Non per questo ho perso l'atavica abitudine a lanciarmi nella giungla delle canne e del campo da bocce sul letto del fiume per dar prova delle mie doti venatorie. La grondaia mi riscalda e mi protegge dalle piogge improvvise e poi da li' sotto posso innalzare i miei canti d'amore, tra un palazzo e l'altro, e magari venir corrisposto da un richiamo al di la' dello steccato. L'amour...
Alcuni giorni fa Pablo, orecchie tese, muso affilato sfumato di nero e occhio castano di chi ha nel sangue tracce canine teutoniche, mi ha fermato allarmato. Voi vi direte, un cane che ferma un gatto, ma in che mondo viviamo? In effetti è così, ci si rincorre, o almeno, ve lo diamo a vedere, ma anche nella guerra dei poveri affamati di strada, vige comunque un regolamento, un rispetto reciproco dei ruoli, della vita. Lui ha il suo territorio e, anche se vaga per tutto il quartiere, predilige stazionare a bordo ring, tra un parcheggio e la via di fuga dell'acquedotto. Un retaggio del passato, chissà? La sua storia è più complicata della mia, venuto alla luce in un capanno degli attrezzi degli orti sopra il rio Cicala. Lui di strada ne ha fatta tanta invece, strada per la libertà, lontano da un paese nel quale se ti acciuffavano, eri fritto, nel senso letterale della parola.
Quando mi ha incontrato ha alzato la testa, non come di solito verso il Diamante per vaticinare sul tempo, ma diretto ad un manifesto pubblicitario, accartocciato dalla pioggia, su uno dei tanti muri di contenimento della zona. Infatti i monti arrivano sino alla fenditura delle strette strade che ti portano in Emilia stringendoti con le spalle al Bisagno. “Ci risiamo” ha affermato. L'ho guardato con un interrogativo in mezzo alla fronte. Che cosa rappresenteranno mai quel quadrupede dal muso tutto nero con gli occhi marroni che si specchiano in quelli di un bipede con i dreadlock da bobtail?
“Come?” dice Pablo, “non percepisci che inizia a tirar una cattiva aria anche per noi, liberi”. Riguardiamo il Diamante, che sia venuto il tempo di darsi alle montagne?
http://www.lav.it/uploads/48/23392_08.09.2010_revisione_della_direttiva_europea_86_609_sulla_vivisezione.pdf
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/09/09/news/vivisezione-6888071/
http://www.leal.it/entra-in-vigore-la-vergogna-europea/
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:276:0033:0079:IT:PDF
(Maria Alisia Poggio)
Alcuni giorni fa Pablo, orecchie tese, muso affilato sfumato di nero e occhio castano di chi ha nel sangue tracce canine teutoniche, mi ha fermato allarmato. Voi vi direte, un cane che ferma un gatto, ma in che mondo viviamo? In effetti è così, ci si rincorre, o almeno, ve lo diamo a vedere, ma anche nella guerra dei poveri affamati di strada, vige comunque un regolamento, un rispetto reciproco dei ruoli, della vita. Lui ha il suo territorio e, anche se vaga per tutto il quartiere, predilige stazionare a bordo ring, tra un parcheggio e la via di fuga dell'acquedotto. Un retaggio del passato, chissà? La sua storia è più complicata della mia, venuto alla luce in un capanno degli attrezzi degli orti sopra il rio Cicala. Lui di strada ne ha fatta tanta invece, strada per la libertà, lontano da un paese nel quale se ti acciuffavano, eri fritto, nel senso letterale della parola.
Quando mi ha incontrato ha alzato la testa, non come di solito verso il Diamante per vaticinare sul tempo, ma diretto ad un manifesto pubblicitario, accartocciato dalla pioggia, su uno dei tanti muri di contenimento della zona. Infatti i monti arrivano sino alla fenditura delle strette strade che ti portano in Emilia stringendoti con le spalle al Bisagno. “Ci risiamo” ha affermato. L'ho guardato con un interrogativo in mezzo alla fronte. Che cosa rappresenteranno mai quel quadrupede dal muso tutto nero con gli occhi marroni che si specchiano in quelli di un bipede con i dreadlock da bobtail?
“Come?” dice Pablo, “non percepisci che inizia a tirar una cattiva aria anche per noi, liberi”. Riguardiamo il Diamante, che sia venuto il tempo di darsi alle montagne?
http://www.lav.it/uploads/48/23392_08.09.2010_revisione_della_direttiva_europea_86_609_sulla_vivisezione.pdf
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/09/09/news/vivisezione-6888071/
http://www.leal.it/entra-in-vigore-la-vergogna-europea/
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:276:0033:0079:IT:PDF
(Maria Alisia Poggio)
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OLI 281,
Vivisezione
OLI 281: SOCIETA' - Call center con il sorriso
La telefonata arriva durante la preparazione della cena.
“Sto facendo un sondaggio sui consumi degli italiani, posso farle qualche domanda”?
Restare incerti sul sì e il no, magari ci si sente un’altra volta e decidere che il tempo della donna al di là dell’apparecchio è importante, perché retribuito. Acconsentire.
La voce persuasiva accelera come fosse un’auto in gara. Il ricordo restituisce vaghe tappe della corsa: dove fa la spesa? Cosa acquista tra i seguenti prodotti? I suoi consumi aumenteranno per le prossime feste natalizie, resteranno stabili, o diminuiranno? Dove festeggerà Natale e Capodanno? A casa o fuori? Tra questi prodotti – arredamento per la casa, alimentari, giocattoli, elettronica, vacanze – ha registrato un aumento o una diminuzione di acquisto nell’anno trascorso o sono rimasti stabili? Compra normalmente al supermercato? Quale? Compra abitualmente al discount? Quale? La verdura e la carne dove li acquista? Prevede un aumento o una diminuzione nell’acquisto di carne e verdura?
Le risposte sono sicure. Accelerano con lei. Cambiano marcia quando il sondaggio mostra tratti di inattendibilità. E quell’auto va fermata anche con un solo “veramente non saprei”. Le rifaccio la domanda? Chiede la voce rallentando per stanchezza. No, è che questa cosa, non ha tanto senso. Non ha idea di quanto queste domande siano importanti per lo sviluppo del mercato, precisa, andiamo avanti? Sì, ma le prossime risposte le metta pure lei. Scappano due risate. E la voce si fa amicale. Siamo esseri umani venuti in contatto per volontà di mercato. E il protocollo può cambiare forma, saltare e inciampare in quesiti fatti dall’utente. Giusto per capire le regole del gioco. Che poi sono regole di contratto e di lavoro.
Lei rimane un po’ stupita. Ma è contenta. Dice di aver già fatto ottanta telefonate. Il suo è un call center siciliano. Ha iniziato alle cinque del pomeriggio e terminerà alle dieci. La nostra è la prima chiamata durante la quale ha riso.
Grazie.
Buona fortuna.
Ne abbiamo bisogno.
Tutti.
(Giovanna Profumo)
“Sto facendo un sondaggio sui consumi degli italiani, posso farle qualche domanda”?
Restare incerti sul sì e il no, magari ci si sente un’altra volta e decidere che il tempo della donna al di là dell’apparecchio è importante, perché retribuito. Acconsentire.
La voce persuasiva accelera come fosse un’auto in gara. Il ricordo restituisce vaghe tappe della corsa: dove fa la spesa? Cosa acquista tra i seguenti prodotti? I suoi consumi aumenteranno per le prossime feste natalizie, resteranno stabili, o diminuiranno? Dove festeggerà Natale e Capodanno? A casa o fuori? Tra questi prodotti – arredamento per la casa, alimentari, giocattoli, elettronica, vacanze – ha registrato un aumento o una diminuzione di acquisto nell’anno trascorso o sono rimasti stabili? Compra normalmente al supermercato? Quale? Compra abitualmente al discount? Quale? La verdura e la carne dove li acquista? Prevede un aumento o una diminuzione nell’acquisto di carne e verdura?
Le risposte sono sicure. Accelerano con lei. Cambiano marcia quando il sondaggio mostra tratti di inattendibilità. E quell’auto va fermata anche con un solo “veramente non saprei”. Le rifaccio la domanda? Chiede la voce rallentando per stanchezza. No, è che questa cosa, non ha tanto senso. Non ha idea di quanto queste domande siano importanti per lo sviluppo del mercato, precisa, andiamo avanti? Sì, ma le prossime risposte le metta pure lei. Scappano due risate. E la voce si fa amicale. Siamo esseri umani venuti in contatto per volontà di mercato. E il protocollo può cambiare forma, saltare e inciampare in quesiti fatti dall’utente. Giusto per capire le regole del gioco. Che poi sono regole di contratto e di lavoro.
Lei rimane un po’ stupita. Ma è contenta. Dice di aver già fatto ottanta telefonate. Il suo è un call center siciliano. Ha iniziato alle cinque del pomeriggio e terminerà alle dieci. La nostra è la prima chiamata durante la quale ha riso.
Grazie.
Buona fortuna.
Ne abbiamo bisogno.
Tutti.
(Giovanna Profumo)
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