Donne massacrate dai loro ex mariti e fidanzati che “non si rassegnano” a essere lasciati; donne massacrate da ex fidanzati di altre, che sfogano la propria rabbia sulla prima che incontrano; donne massacrate da medici incompetenti, che trasformano in tragedia un evento naturale come il parto; donne massacrate dalla paura e dall’ignoranza, mentre abortiscono clandestinamente nel bagno di casa; donne usate da una pubblicità violenta e volgare, che ne offende la dignità umana; donne in parata davanti al dittatorello di turno, assoldate in massa a pochi euro al giorno. Un lungo elenco di offese, di mercimonio, di violenza a volte più sottile, più spesso omicida, troppo lungo, articolato, specifico per poterlo ritenere casuale.
Alla base la convinzione che le donne siano per loro natura “inferiori”, un “ambiguo malanno”, come già le etichettava l’antichità classica, convinzione radicata nel nostro paese anche grazie alla storica misoginia cattolica, convinzione che fino a pochi anni fa nessuno osava esprimere, ma che la recente svolta popolar-pecoreccia del pensiero politico ha sdoganato, un po’ come è accaduto per il razzismo, per l’omofobia e per la certezza che tutto sia lecito, basta solo non farsi beccare con le mani nel sacco, o, se beccati, produrre immediatamente una legge ad personam per farla franca.
Un’estate nera per le donne italiane: e non aiuta che molti quotidiani continuino a definire questi assassinii come “delitti passionali” o “tragedie dell’amore”. Qui l’amore e la passione non c’entrano niente: c’entra invece l’idea che il corpo delle donne appartenga agli uomini, ai medici, ai padri, ai mariti, ai potenti e che il proprio spazio di potere si definisca in base alla forza e all’estensione di questa appropriazione indebita.
C’entra l’idea che il lavoro delle donne sia solo “aggiuntivo” rispetto alla definizione del reddito familiare; c’entra l’idea che lo spazio pubblico non esista e che i diritti collettivi siano inutili; c’entra l’idea che formazione e competenza valgano di meno di un bel “lato B”; c’entra un’idea feudale del potere, in cui la vicinanza al corpo del capo definisce l’accesso al potere stesso.
Parlare di donne, oggi, vuol dire parlare di questo: della natura e delle forme del potere e delle parole nuove che dobbiamo imparare a pronunciare per disvelarne la natura regressiva e pericolosa.
Abbiamo bisogno di vederli in fila, questi donnicidi, di leggerli nella loro enormità, nel loro orrore per sottrarli all’effimera indignazione di chi ne legge distrattamente su un quotidiano, per ricondurli al loro significato di segnale inquietanti di questo nostro tempo.
Perché è ipocrita manifestare per una donna condannata a morte in un paese lontano, se non c’è, insieme, la consapevolezza della violenza che tuttora è presente nella nostra cultura e nella nostra società.
http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89
http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2010/09/24/sulla-pubblicita-sessista/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/08/violenza-sulle-donne-in-aumento-simonelli-e-doveroso-parlarne/48752/
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070221_00/
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/09/06/news/lerner_murgia-6791000/
(Paola Repetto)
Le scuse sono sempre le stesse, e d'estate si aggiunge il caldo... come se il sangue degli uomini fosse differente dal nostro. Forse d'inverno possiamo stare più tranquille?
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