Quanta sofferenza sei disposto ad accettare per il tuo cibo? Questa è la domanda di fondo che pone Frank Reeze, allevatore americano di polli e tacchini, uno degli ultimi avicoltori indipendenti in un mercato zootecnico dominato al 99 % dall’allevamento intensivo (in “Se niente importa” di Safran Foeer - Ed. Guanda).
Una domanda che chiama in gioco nello stesso tempo i grandi interessi economici e la nostra etica individuale (in “Se niente importa” di Safran Foer - Ed. Guanda).
Dice Reeze “La gente è ormai lontanissima dagli animali che mangia”, e questi “Hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto in qualunque momento ad un prezzo irrisorio”. Un tacchino, un pollo, una gallina ovaiola industriali “non possono camminare normalmente, non parliamo di saltare o di volare”. Condizioni di allevamento, tipo di alimentazione, e una “grottesca” manipolazione genetica rendono impossibile la loro sopravvivenza in condizioni normali. Osserva l’allevatore: “Quello che l’industria ha capito – ed è stata questa la vera rivoluzione – è che non ti servono animali sani per fare profitto. Gli animali malati sono molto più redditizi”.
Safran Foer cita i dati di questa perversione moderna: “Dal 1935 al 1995 il peso medio dei broiler (polli allevati per produrre soprattutto il petto) è aumentato del 65 %, mentre il tempo per immetterli nel mercato è calato del 60 %, e il loro fabbisogno di cibo è diminuito del 57 %”. Per cogliere la radicalità di questo cambiamento, dice, dobbiamo immaginare un bambino che a dieci anni arrivi a pesare 150 Kg. mangiando solo barrette di cereali ed integratori vitaminici.
E’ stato negli anni ’50 e ’60 che le aziende avicole hanno iniziato a procedere “alla integrazione verticale della filiera produttiva” , e che un’attività economica “un tempo dominata dalle donne” è transitata in mano ai maschi, mentre i pollicoltori esperti sono stati sostituiti da dipendenti stipendiati. “Non ci fu un colpo di pistola a segnare l’inizio della corsa verso il basso. Il terreno si inclinò e tutti scivolarono giù”.
L’allevatore Reeze elenca: “Un quarto dei polli ha fratture da stress. E’ sbagliato. Sono così stipati uno addosso all’altro che non riescono a evacuare il loro escrementi e non vedono mai il sole. Gli artigli crescono intorno alle sbarre delle gabbe. E’ sbagliato. Sentono la macellazione. E’ sbagliato.” Aggiunge di credere cha alla gente importi degli animali, ma “non vogliono sapere o pagare”, e l’industria fa di tutto perché continuino a non sapere.
E qui torna la domanda: che succede da noi? Digitando “broiler” su Google, di informazioni se ne trovano, ad esempio che la densità dei broiler negli allevamenti si aggira sui 30 kg. per metro quadro (dai 16 ai 34 animali, a seconda del peso), che in Italia il mercato è dominato da due aziende, l’AIA del Gruppo Veronesi e l’Amadori, con dettagli su quel che vi avviene, che l’allevamento naturale o biologico (dove la U.E. fissa in tre polli la densità per metro quadro) copre solo lo 0,7 % del mercato.
Ma quanti cittadini si mettono a digitare “broiler” su Google prima di andare a fare la spesa?
Non intravvedete un compito mancato degli organi di informazione?
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(Paola Pierantoni)
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