Le aziende “che sposano i principi dei prodotti halal (cioè leciti)” e che si dotato del marchio “Halal – Italia”, sono sempre più numerose, e tentano di arrivare per questa via anche ai mercati asiatici.
Domanda a Repubblica: in base a quale criterio invece di una immagine di mercato, o di scaffali di un grande magazzino che espongono prodotti halal, la redazione ha deciso di corredare questo articolo con l’immagine di una donna completamente velata?
Sembrerebbe un'adesione acritica, comoda e irresponsabile ad uno stereotipo senza fondamento. Infatti il Corano non prescrive questo tipo di abbigliamento che ha origine in tradizioni culturali patriarcali, che persistono in aree culturali e geografiche limitate e che sono state fatte proprie da correnti molto minoritarie dell’interpretazione islamica. Non solo: moltissimi musulmani e musulmane ritengono che il Corano non prescriva affatto il velo, anche nella forma del fazzoletto in testa, e si comportano di conseguenza.
C’è una grande responsabilità dei mezzi di informazione nella costruzione del “senso comune”, e in questo i messaggi impliciti hanno un potere anche più grande di quelli espliciti. E’ grave che anche un giornale come Repubblica si faccia portatore di pregiudizi culturali. Davvero non ne abbiamo bisogno
Consigliamo la lettura di “Oltre il velo” di Leila Ahmed, La nuova Italia 1995.
(Paola Pierantoni)
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