4 luglio su Repubblica – edizione Genova, con il titolo “L’accordo di programma va riscritto”, Claudio Burlando dichiara: “L’Ilva ha usato la cassa integrazione fissata dall’accordo di programma anche per estenderlo ad alcuni comparti che con l’accordo non avevano nulla a che fare e questo ha riguardato in particolare l’occupazione femminile e l’ufficio acquisti, che si è scelto di concentrare a Milano. L’Ilva ha fatto questo restando nei limiti dell’accordo, quindi legittimamente, ma bisogna capire i numeri reali degli occupati di Cornigliano”.
Monitorare i numeri reali di Cornigliano è il nodo che tutti i soggetti coinvolti hanno avuto come obbiettivo per cinque anni.
Scopo dell’accordo di programma, produrre industria pulita, salvaguardando i posti di lavoro.
Visto oggi, l’accordo di Cornigliano rimandava all’art. 41 della Costituzione: libertà dell’iniziativa economica privata, utilità sociale, sicurezza, dignità umana, coordinamento dell’attività a fini sociali.
Nel 2005, ma anche in precedenza, nessuno, oltre Riva, ha presentato un progetto che contenesse tutti gli elementi che l’art. 41 menziona.
A nessuno interessavano quelle aree perché nessuno si poteva gravare dei 2700 dipendenti che l’Ilva contava allora.
Le aree, affidate ad altri, potevano generare profitto, ma non posti di lavoro.
La “vision” dell’accordo è stata quella di contenere insieme impresa e occupazione. In un paese dove l’impresa, se può, produce con livelli occupazionali e tutele ridotte al minimo.
La politica genovese ha scommesso, ma non ha voluto vedere che chi fa impresa ha come scopo produrre utili. In una condizione di crisi industriale e in assenza di utili chi fa impresa ricorre ad ammortizzatori sociali e riduzione di personale.
Alcuni aspetti della vicenda, presi per tempo, avrebbero potuto modificare il quadro con il quale le istituzioni hanno a che fare oggi. Uno fra tutti, la crisi che ha dato segnali che andavano oltre il numero di cassintegrati inseriti nell’accordo, inducendo Riva, già due anni fa, a ricorre alla cassa integrazione ordinaria per il personale ancora in forza. Inoltre questioni delicate come la centrale termica, la capacità occupazionale di impianti e uffici non sono state mai visualizzate con la chiarezza necessaria.
Oggi i possibili rientri in azienda sono accompagnati dalla motivata preoccupazione che siano rientri temporanei. Dopo cinque anni in Comune e Provincia i lavoratori legati all’accordo di programma temono di tornare in una società i cui livelli produttivi non permettono di assorbirli, e vivono il rientro con la paura di essere rimessi in cassa ordinaria.
In questo caso, assai probabile, cosa propone il presidente della regione Liguria?
E come si tutelano tutti i dipendenti delle acciaierie?
Sempre su Repubblica, il presidente della Regione dichiara che ci sono aziende fortemente interessate alle aree come Ansaldo Energia e Asg di Malacalza: ma la parola “aree” non è sinonimo di nuovi occupati.
Poi invita tutti i soggetti coinvolti a mettersi “attorno a un tavolo” e chiede “al governo di ragionare, partendo proprio dall’accordo di programma”.
“Lavoriamoci fino a settembre e vediamo se a ottobre, a cinque anni esatti dal vecchio accordo, arriviamo a consolidare una nuova intesa”.
(Giovanna Profumo)
martedì 6 luglio 2010
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