Shangai, tanti ombrellini colorati aperti, non per la pioggia ma per il sole, come da consuetudine cinese, sono in attesa all'Expò del padiglione
made in Italy magari per assaggiare le lasagne a 14 euro. Intanto a migliaia di chilometri di distanza si consuma l'ennesimo sciopero dell'Asia operaia, questa volta è il comparto tessile: la produttività secondo l'Oil (Organizzazione internazionale lavoro,
Sole 24 ore del 25 giugno) è cresciuta dell' 8,7% nonostante la crisi e Pechino impone agli investitori stranieri aumenti dei salari fino al 30% per favorire consumi interni e sicurezza sociale.
Ne dà notizia giovedi 1 luglio il
Tg2 delle 20.30. Non accenna però alla protesta dei lavoratori in Cambogia, Malaysia, Indonesia, Vietnam, Pakistan e India. Le rivendicazioni cinesi stanno sconvolgendo l'altra parte del mondo e i governi asiatici ne sono preoccupati perché non riescono a reggere la competitività cinese, la più alta in assoluto.
Nessun cenno della Rai ai suicidi che da mesi avvengono nel megastabilimento di Foxconn, primo focolaio della protesta, dal quale escono i componenti elettronici utilizzati da Sony, Samsung, Nokia o Apple. Monaci buddisti, psicologi, spazi di ricreazione e un milione e mezzo di metri quadrati di reti protettive per impedire ai dipendenti di gettarsi da tetti e finestre (
Sole 24 ore, 28 maggio): 420 mila operai, che al 90% hanno meno di 25 anni e che passano dalla catena di montaggio, con turni e controlli estenuanti, ai dormitori, vivendo all'interno di un perimetro di 12 chilometri. Il salario di base è di 900 yuan, circa 110 euro e può raddoppiare con gli straordinari; i lavoratori sono giovani emigrati dalle province più interne del Paese: Foxconn resta per le agenzie di rating "fornitore di alta qualità", così si pensa a stabilimenti vicino alle terre d'origine per evitare "l'alienazione" di cui, secondo i dirigenti, soffrono i ragazzi-operai. Mentre coetanei più ricchi frequentano corsi di perfezionamento per adeguarsi al futuro mondo dorato che li aspetta.
Volkswagen ha annunciato investimenti senza precedenti in Cina per un valore globale di sei miliardi di euro, con tre milioni di autoveicoli entro il 2014. Honda, pur di continuare a produrre, ha concesso un aumento salariale del 24%. Così Pepsi e le principali aziende di elettronica. Poco prima di questo servizio, al
Tg2, il no di Maurizio Landini, leader della Fiom, all'accordo di Pomigliano, con la richiesta alla Fiat di riaprire le trattative.
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Affari e Finanza de
La Repubblica del 28 giugno si sottolinea che non è più solo export, ora si cresce anche grazie al
made by italians, ovvero con gli investimenti italiani all'estero, che sono di 32 miliardi, contro nove miliardi di dieci anni fa: delocalizzazioni da Stati Uniti a Romania e Paesi dell'Est, ma anche in Cina con quasi 800 imprese e 85 mila addetti. Fiat dice che i sindacati americani hanno capito.
Forse a Pomigliano bisognava davvero votare tutti sì al referendum: non solo pensando alla sopravvivenza dei 5mila operai, ai 10mila dell'indotto e ad un territorio degradato. Ma soprattutto per vincolare Fiat ad un impegno vero, senza più le vacche grasse degli aiuti di stato che in questi decenni hanno permesso all'azienda torinese di mettere operai in cassa integrazione e distribuire dividendi. Se n'è fatto una questione di principi, sacrosanti. E dato alibi a Fiat e governo: come passeranno l'estate Vincenzo, Giuseppe e le loro famiglie?
(Bianca Vergati)