domenica 2 maggio 2010

OLI 257: ISLANDA /1 - Ma come stanno gli islandesi?

Giornali e telegiornali sono pieni di notizie vulcaniche: immagini affascinanti e terribili di fiamme, ghiacci e nuvole, bollettini catastrofici sui blocchi aerei, cronache dettagliate delle vicissitudini dei viaggiatori, allarmi per le merci bloccate e destinate a marcire.
Ma nulla si sa o quasi di come se la passino gli islandesi.
Uno sguardo al NYTimes ci informa che “I venti prevalenti hanno portato la gran parte della polvere all’estero”, cosicché “al di fuori degli allevatori nei dintorni del ghiacciaio Eyjafjallajokull, le cui terre sono state allagate dall’acqua disciolta del ghiacciaio, o ricoperte dalla polvere” finora le conseguenze della eruzione sulla situazione locale sono state minime, tanto che, mentre i voli in Europa sono bloccati, quelli dall’Islanda verso il resto del mondo seguono la normale programmazione. Cosicché – viene detto nell’articolo del NYTimes, dopo un giorno o due l’attenzione degli islandesi è rapidamente tornata a concentrarsi sull’altro argomento centrale: la perdurante ricaduta politica della crisi finanziaria.
Tuttavia i problemi ci sono, e potrebbero improvvisamente drammatizzarsi se i venti cambieranno direzione: gran parte della economia del territorio dove è in atto l’eruzione si fonda sull’allevamento del bestiame, e la minaccia che per il resto dell’Europa riguarda le alte quote, impedendo il traffico aereo, in Islanda riguarda quel che avviene al suolo. La corsa è a proteggere gli animali dall’inalare o mangiare polvere che può causare emorragie interne, e danni a lungo termine alle ossa e ai denti. “Una polvere che copre tutto - pascoli, animali e persone – con uno spesso strato grigio”.
Nel frattempo, dice il NYTimes “Anche se gli islandesi stanno ben attenti a non sembrare soddisfatti di questo ultimo periodo di guai, hanno in realtà accolto l’eruzione del vulcano prevalentemente con un sentimento di sollievo collettivo. Il tracollo finanziario può avere mandato in frantumi la reputazione della Islanda quale paradigma della rettitudine nordica, e avere determinato un profondo esame di coscienza tra i cittadini e nella classe dirigente, ma di questa crisi – sottolineano allegramente – non portano alcuna colpa”.
(p.p.)

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