giovedì 27 maggio 2010

OLI 262:SOMMARIO

In questo numero

Versante Ligure Tutto un Grecia Grecia (Enzo Costa&Aglaja)

• Cultura - Per Edoardo Sanguineti  (Angelo Guarnieri) / Vivendo per capire (Edoardo Sanguineti)
• Politica - La diffusione militante della Fondazione Carige (p.p.)
• Liguria - Se il declino è contagioso  (b.v.)
• Migranti - Famiglie in movimento  (p.p.)
• Ambiente - I boschi avanzano ma il ministro non lo sa  (e.m.)
• Parole degli occhi - Sanguineti con le donne per la laicità (Giorgio Bergami) / Ballata delle donne (Edoardo Sanguineti) 

Lettere


• Molte e strane regole (Giovanni Daniele)
• Tunnel storici e gallerie naturali (Simone Torretta)


OLI 262: VERSANTE LIGURE - Tutto un Grecia Grecia

Pur nella sua efficacia,

boutade che mi ripugna

ché in qualunquismo sfocia

la scrivo, però è indegna:

da noi non c'è la Grecia

ma la variante Magna.


Versi di ENZO COSTA 

OLI 262: CULTURA - Per Edoardo Sanguineti

Vivendo per capire 
Vivendo per capire perchè vivo,
scrivo anche per capire perchè scrivo:
e vivo per capire perchè scrivo
e scrivo per capire perchè vivo.

(Edoardo Sanguineti)

Non ha scelto un buon momento per morire Edoardo Sanguineti. Poteva aspettare ancora un po’. Poteva aspettarci ancora un po’. Non scaricarci addosso in modo cosi improvviso e ammutolente lo spegnimento della sua voce e della luce mobile e penetrante dei suoi occhi.
Troppo freddo è stato questo lungo inverno. E troppo duro. Cominciavano appena a prevalere i raggi di sole e le giornate cominciavano a tingersi di colori e tepori primaverili.
Non doveva Edoardo, che al calore umano teneva moltissimo, con la sua morte e con il suo scomparire alle nostre viste, aggiungere una ventata di gelo, al gelo già accumulato sulla nostra pelle e nelle nostre persone.
Anche nella storia c’è freddo, come diceva Caproni - non troviamo tracce per sapere se amato o no – e nella società, per le strade della città e nella cronaca. E la parola di Sanguineti era sempre calda, fino all’incandescenza a volte. Di calore autentico, con la sua faccia ben esposta, sia che si esprimesse in poesia, sia che si manifestasse in teatro, in saggi, in conferenze, in interventi sui giornali, o in commenti musicali. Aveva la forza della poesia. E non temeva il paradosso, la rottura, le capriole linguistiche, il giuoco. Non temeva polemos che sapeva essere figlio degli dei.
Ed era parola colta, molto colta e saggia, profondamente saggia. Capace di suscitare il pensiero sempre, sia che comunicasse ad una platea di allievi, sia che si liberasse in una piazza per invitare a non far retrocedere la linea della dignità e dell’umanità, sia che si esprimesse in una dimensione più intima dove contano la dolcezza delle relazioni umane e scorre l’acqua dell’amicizia e dell’amore.
Ed era parola allenata al pensiero critico e alla potenza delle idee, che alla critica richiamava sempre per capire, per non fermarsi alla omologante superficie di ciò che appare, alla seduzione scriteriata, alla finzione ”buonista” e consolatoria. In questo senso era essenza della politica, dell’impegno politico, che quando necessità chiamava non si tirava indietro, ci metteva corpo e carne.
“Politico prestato alla poesia” diceva Sanguineti di sé stesso, facendoci intendere, e questo crediamo essere il suo significato più profondo, come politica e poesia siano intrecciate inscindibilmente e come non si dia buona politica senza buona poesia.
E “chierico rosso”, rispondendo a Montale, che trova nella materialità della condizione degli operai dell’Italsider e delle loro assemblee, le fonti della materialità poetica della sua scrittura. Parola quindi che si distende fra “l’utile e il bello per arrivare al vero”, secondo la sintesi di Goethe.
Ma parola anche che non cela le ombre profonde dell’infelicità, del dolore vissuto e non taciuto, della fragilità che la ragione mai può neutralizzare, e che, se le condizioni lo consentono, con pudore e discrezione possono sciogliersi in lacrime, ricordando il padre o leggendo una poesia per l’amico Berio, appena deceduto.
Ora che Sanguineti è morto siamo tutti più poveri, anche coloro che con lui non erano d’accordo; Genova è più povera, senza uno dei suoi figli più amati, l’Italia e il mondo sono più poveri, senza questo ambasciatore della cultura, senza questo “chierico” della dignità e dell’uguaglianza di tutti, senza questo difensore delle “casematte” della democrazie, secondo il suo amato Gramsci, “e che adesso, che potrei dire tutto, proprio, non essendo più vivo davvero, non ho più niente da dire, ecco” (Postkarten, 1977).
Questo aveva scritto nel 1977 e ci aveva dato l’illusione che già morto non potesse più morire oppure, ed è la stessa cosa, potesse sempre risorgere e continuare a parlare.
Ora ci parleranno solo i ricordi e le opere. Per sempre.
La sua morte è stata circondata da un profondo alone di rispetto e di amore.
Bene ha fatto il Comune di Genova a destinargli come ultima dimora il Pantheon dei suoi migliori figli, dove certamente prenderà posto “dalla parte del torto”, come direbbe il suo Brecht, accanto a quel Bisagno partigiano, che ha sacrificato la vita per la liberazione dai fascisti e dai nazisti.
E per quella Costituzione Repubblicana che senza timore e pavidità Sanguineti ha sempre difeso.

(Angelo Guarnieri)


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OLI 262: POLITICA - La diffusione militante della Fondazione Carige


Nuove militanze: 22 maggio, la fondazione Carige diffonde Il Giornale (Foto Paola Repetto e Ivo Ruello)

“Genova in festa. Giovani, stelle e sport”: dal 20 al 23 maggio il centro di Genova (Porto Antico, Piazza Matteotti, De Ferrari, San Lorenzo) è stato davvero in festa, con centinaia e centinaia di bambine, bambini, ragazze e ragazzi che si esibivano in decine di attività sportive e di danza. Scoperta di una vita giovane che scorre quasi insospettata nella città, e si impegna in una miriade di attività mostrando di aver raggiunto un livello di qualità che rivela impegno, passione, lunghe ore di esercizio.
Tre le attività portanti della manifestazione: il “Progetto giovani” della Fondazione Carige, “Stelle nello sport” del Coni Liguria e “Festa dello sport” della Porto Antico.
Quindi quattro bellissime e allegre giornate di cui la città deve ringraziare i tre soggetti di cui sopra, e una moltitudine di partner ( Comune, Provincia, Regione, Esercito Italiano, Miur, Carabinieri, Polizia … ) e di sponsor, tanti da decorare fittamente con i loro logo metri e metri quadrati di striscioni.
A giudicare dal netto predominio, ovunque, del colore blu e del logo Carige, sembra comunque chiaro che la Fondazione Carige deve aver dato a questa manifestazione molto, ma proprio molto, più degli altri. Quindi un grazie particolare alla Fondazione Carige.
Ora, nella mattina di sabato e domenica diverse giovani e graziose ragazze che indossavano una maglietta col logo del “Progetto Giovani” della Fondazione si aggiravano a coppie tra Piazza De Ferrari e Matteotti distribuendo gratuitamente l’accoppiata informativa de Il Giornale più Il Mercantile.
Domande: la gratitudine per le belle giornate di sport, danza e giovinezza deve includere anche l’accettazione della distribuzione militante ai cittadini di un foglio spudoratamente governativo? Che relazioni ci sono tra la Fondazione Carige e l’organo di stampa Il Giornale, e in che sedi sono state eventualmente concordate? Quali ne sono le implicazioni, i termini di scambio? Questa azione di stampa e propaganda è stata anticipatamente resa nota e concordata con gli altri attori e sostenitori della manifestazione? Ricordiamo, a questo proposito, che il Comitato scientifico di Progetto Giovani include tutte le principali istituzioni cittadine.

OLI 262: LIGURIA - Se il declino è contagioso

Non si vedono più sul Rondò, la piazza dove s'incontra la gente che conta ad Imperia Oneglia, sono blindati in villa gli Scajola, scorta agli accessi: il ministro e signora sono spariti. Regna il silenzio, non più clamori di feste, fra gli ulivi centenari sulle colline, nel palazzotto ottocentesco, un tempo magione di campagna di uno degli avvocati più illustri del ponente, residenza ufficiale di "sciaboletta", soprannome del politico datogli dai suoi concittadini. Una casa di campagna che si apriva nella bella stagione di cui, a sentire alcuni onegliesi, ognuno ha un ricordo: le signore, - e che signore democratiche - si riunivano a ricamare insieme alle amiche e alle donne di servizio, i bambini imparavano ad andare in bicicletta, a giocare a nascondino e poi i bei picnic con "sciue cine", fiori di zucchine ripieni e "piscialandrea", pizza al pomodoro, cipolle e acciughe salate. Poi la vecchia casa avuta in eredità fu sventrata, soltanto la faccia ta è quella originale e piano piano il politico potente comprava uno dopo l'altro gli appezzamenti intorno, e anche una casa, risistemata soltanto per ospitare gli amici in trasferta. Si completava la tenuta con una nuova strada privata, la piscina e un garage gigantesco, che conserva le auto d'epoca di cui il ministro va pazzo. E pensare che il comune di Diano, la frazione d'Imperia di cui si parla, pare sia di solito assillante fino al centimetro, quando si deve ristrutturare.
Lo sconcerto è palpabile in città, la delusione per aver perso un ministro, così chi farà più qualcosa per quella parte di Liguria, un mondo a sè, quasi come il regno di Seborga. Incredulità, ironia e anche un po' d'indignazione per la sua versione dei fatti. Pensare che da tempo il ponente era ormai territorio esclusivo dell'exministro, a lungo sindaco, che pur non originario del luogo, prima il padre e poi lui, avevano scalato i posti del potere della balena bianca, l'unico feudo democristiano in Liguria, affettuosamente benvisti da Paolo Emilio Taviani, testimone di nozze. Pare sia affranto e incredulo per la presa di distanza, la freddina solidarietà di pdl e concittadini, mentre ritornano in giro storie passate: tant'è il ministro ha smentito la consorte, ordine del partito senz'altro, ma con una tale vigoria… Una coppia pubblica, affettuosa, e lei così presente, lei per cui più d'un onegliese s'offusca: professoressa in aspettativa, appassionata d'arte, corsi all'Università, conferenze, eventi, premi alla cultura e ricevimenti ad Imperia e Roma. Mentre lui si sente abbandonato da Silvio e poco amato in patria, tranne dall'altro Claudio per il bene della Liguria, il pdl genovese, che mal sopportava il suo potere, ha alzato c resta e toni e nel frattempo solo la Lega acchiappa sottosegretari.
Tanti si sentono "orfani", era l'unico ministro ligure e con i parlamentari che si sono avvicendati in questi anni in campi opposti, la nostra regione certo non ha brillato in politica. Liguria, sud del nord, da cui i pochi giovani scappano, sono un terzo rispetto agli anni '70, anziani, pensionati, territorio dimenticato dalle infrastrutture, porti trascurati se pur primi in Italia, industrie dismesse non solo per crisi ma per gravi colpe politiche. A chi si domanda chi penserà alla Liguria d'ora in avanti a Roma si può chiedere quanto è servito avere da 15 anni un ministro ligure.


OLI 262: MIGRANTI - Famiglie in movimento

“Non si può più parlare di famiglia. Si deve parlare di famiglie, al plurale, perché c’è ormai una pluralità di famiglie: eterosessuali, omosessuali, di fatto, oppure fondate sul matrimonio. Il legislatore però fatica a prenderne atto”. Queste parole di Giovanna Savorani, presidente dei Corsi di laurea in Servizio sociale presso la Facoltà di Giurisprudenza, introducono la presentazione del libro “Famiglie in movimento” (*). Ad ascoltare un’aula piena di ragazze – tra loro anche qualche ragazzo – che studiano per diventare assistenti sociali. Una professione, dice la docente, che deve proporsi azioni “leggere, complesse, preventive, riparative”.
L’iniziativa della presentazione di questo libro agli studenti nasce da una collaborazione tra il Centro Studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo (http://www.csmedi.it/) e la Facoltà di Giurisprudenza.
Oggetto della ricerca, basata su 300 interviste a donne migranti in Liguria e curata da Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola, sono le “molte” famiglie migranti, che contraddicono il formato unico che alcuni vorrebbero proporre come modello di una inesistente normalità. Emerge la figura delle madri “transnazionali”: il 53 % ha tutti i figli in patria, il 7 % ne ha un pò qui e un po’ in patria, il 40 % è riuscita a ricongiungerli. Ma anche in questo caso, quello apparentemente più favorevole che noi vediamo come una storia “a lieto fine”, la realtà è variegata e complessa, e Ambrosini avverte: “Si tratta sempre di un nuovo, difficile inizio che va progettato, seguito, curato, e che può avere esiti imprevisti e lontani dalle aspettative”.
Anche quando il ricongiungimento va in porto tra le mani non c’è più quello che si aveva quando si è partiti. Per arrivarci - se ci si arriva, e se lo si desidera davvero - sono necessari in media non meno di sei, sette anni, di cui almeno due per conquistare il permesso di soggiorno. A proposito: solo il 15 % delle intervistate è potuto entrare in Italia con un regolare titolo di soggiorno, e tanto valga per tutti quelli che continuano a distinguere tra “regolari buoni” e “clandestini cattivi”.
Nell’aula attenta le ricercatrici (oltre ai due coordinatori già citati: Deborah Erminio, Francesca Lagomarsino, Maria Grazia Mei) propongono dati e frasi raccolti nel corso della ricerca che offre una visione complessa e per nulla scontata di questa realtà sociale. L’80 % delle donne intervistate sono venute in Italia da sole e sono loro, quando decidono di farlo, ad attivare i ricongiungimenti col coniuge e con i figli. Questo aprire la strada della emigrazione appartiene soprattutto alle donne sudamericane e dell’Est Europa. Mi chiedo quanto questo protagonismo nella immigrazione sia conseguenza, e quanto incida, sui cambiamenti della condizione culturale e sociale delle donne. I dati della ricerca offrono molti spunti per riflettervi. Nel corso della emigrazione il 31 % dei legami familiari si spezza definitivamente, ma queste rotture, prevalentemente, non derivano dal fatto che l’emigrazione è un processo destabilizzante: “In realtà sembra soprattutto vero l’inverso, l’e migrazione rappresenta un’opportunità socialmente legittimata per porre fine ad un’unione matrimoniale che non funziona più. Su 93 donne separate / divorziate 86 erano emigrate da sole … solo 6 sono venute al seguito dei coniugi”.
Ma oltre al coniuge ci sono i figli, e qui si arriva al nodo: “Le madri sono schiacciate da processi di colpevolizzazione e di auto – colpevolizzazione” perché non vi è nessun riconoscimento sociale del fatto che riescano ad inviare ai figli rimasti in patria mediamente 300 euro al mese, un terzo dello stipendio, “Le madri non vengono considerate procacciatrici di risorse materiali. A loro si chiede la cura e l’affetto”. Quindi un padre che emigra continua ad essere un buon padre, mentre una madre che emigra è “una madre che abbandona”. In realtà i figli non sono abbandonati, ma curati da una rete familiare costituita soprattutto da donne (nonne, zie).
Rapporti tenuti vivi da rimesse economiche, regali, telefonate, e rientri in patria in media ogni due anni, aprono riflessioni sul potere o non potere essere madri quando non si può essere fisicamente presenti, e sui nuovi ruoli nella famiglia allargata che in assenza della madre si prende cura dei suoi figli: “Si può essere buone madri anche a distanza. La richiesta di una presenza fisica deriva da una concezione paternalistica”. Ma quello che domina è ancora la censura sociale, e le madri stesse hanno di sé una “immagine filtrata dallo sguardo degli altri”. Emergono strazianti rivelazioni delle rotture che si sono compiute: i figli che non ti chiamano più mamma, che non riconoscono più la tua immagine nella fotografia che hai mandato, le conversazioni telefoniche sempre eguali, tu stessa che incontrando all’aereoporto la figlia improvvisamente cresciuta ti accorgi che ti è estranea, che non provi per lei la prescritta emozione di amore: “la separazione è come quando si incrina un vetro, anche se è apparentemente intatto ha una frattura che non si sana”.
Una donna però rompe l’inconfessabile tabù della “madre che abbandona” e dice “ … Io non avevo nessuna intenzione di ricongiungermi …”. E’ una sola voce esplicita dietro cui probabilmente vi è una realtà più diffusa, che viene percepita dalla rete familiare che osserva le assenze sempre più prolungate, i ritorni differiti “Forse aveva proprio voglia di partire … “.
A conclusione dell’incontro Ambrosini si guarda intorno nell’aula universitaria affrescata, e osserva: “Siamo circondati da simbologie legate alla famiglia. Possiamo quindi capire l’influenza di ciò sulla nostra cultura, e la fatica che implica la de-costruzione di questo modello. E’ importante ragionare sulle rappresentazioni. La ricerca ci aiuta a leggere più lucidamente al realtà”. Che bella lezione!

(*) “Famiglie in movimento – Separazioni, legami, rinnovamenti nelle famiglie migranti” a cura di Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola. Ed. Il Melangolo. – La ricerca è stata finanziata dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Liguria.

OLI 262: AMBIENTE - I boschi avanzano ma il ministro non lo sa

Stefania Prestigiacomo, ministro per l’Ambiente, ha chiuso, con il suo intervento, la conferenza nazionale per la biodiversità, che si è tenuta a Roma il 22 Maggio scorso, nell’ambito delle iniziative previste per il 2010, l’anno internazionale per la biodiversità. Il ministro ha insistito sulla necessità di un rinnovamento delle normativa sulle aree protette e sull’importanza della biodiversità, affermando “Se scompare una specie animale o vegetale in Italia, se una zona umida viene compromessa, se un fiume viene distrutto dall'inquinamento, significa che si perde un pezzo di quel puzzle al centro del quale ci siamo noi. E gli esempi, purtroppo tragici sono sotto gli occhi di tutti". E’ poi intervenuta anche sul legame che intercorre tra mancata tutela dell’ambiente e dissesti idrogeologici “Le frane causate dall'uomo, laddove ha modificato indiscriminatamente l'equilibrio del territorio ci hanno fatto pagare un tributo pesante di vite umane e ci dicono che stravolgere gli assetti naturali può essere micidiale anche per l’uomo”.
Le affermazioni del ministro sarebbero condivisibili ed inconfutabili, se non cozzassero palesemente con le sue dichiarazioni in merito ad alcuni fatti recenti, che ne dimostrano la scarsa competenza.
La rivista forestale “Sherwood” segnala (http://www.rivistasherwood.it/blog/479-tapiro-verde-a-striscia-la-notizia.html) un servizio andato in onda su Striscia la notizia il 14 maggio, in cui il taglio regolare di un bosco ceduo di castagno, nell’ambito di un regime a rotazione e nel pieno rispetto della normativa vigente, veniva definito dall’inviato “uno scempio”; il bosco che, secondo le parole del giornalista, “non c’è più”, rettifica Sherwood, è destinato a ricrescere dalle ceppaie che sono rimaste, insieme ad un numero di alberi determinato per legge in base alla necessità di garantire luce sufficiente da permettere la crescita dei nuovi castagni (esiste anche un gruppo su Facebook che denuncia l’accaduto http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=118236094883274&v=wall&ref=mf).
L’informazione distorta che filtra dal servizio è che un regolare taglio di bosco possa causare pericoli e dissesti idrogeologici, mentre l’esperienza forestale e le ricerche ambientali sul campo dimostrano come invece la mancata gestione dei boschi e dei versanti, conseguente all’abbandono delle aree rurali, sia la prima causa di frane e smottamenti.
Queste nozioni elementari, che dovrebbero essere l’ABC di chi si occupa dell’ambiente, sfuggono evidentemente al ministro Prestigiacomo, che ha ringraziato Striscia la Notizia per “l’ennesimo scoop in campo ambientale”, associando il taglio degli alberi a possibili disastri ambientali ed ha affermato “sembra assurdo ma non esiste uno strumento per capire quanti alberi ci sono nel nostro Paese”.
Lo strumento, invece, esiste e si chiama Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio, ed è stato completato nel 2005. Grazie ad esso e, a studi di settore che ormai da decenni si occupano dell’argomento, sappiamo che il bosco avanza inesorabilmente nelle zone rurali prive di gestione, chiudendo le zone aperte in cui un tempo crescevano, per esempio, fiori che la legge tutela (orchidee, narcisi ecc..) e che sono destinati a scomparire, impoverendo la biodiversità nazionale, se abbandonati ad una tutela passiva.
L’inventario informa, soprattutto,del fatto che “che i boschi, in Italia, sono raddoppiati rispetto agli anni ’50, triplicati rispetto al primo dopoguerra”.
Peccato che il ministro per l’ambiente non lo sappia.
(Eleana Marullo)

OLI 262: PAROLE DEGLI OCCHI - Sanguineti con le donne per la laicità


© foto: Giorgio Bergami

17 dicembre 2005, Sanguineti parla alla manifestazione in difesa della laicità dello Stato convocata da alcune donne a Piazza Matteotti

Ballata delle donne

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

(E. Sanguineti, Mikrokosmos)



OLI 262: LETTERE - Molte e strane regole

Come scrive SDP sul numero 260 di questa Newsletter, ricevere un servizio di sostegno alla ricerca di lavoro può richiedere a volte un percorso tortuoso e spesso - per i “non addetti ai lavori” - dai passaggi incomprensibili. Gli “addetti ai lavori” invece sono chiamati ad effettuare questi passaggi, applicando normative di ogni ordine e grado, per arrivare ad erogare il servizio nella maniera formalmente più consona, oltre che efficace e personalizzata.
I Centri per l’impiego della Provincia di Genova oggi sono principalmente votati all’erogazione di servizi per il lavoro quali consulenze orientatative, l’erogazione di voucher per consentire la fruizione di corsi di aggiornamento professionale, l’attivazione di work experiences, il sostegno all’attivazione di nuove imprese, l’erogazione di incentivi alle imprese che assumono nuovo personale e via dicendo ma devono comunque presidiare numerose funzioni amministrative e rispettare i regolamenti che consentono l’impiego di risorse economiche regionali, nazionali ed europee.
La sostanza di ciascuno di questi servizi è fatta dall’operatore addetto e dal tipo di bisogno del cittadino. La forma e, soprattutto, il tipo di finanziamento del servizio stesso, dipendono da elementi formali che sono imprescindibili.
Quindi per ogni persona in cerca di occupazione deve essere formulato un progetto individualizzato che potrà comprendere servizi diversi e di durata variabile. Questo vale sia per chi si avvicina per la prima volta al mercato del lavoro, sia per chi voglia esservi reintegrato dopo aver perso un lavoro dipendente, sia per gli ex imprenditori, per gli imprenditori, per chi è in generale occupato ma in cerca di migliore occupazione.
Il finanziamento di un percorso individualizzato e la possibilità di godere di “bonus assunzionali”sono strettamente legati al fatto che la persona che si presenta allo sportello di un Centro per l’Impiego sia correttamente individuata come “inoccupata”, “disoccupata” o come “occupata”. Se si tratta di persona “occupata” è necessario capire in quale forma.
Le “leggi ininterpretabili” cui SDP fa riferimento, in certi casi possono rallentare l’esatta individuazione della tipologia di finanziamento utilizzabile, in relazione allo status occupazionale del cittadino. Ma questo pare lo scotto da pagare – da parte dei cittadini e da parte degli operatori - per accedere ai finanziamenti pubblici dei servizi per l’impiego. Il protagonista dell’articolo di SDP è comunque ancora in contatto con il Centro per l’impiego e stiamo cercando insieme di trovare una soluzione che possa andare bene per le sue esigenze.
Grazie per il vostro lavoro di informazione e critica.

(Giovanni Daniele – Dirigente dei Servizi per l’impiego, Provincia di Genova)


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OLI 262: LETTERE - Tunnel storici e gallerie naturali

Con riferimento all'articolo comparso sul numero 261 intitolato Tunnel storici e gallerie naturali, la situazione delle alberature immortalate nelle foto è da tempo oggetto di attenzioni da parte del Gruppo PD del Consiglio di Municipio di cui faccio parte.
Spianata Castelletto è un complesso vincolato per il suo pregio paesaggistico e, di conseguenza, le sue alberature.
La stabilità delle stesse è garantita dagli esperti(così ci è stato risposto in Consiglio di Municipio), secondo i quali un'eventuale potatura ne determinerebbe il rischio di stabilità, trovando questo tipo di alberi un equilibrio statico tra rami e radici.
Tuttavia questo è solo un aspetto di un progetto più ambizioso da noi elaborato e approvato con una mozione del Consiglio Comunale a luglio 2009: al fine di mettere al primo posto l'utente "debole" della strada, ossia pedone e ciclista, e per continuare nel processo di valorizzazione di una zona di grande passaggio e attrazione turistica, abbiamo chiesto la pedonalizzazione della via di cui sopra fino all'innesto di Spianata Castelletto.
Conseguentemente a tale intervento sarà possibile anche mettere in evidenza la particolarità delle alberature, senza per questo doverci prendere delle testate.

(Simone Torretta - Consigliere di Municipio I Centro Est Partito Democratico)


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domenica 2 maggio 2010

Avviso

I numeri 257 e 258 di OLI, usciti in aprile, sono stati ri-pubblicati integralmente oggi per testare il blog.

La Redazione

OLI 258: SOMMARIO

In questo numero

Versante Ligure Sani Veleni (Enzo Costa&Aglaja)

Storia - L’orizzonte transnazionale (m.a.p.)
Società - Ma l’etrusco lo potrei usare? (s.d.p.)
25 Aprile - Passaggio di fase (p.p.)
Comunicazione - Pinocchio, il gatto e la volpe (s.d.p.)
Città - Busvia: alla ricerca di una alternativa (m.a.p.)
Città - Lo scoglio dei Mille per l’unità d’Italia (b.v.)
Mostre - Ragazze di fabbrica, osservazioni a margine (p.p.)
Parole degli occhi - Donne che raccontano (Giorgio Bergami)

Lettere


Museruola alla tassa dei rifiuti (Franco Montagnani)

OLI 258: VERSANTE LIGURE - Sani Veleni

Intossicano bili

di Unti, servi & affini

producon stizza a chili

deturpano i santini:

le polveri sottili?

Macché: polveri Fini!


Versi di ENZO COSTA 
Vignetta di AGLAJA

OLI 258: STORIA - L'orizzonte transnazionale

Ad ogni popolo la sua nazione e ad ogni nazione il suo popolo! Assunto che sembra appartenere a La Repubblica di Platone, logico quanto la geometria euclidea. Connubio fondato sull'epica narrazione della storia dei popoli. In realtà idea che risale all'epoca moderna e vede nel XX° secolo, con la conclusione dei due conflitti mondiali, la definizione in strutture statali dai confini geopolitici ridisegnati o assegnati ex-novo.
Il 17 aprile scorso per La Storia in Piazza, dinnanzi ad una gremita sala del Gran Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, Beshara Doumani, professore di storia all'Università della California di Berkley, e Shlomo Sand, professore dell'Università di Tel Aviv, hanno provato a scardinare l'equivalenza popolo-nazione partendo dalla più emblematica situazione internazionale, Israele, Palestina e i rispettivi abitanti.
Doumani ha focalizzato il suo intervento "The Ironies and Iron Law of Palestine and Palestinians", sulla situazione paradossale (Ironies) vissuta dal popolo palestinese, che ha subito la sua prima sconfitta in coincidenza della dichiarazione dello stato palestinese. I palestinesi si sono scoperti popolo nell'accezione moderna del termine solo nel 1948, dopo l'ufficializzazione della nascita della Palestina. Da allora sino ad oggi i suoi confini murati si sono chiusi progressivamente nell'assurdo di uno stato non governato dai suoi abitanti, sui quali vigono leggi inflessibili (Iron Law), senza che venga loro riconosciuto alcun diritto. Un'esposizione chiara, accompagnata dall'evidenza di una serie di diapositive. L'uditorio poteva facilmente presagire una chiusura nei confronti dell'altro interlocutore.
Shlomo Sand esordisce dichiarando I'm from Israel. Rafforza, I'm Israeli. E da lì, sorprendentemente, muove nella direzione di Doumani. Il punto di partenza, illustrato nel suo The Invention of the Jewish People, è diverso: l'invenzione del popolo ebraico e, come alterità, quella del popolo palestinese. Ritiene che attribuire l'appellativo popolo agli ebrei sia un falso storico, emanazione del pensiero sionista, sorretto sull'evidenza non scientifica della Bibbia. Parte dal principio che un popolo si possa definire tale su comuni basi linguistiche, religiose, di tradizione e di sangue. Solo la religione poteva accomunare ebrei nordafricani ad ebrei ucraini. Fondandosi su una particolare interpretazione della diaspora e della storia dei popoli fuoriusciti, sostiene che sarebbe più facile rintracciare origini ebree nei palestinesi. La religione è l'identità di popolo che rende Israele nazione degli ebrei del mondo e di Woody Allen, più che degli israeliani stessi. Dunque una democrazia negata. Tesi molto dibattute quelle di Sand, volte a sostenere l'idea di Israele stato di tutti i suoi cittadini, ebrei ed arabi. Contestate, non nella positiva conclusione, da alcuni studiosi, tra i quali Anita Shapira, come artificiale riscrittura della storia. Salutate positivamente da altri, tra i quali Eric J. Hosbawn.
Forse la retorica storica sulla quale si sostiene una nazione è una delle tante possibili. Sicuramente il suo vuoto è rischiosamente sostituibile con altre ancor più negative. La storia ce l'ha dimostrato. Quale antidoto per il futuro? Doumani e Sand sono d'accordo nel partire dalla critica dell'identità nazionale. Doumani ricorda che i palestinesi si trovano nella condizione più difficile e simbolicamente globale: l'assenza totale di diritti. Il linguaggio politico attuale non coglie che superficialmente la situazione. Solo un orizzonte transnazionale, forse tra qualche generazione, potrà comprenderla e superarla. Sand conclude con un'immagine proposta ai suoi studenti. Siamo su una macchina che corre all'impazzata senza modo di fermarsi. I vetri sono sporchi delle lordure della storia, Pol Pot, Stalin etc. ad impedire la vista. Il tergicristalli non funziona. Per andare avanti possiamo solo guardare nello specchietto posteriore. Ci dirigiamo verso la catastrofe.
È possibile che le future generazioni inventino qualcosa per fermare la corsa? Uno studente risponde di no, ma aggiunge, possiamo spaccare un finestrino...
(m.a.p.)

OLI 258: SOCIETA' - Ma l'etrusco lo potrei usare?

“Ciao, oggi sono stato al forum piscarium e ho comprato delle triglie bellissime”, “guarda che giù al forum coquinum non si risparmia mica”, “al macellum del venerdì in piazza Ottaviano c’è davvero di tutto”. Strano, vero, che come si usa fare le parole latine non siano state scritte in corsivo. E’ il possibile effetto della proposta della deputata leghista Silvana Comaroli (*), consentire il commercio solo a chi parla bene l’italiano e vietare le insegne in lingue che non siano comunitarie, forse dimenticando che si potrebbero trovare insegne scritte in lingua rumena (ohibò, che svista), nel comprensibilissimo danese, per non parlare del greco. E che ne sarà del lituano, del polacco? Se saranno ammesse il catalano, il basco, l’irlandese di Dublino, non è dato ancora saperlo.
Potranno essere usati anche tutti i dialetti italiani, ma solo nella regione di competenza, il che lascia presumere che ci potremo dimenticare la pizzeria “Dicitencello vuje” a Milano, o il ristorante “A madunina” a Palermo. Stop insomma allo scambio fonetico.
Una possibile soluzione, la propongo io per salvare la situazione, sarà di aggiungere al decreto l’articolo correttivo finale: “o la lingua dalla quale le altre derivino”, ossia il latino. Da lingua morta a lingua ufficiale della politica italiana, altrettanto morta. Dopo le messe in latino che spuntano qua e là per lo stivale, potremmo cominciare ad avere i consigli comunali in bergamasco o latino, in piemontese o latino, in genovese o latino. Visto? La cosa è presto risolta, per insegne, parlamento, consigli regionali, provinciali, comunali e municipali, modulistica, pubblicità elettorale. Proporrei, nei casi nei quali l’assemblea condominiale sia fatta di persone extra UE, l’uso dell’esperanto obbligatorio. Tutti, amministratori, inquilini, politici, presidenti, commercianti, con regolare certificato di frequenza emanato da ente autorizzato.
Bene, finite le barzellette delle proposte di legge fatte ad mentulam canis, torniamo a vedere la bellezza di non capire nulla di “arabo”, entrare nel kebab e chiedere, masticando il panino multirazziale: “ma che diavolo c’è scritto nella tua insegna?”. Si chiama “convivenza multietnica”.
*http://www.camera.it/29?shadow_deputato=302764
(s.d.p.)

OLI 258: 25 APRILE - Passaggio di fase

Benedetta da una rara sintonia tra popolo in piazza e autorità sul palco, Genova ha avuto un bel 25 Aprile, ma (o forse: e quindi) non ha conquistato spazi né in edicola, né sul web: sulle loro pagine nazionali La Repubblica e Il Secolo XIX mettono in evidenza solo gli scontri di Roma e Milano, ed il vero traino viene dato dalle lacrime di Claudio Burlando, che forniscono il titolo sia al brevissimo articolo (?) del Secolo XIX, esattamente 49 parole - incluse congiunzioni, articoli e preposizioni, sia alle cronache di Repubblica.
Sul web va anche peggio: gli unici siti che portano un titolo sul 25 Aprile sono – come vuole la distribuzione delle parti in commedia – quelli dell’Unità e del Manifesto.
In questa logica ci si aspetterebbe qualcosa da Liberazione che però sorvola, facendoci pensare all’imbarazzo di dover prendere posizione di fronte agli eventi di Roma e Milano, coerentemente, anche in questo caso, al canovaccio della commedia politica italiana. Ma cosa c’era di bello, che valeva la pena di essere detto, nel 25 aprile di Genova? Di bello c’era il passaggio, la transizione dalla commemorazione all’oggi. Nelle parole di chi ha parlato dal palco, e nei cervelli di chi stava ad ascoltare, il centro non era né la celebrazione, né la retorica. Gli eventi della Resistenza erano uno sfondo, in primo piano c’erano le responsabilità da prendersi su quello che avviene ora in Italia.
Purtroppo però è sempre più difficile che si verifichino le condizioni al contorno indispensabili a formare ed esprimere pubblicamente un pensiero e un sentimento collettivo articolato e non semplificato.
(p.p.)


OLI 258: COMUNICAZIONE - Pinocchio, il gatto e la volpe


Come sempre il gatto Telecom, la volpe Poste Italiane e il Pinocchio Ministero che crede ancora al Paese dei Balocchi hanno combinato il solito pasticcio. Ringraziamo che il crollo del sito della posta elettronica certificata di Stato sia avvenuto subito prima che milioni di italiani avessero affidato ad esso le loro pratiche amministrative.

Tre didascalie a scelta a commento della immagine:
1. La Posta Elettronica Certificata di Poste, Telecom e Governo? Questo il commento dei tecnici informatici: ahahahhahahahahhaha hhahhahahahahahhahahahahha hahahha hahahhahhahahahhahahahhaha hahhahahahhaha hahhaha hahahahahhahahahhah". Chiaro?
2. Disinformatica di Stato - La Posta Elettronica Certificata si incaglia alla prima ora.
La comunicazione "sicura" tra il Cittadino e al Pubblica Amministrazione. Sicura di fare fiasco, qualcuno ne avrebbe dubitato?
3. Informatica dei bambini - Quando si uniscono Telecom, Poste e Ministeri, il Cittadino si barrichi in casa! Pericolo di frane.
(s.d.p.)

OLI 258: CITTA' - Busvia: alla ricerca di una alternativa

Venerdì sera le luci a festa venivano incontro a chi andava verso la chiesa di San Gottardo, restituendo un’immagine che sapeva di vigilia di Natale. L'umidità circostante ricollocava l'atmosfera in primavera. Nella sala sottostante la chiesa, all'incirca duecento persone hanno risposto all'invito dei comitati del “No busvia” in Valbisagno ad assistere alla presentazione di un progetto di viabilità alternativo, sviluppato da un gruppo di studenti della Facoltà di Architettura dell'Università di Genova, guidati dall’ing. Troilo, ordinario di architettura dei sistemi di trasporto.
Il gruppo di lavoro si è domandato che cosa porta un cittadino a prediligere il mezzo privato rispetto a quello pubblico. La risposta è stata la disponibilità continua del proprio automezzo. Perché avvenga la transizione da mezzo privato a quello pubblico è necessario ridurre i tempi di attesa ed incrementare la flessibilità di quest'ultimo. Così nasce questo progetto di viabilità sull'alveo del Bisagno con navette automatizzate sempre disponibili nelle aree delle fermate, alla stregua del Personal Rapid Transit (PRT), che collega Heathrow a Londra. L'idea è stata sviluppata in circa quattro mesi di lavoro, dunque non definitiva, ma fondata su un'analisi accurata della valle dal punto di vista demografico, geomorfologico, non trascurando la criticità idrica del torrente che la solca e l'influenza delle valli attigue.
I people mover sembrano rappresentare una delle alternative possibili per la viabilità della zona. E' stato un peccato non ascoltare nella stessa serata altri progetti. Sicuramente il confronto tecnico con Troilo, che non ha voluto entrare nel merito del dibattito politico, sarebbe stato efficace e costruttivo. Gli interventi invece si sono assestati nello spazio tra doverosa opinione e preoccupazione personale, inframmezzati in alcuni casi da parole di intolleranza e malcelate interpretazioni politiche. Un contraltare non felice alle passate altrettanto infelici esternazioni dell'amministrazione cittadina.
Al movimento “No busvia” va il merito di aver riportato l'attenzione cittadina su una valle bistrattata, risvegliato la partecipazione degli abitanti con iniziative vivaci (gli aperitivi sulle strisce pedonali sono degni delle performance del Living Theatre), ed anche quello di aver riattivato gli storici comitati di quartiere. Non mancano preoccupazioni comuni tra queste realtà, ad esempio la rimessa AMT dell'area Gavette collocata sotto il complesso scolastico di via Lodi.
La riuscita di un’alternativa per questa valle si gioca anche sul dialogo tra i diversi comitati, al di là di una frammentazione corporativistica.
(m.a.p.)

OLI 258: CITTA' - Lo scoglio dei Mille per l'Unità d'Italia

Se Carlo Azeglio Ciampi si dimette dal comitato per le celebrazioni dell'Unità d'Italia per motivi anagrafici, e Gustavo Zagrebelsky con Dacia Maraini esprimono "un senso di disagio", tuttavia il restauro dei monumenti, il museo virtuale del Risorgimento e tutte le altre iniziative sono ormai avviati, pur essendo spesso arrivati in ritardo i finanziamenti: per la scarsa convinzione con cui ci si predispone ad omaggiare la data fondativa della nostra identità italiana, dicono quelli che pensano male.
Anche Genova si prepara ai festeggiamenti, e oltre alle manifestazioni culturali si è attivata per recuperare i "luoghi della memoria". Così lo scoglio di Quarto è stato ripulito, commovente per la sua semplicità. Inoltre si sta procedendo sul monumento dei Mille, dove è atteso per il 5 maggio il presidente Napolitano. Via le aiuole ai piedi delle statue e al loro posto gradoni che esaltano la liricità del gruppo di figure. In atto anche l'intervento sul promontorio che, secondo la Pianificazione del litorale, approvata in Comune a fine 2009, “...dovrà essere oggetto di generale riqualificazione dell'intorno, per consolidare e porre in risalto gli elementi della memoria, favorendo la fruizione pedonale e migliorando accessibilità e visibilità anche da mare”.
Sono previste tre terrazze su tre livelli, collegate da una scala, dove prima c'era il frequentatissimo “Bar Monumento”, che verrà ripristinato. Considerandone la visuale da terra, da levante e da ponente, nonché dal mare, nel mezzo del promontorio spicca la lunga scala dritta dalle pareti in cemento, che arriva agli scogli e condurrà alle tre terrazze. Chi scende lungo la scalinata vedrà un bellissimo panorama, spaziando da Portofino a capo Santa Chiara. Non sarà così per chi guarda dall'Aurelia o dalle spiagge che fiancheggiano la nuova costruzione: da qui "le pubbliche visuali panoramiche", citando Urban Lab, appaiono compromesse.
Forse si volevano rammentare le crose liguri o le scalinate di Portovenere, ma vista dal mare in lontananza, la scala con le sue impenetrabili pareti, pare una fenditura, quasi una ferita, e da terra un ostacolo alla vista, un tapis roulant nel contesto a ziggurat (http://it.wikipedia.org/wiki/Ziqqurat) di piattaforme ulteriormente ampliate, anch'esse in cemento. Le mareggiate sono violente, si sa.
La Pianificazione prevede che i futuri interventi dovranno garantire percorsi-accesso "perpendicolari" alla costa, che si estendano come nuovi belvedere, ma in Liguria solitamente la modulazione degli accessi nei tratti di costa alta corre "in parallelo", lungo le pareti delle scogliere o della strada a picco.
Più di un milione di euro per un progetto non da tutti apprezzato, com'è successo alla presentazione pubblica la settimana scorsa. Mai dire mai all'innovazione però. A restauri ultimati - e ce n'era bisogno - l'effetto sarà certamente piacevole, con il verde fra le terrazze e gli scogli lambiti dal mare, gradito ai ragazzi che s'affollano d'estate.
Un po' meno la pedonalizzazione, ma la mobilità per ora non è contemplata, giusto per restare in una progettazione generale degli spazi e nel rispetto dei criteri della Pianificazione, in cui si sottolinea che “gli interventi di riqualificazione dovranno valorizzare le visuali della città verso il mare ... secondo un approccio teso a re-naturalizzare le strutture esistenti, riducendo le superfici cementificate e impermeabili, a favore di aree verdi e permeabili e ricostruire con materiali ecocompatibili”.
Sic. Chissà che direbbe Garibaldi di quest'Italia.
(b.v.)


OLI 258: MOSTRE - Ragazze di fabbrica: considerazioni a margine

I dati a consuntivo parlano di un successo ottenuto a basso costo per le casse pubbliche: 3350 visitatori in 30 giorni di apertura, più di mille commenti lasciati sul libro della mostra, punte di presenze dalle 150 alle 200 persone nei giorni in cui sono stati organizzati eventi particolari. Il tutto per 20.000 €, spettacoli, animazioni, visite guidate e video inclusi.
10.000 euro li ha messi la Fondazione Ducale per allestimento, vigilanza e promozione. Gli altri – utilizzati per la stampa del catalogo - vengono da Comune, Provincia, Regione, Coopsette e Cgil.
Si è trattato, in effetti, di una conquista. La proposta di portare al Ducale la prima e la seconda parte della mostra Ragazze di Fabbrica, già allestite a Ponente rispettivamente nel 2005 e nel 2008, era stata avanzata l’anno scorso, e si è fatta strada attraverso ipotesi iniziali assai più minimaliste, come quella di una breve e parziale esposizione nel cortile del palazzo.
La pazienza di attendere, e l’arte di stare nei confini di stanziamenti ridottissimi, ha creato una possibilità di incontro tra il progetto delle donne e le disponibilità / possibilità della Fondazione, e alla fine il percorso attraverso 150 anni di storia del lavoro delle donne del ponente industriale genovese è riuscito a trovare uno spazio espositivo adeguato.
L’arte è consistita in una grandissima mole di lavoro da parte delle addette alle biblioteche, nella attività totalmente gratuita del gruppo “Generazioni di donne” (www.generazioni-di-donne.it) che ha realizzato la sezione “15 donne” della mostra e molti degli eventi che si sono svolti al Ducale, e nei contributi che sono arrivati sotto forma di attività (Centro Ligure di Storia Sociale), o di sostegno economico per la realizzazione degli eventi teatrali (lo SPI Cgil e sessanta singole persone che hanno contribuito ad una colletta).
Quindi, più di tremila visitatori. Donne soprattutto, ma con una presenza maschile tutt’altro che trascurabile, che hanno avuto con la mostra un rapporto prevalentemente individuale: le uniche visite guidate sono state quelle delle scuole, perfino una materna, ma nessuna fabbrica o categoria sindacale.
Visitatrici e visitatori con chi parleranno ora di quello che hanno visto o pensato? Il sindacato potrebbe essere un tramite di rapporto, e in effetti nell’ultimo giorno della mostra la CGIL ha organizzato un convegno di grande interesse, “Che genere di innovazione?”, con interventi di donne attive nei campi della ricerca e della produzione. Novanta le presenze: uomini, donne, esponenti di segreteria e di apparato sindacale.
Ma dopo il breve intervallo dedicato allo spuntino, nel momento della reciprocità, quando c’era ascoltare le donne che avevano organizzato parte della mostra e degli eventi, le presenze sono evaporate. Nove di numero le/i superstiti.
Tra di loro Susanna Camusso, oggi segretaria nazionale della Cgil che con alcune delle donne “della mostra” aveva condiviso l’esperienza dei Coordinamenti donne FLM degli anni ’70, e il segretario generale della CGIL Liguria che si è lasciato coinvolgere e commuovere. Presenze “importanti”, ma la barriera che divide il sindacato genovese da quello che si muove al di fuori dei suoi apparati e dei suoi schemi resta alta.
(p.p.)



OLI 258: PAROLE DEGLI OCCHI - Donne che raccontano

Questa settimana proponiamo lo slide del servizio fotografico di Giorgio Bergami, realizzato nel corso della mostra RAGAZZE DI FABBRICA



OLI 258: LETTERE - Museruola alla tariffa sui rifiuti

Preoccupati della piega che sta prendendo la faccenda della tariffa sui rifiuti, abbiamo ritenuto di inviare questo invito, a mezzo stampa, alla nostra Amm. comunale e AMIU affinché riflettano e abbandonino “la mediocrità per l' eccellenza” quale criterio da seguire nelle loro scelte in materia di ciclo dei rifiuti.
Lasciamo da parte le sigle che ci hanno solo complicato la vita negli ultimi anni e parliamo di quella che i cittadini dovranno continuare a pagare perché il Comune continui ad occuparsi dei loro rifiuti. Innanzitutto lasciamo da parte anche la parola rifiuto a cui molti, in particolare i governi che si sono succeduti, continuano a dare significati atti solo ad aggirare il fisco, e parliamo invece di materiale post consumo, che e' tutto ciò che buttiamo via ma che può trovare ancora un suo impiego: i rottami con cui si fanno ormai da tempo le auto senza estrarre altro minerale dal sottosuolo, la plastica delle bottiglie dell' acqua minerale con cui facciamo i maglioni, lo scarto di cucina con cui concimiamo il nostro giardino e così via.
Tariffa e materiali post consumo un binomio che può risolvere il problema che assilla come tante città anche Genova: se separi gli scarti della tua cucina dalla plastica della bottiglia di acqua minerale, la carta del tuo giornale dal vetro della tua bottiglia di birra, produci materiale post-consumo pronto per essere riutilizzato con innegabili vantaggi economici rispetto al fatto di utilizzare la materia prima. Le industrie risparmiano, la nazione pure e lo stesso deve essere per il cittadino che e' l'artefice primo di questo guadagno e grazie a questo “premio” il ciclo virtuoso e' mantenuto.
Il ministro Ronchi ci aveva pensato inventando la tariffa, cioè il meccanismo secondo cui chi produce più rifiuti paga di più, come d'altronde si fa da sempre per l'acqua, il gas e l'energia elettrica.
Sono passati ormai 13 anni da quel decreto ma nonostante gli inviti della comunità europea ad applicare il principio del “chi inquina paga”, l' Italia non solo li ignora, ma applica indebitamente alla tassa sui rifiuti un altra tassa chiamata IVA.
Adesso la Corte Costituzionale se ne e' accorta e denuncia la truffa che anche l' Agenzia della Entrate conferma: milioni di Euro indebitamente presi dalle tasche degli Italiani sotto forma di IVA dovranno essere restituiti.
O forse no, sarebbe infatti sufficiente riformare il modo con cui si paga la tassa sui rifiuti applicando il principio che nel lontano '97 ispirò il Decreto Ronchi: i Comuni continuerebbero a prelevare l' IVA sulla tariffa dei rifiuti e il cittadino, che pur dovrebbe continuare a pagarla, avrebbe però la possibilità di risparmiare e lo farebbe producendo meno rifiuti, realizzando in fondo ciò che a parole tutti si augurano avvenga prima o poi.
Ma con italica fantasia il nostro amministratore locale “trova l'inganno”: pur di non complicarsi la vita, dando il giusto riconoscimento ai cittadini che producono meno rifiuti, bizantinamente ma anche prepotentemente cancella dal vocabolario il vero significato di tariffa e lo sostituisce con uno di comodo che gli permetta di assoggettarlo all' IVA.
E' inutile dire che si tratta di una squallida mossa che non solo perpetua un furto ai danni della collettività ma contraddice ogni benché minima intenzione di risolvere il problema dei rifiuti in maniera sostenibile.
E purtroppo a tutto questo non e' rimasta immune neppure Genova, dove Comune e AMIU stanno febbrilmente balbettando per una soluzione che lasci, prima di tutto, le cose come stavano prima, alla faccia delle Direttive europee e, quel che e' più grave, anche delle belle intenzioni sul ciclo dei rifiuti che stanno dimostrando.
Invece, viste le loro intenzioni anche ambientalmente “virtuose” per ciò che riguarda certi aspetti del ciclo dei rifiuti, potrebbero dimostrare coraggio e sposando l'eccellenza al posto della solita “mediocrità”, rilanciare i Progetti Porta a Porta di Sestri e Pontedecimo adottando in via sperimentale tariffazione personalizzata (tipo Priula) e, perché no, nel frattempo invitare i cittadini ad autocertificare il proprio sforzo di riduzione e differenziazione dei materiali post-consumo attraverso iniziative come il compostaggio domestico, l' uso dei pannolini riutilizzabili, l'acqua liscia e gasata alla spina nei ristoranti, e la diffusione di stoviglie riciclabili al posto di quelle usa e getta nella ristorazione collettiva.

(Franco Montagnani - Legambiente Liguria Circolo G. Rebora San Pier d' Arena)

LA REDAZIONE DI OLI AUGURA A TUTTI UN BUON 25 APRILE






OLI 257: SOMMARIO

In questo numero

• Versante Ligure - Reo Confesso (Enzo Costa&Aglaja)
• Società - Le parole del cardinale (f.b.)
 Migranti - Ambulanti e vigili: dettagli di un safari (p.p.)
• Sanità - Aborto in telediagnosi (s.d.p.)
Afghanistan - Una tavola per il futuro, in skate a Kabul (b.v.)
• Scuola - Il classico non è acqua (g.p.)
• Islanda - Ma come stanno gli islandesi? (p.p.)
 Islanda - Dice il Poeta.. (Giacomo Leopardi)
Parole degli occhi - La Storia in piazza: le sedie sono finite (Giorgio Bergami)

Lettere



• Riso amaro per Fiorello (Gabriella Corbo)
• Detto caffè ma non era caffè (Altin Bici)
• Segnalazione (Bianca Vergati)
• Circolazione in città (Gin Migone)
• Che fine hanno fatto i Verdi?/1 (Marco Gegoli)
• Che fine hanno fatto i Verdi?/2 (Ester Quadri)
• Che fine hanno fatto i Verdi?/3 (Gianfranco Porcile)

OLI 257: VERSANTE LIGURE - Reo Confesso

"Lo ammetto, io i gay

giammai li ho additati

e mai citai gli ebrei

per scopi interessati":

curato anti-Cei

confessa i suoi peccati.



Versi di ENZO COSTA 
Vignetta di AGLAJA

OLI 257: SOCIETA' - Le parole del cardinale

“El xe pezo el tacon del buso” si dice in Veneto, ovvero “è peggio la toppa del buco”, quando un tentativo di aggiustare una falla risulta maldestro e controproducente.
È quanto è accaduto con la dichiarazione di Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, per cercare di riparare l’ennesima voragine apertasi nell’attendibilità della sua istituzione, ora grazie all’improvvida dichiarazione del segretario di Stato Tarcisio Bertone in merito ai legami tra pedofilia, celibato ecclesiastico e omosessualità.
Com’è noto, il potente numero due della gerarchia vaticana, trovandosi in Cile, ha detto con perentoria supponenza: “molti psicologi e psichiatri hanno dimostrato che non c’è relazione tra celibato e pedofilia; però molti altri hanno dimostrato – me lo hanno detto recentemente – che esiste relazione tra omosessualità e pedofilia (…) che leggano i documenti degli psicologi (…) questo è il problema…”.
Tanta cialtroneria ammantata di informata ragionevolezza ha immediatamente suscitato polemiche a non finire. Non solo l’associazionismo gay cileno e del resto del mondo – come prevedibile – e vari esponenti politici di ogni schieramento si sono opposti con risolutezza, ma persino l‘Aippc, Associazione psicologi e psichiatri cattolici, ha preso nettamente le distanze da quanto affermato dal braccio destro del papa. Il governo francese ha espresso una ferma nota di protesta. Il governo italiano s’è ovviamente ben guardato dal fare altrettanto.
La stampa ha dato ampio conto di tutto ciò, tranne Avvenire e Osservatore Romano che hanno glissato e insistono sulla tesi di una campagna mediatica ostile alla Chiesa cattolica.
Il portavoce vaticano Lombardi s’è premurato di precisare che le parole del cardinale riguardavano non la popolazione in generale ma solo i sacerdoti, tra i quali si è riscontrato un “dieci per cento di casi di pedofilia in senso stretto e un 90% di casi da definire piuttosto di efebofilia (cioè nei confronti di adolescenti [che comunque sempre minori sono, ndr]), dei quali circa il 60% riferito a individui dello stesso sesso e il 30% di carattere eterosessuale”.
Del resto, che nell’ambiente religioso la percentuale di persone omosessuali sia alquanto più alta della media è un dato di fatto, checché se ne dica: farsi prete (o suora) è un ottimo alibi per non doversi sposare quando non si è attratti dalle femmine (o dai maschi), mettendo a tacere le malelingue e guadagnando anzi in rispettabilità sociale.
Peccato che nello stesso giorno di questo “chiarimento, non presa di distanza” dall’affermazione di Bertone “che non c’è relazione tra celibato e pedofilia” sia giunta la notizia dell’arresto in provincia di Teramo di un prete d’origine indiana per abusi non su un fanciullo ma su una bambina di 10 anni.
Una malaugurata coincidenza, a ribadire quanto siano grotteschi i tentativi per rimanere a galla di una Chiesa che annaspa tentando di non affogare e gioca con le parole arrampicandosi sugli specchi. Sempre più in crisi di credibilità e di potere materiale non solo per il diffondersi di quel clima di indifferenza e soggettivismo permeati di razionalismo, scientismo, relativismo e materialismo consumista di cui continua a lamentarsi la Cei, ma anche e soprattutto per l’agire dei propri gerarchi.

L’esternazione cilena di Bertone, in spagnolo:
http://www.youtube.com/watch?v=mjSz4_OZg5Y&feature=fvsr
Il servizio del tg3:
http://www.youtube.com/watch?v=60CpX0wPj6E
Riflessione di Francesco Merlo su “La confusione della Chiesa”:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/14/la-confusione-della-chiesa.html
La Cei sul rinnovamento della catechesi nell'attuale clima d'indifferenza e soggettivismo:
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=371813
(f.b.)

OLI 257: MIGRANTI - Ambulanti e vigili: dettagli di un safari

La notizia è comparsa sui giornali dell’11 aprile (Corriere Mercantile, La Repubblica ed. Genova; Il Giornale Ed. Genova): un blitz di alcuni agenti in borghese contro una anziana venditrice abusiva orientale seduta con i suoi cartoni di braccialetti e occhiali in Via Ponte Reale. Secondo alcuni passanti gli agenti sono in borghese, non identificabili, il loro modo di rapportarsi alla ambulante è aggressivo. La loro protesta e richiesta di spiegazioni resta senza risposta, da qui la decisione di telefonare al 112, per far intervenire una pattuglia di Carabinieri. Alla fine tutti, cittadini ed agenti, vengono identificati, e si accerta che “l’operazione” era condotta dalla Polizia Municipale. L’ambulante scappa, pende sui cittadini che si sono intromessi una accusa di favoreggiamento. L’assessore Scidone dichiara di aver dato mandato all’Avvocatura del Comune di valutare l’ipotesi di un danno alla immagine per il corpo della Polizia Municipale, difende l’operato degli agenti di cui è certo che non possano aver agito con violenza o animati da sentimenti razzisti, e aggiunge che “non si può interrompere il lavoro della Polizia Municipale con motivazioni pretestuose, mettendo tra l’altro in pericolo l’incolumità dei passanti, perché sappiamo che quando gli abusivi fiutano il pericolo scappano travolgendo tutto e tutti”. Solidarietà agli agenti anche da parte delle associazioni di categoria degli ambulanti regolari: Anva Confesercenti e Fiva-Ascom, che affermano che l’abusivismo va debellato, e sottolineano che dietro agli ambulanti irregolari stanno organizzazioni illegali che li sfruttano.
Quello che manca in queste cronache, per altro puntuali, sono alcuni “dettagli” che leggo in una mail del gruppo Vivoilcentrostoricovivo, scritta da Cesare Gobbo che, con altre persone, è stato protagonista dell’episodio. Dietro sua autorizzazione, riporto: “Tre persone non identificabili aggredivano una ambulante probabilmente cinese, strattonandola e strappandole di mano un paio di cartoni contenenti occhiali da sole e braccialetti di stoffa … ad una nostra richiesta di identificarsi ci veniva risposto: ‘chi cazzo siete voi … fatevi i cazzi vostri … siamo della Guardia di Finanza’”.
Beh, questa narrazione contiene “dettagli” essenziali a interpretare l’episodio. Il punto non è la legittimità di una azione di controllo, ed eventualmente di repressione, di un comportamento illecito, ma la gratuita mancanza di rispetto con cui questa azione di controllo viene eseguita. Perché una anziana signora cinese sottoposta a un controllo deve essere “strattonata”? Perché a dei passanti che chiedono chiarimenti non si può rispondere in termini anche asciutti, ma corretti? Dove sta questo ricorso al turpiloquio e alla menzogna? Perché nascondersi dietro la Guardia di Finanza?
La mail prosegue osservando: “Non reputando tali metodi ascrivibili a forze dell’ordine abbiamo chiamato il 112”. I metodi, denunciati dal Sig. Gobbo, possono essere considerati indipendenti dalla nazionalità e dalla condizione sociale della signora cinese? Non credo proprio. Ma allora questo si chiama razzismo. La mancanza di rispetto verso i cittadini interventisti viene di conseguenza.
Sullo sfondo la drammatica, quotidiana farsa da guardie e ladri tra venditori ambulanti e forze dell’ordine: le contrattazioni coi turisti improvvisamente si increspano come per una raffica di vento, i lenzuoli vengono annodati, i venditori si disperdono, poi passato il controllo, la superficie del lago si ricompone. Un lago fatto di ostacoli alla regolarizzazione degli immigrati, e di leggi draconiane applicate con discrezionalità. Lo Stato di diritto è lontanissimo.
(p.p.)

OLI 257: SANITA' - Aborto in telediagnosi

Mentre l’Italia dei maschi si divide nei consigli regionali come nei bar su aborto farmacologico si e no e come e quando e perché, c’è chi lavora per risolvere il problema di milioni di donne che vivono in paesi dove l’aborto è vietato o inaccessibile.
Un articolo della Stampa (1*) richiama l’attenzione su un sistema rischioso, usato da molte donne dell’Est a base di alcuni farmaci contenenti la prostaglandina, ossia il principio attivo della Ru486. Una rapida ricerca su internet con questa parola magica fa invece apparire due siti che la sanno lunga sull’argomento. Il primo è svizzero e spiega per filo e per segno tutto quello che occorre sapere sull’aborto farmacologico, mettendo in evidenza anche il confronto con quello chirurgico (2*). Il sito è di una associazione che si è sciolta nel 2003 ma la cui ex presidente continua a mantenere aggiornate le informazioni. Dalla traballante impaginazione si vede che è fatto da un addetto ad “altri” lavori che l’informatica, questo in un certo senso dà un imprimatur di validità dei contenuti. C’è anche una pagina di aggiornamento sugli ospedali italiani (3*) che hanno già praticato l’aborto farmacologico. Segnala anche un’organizzazione olandese (4*) che fa attività di infor mazione e che elenca i siti dove poter comprare la Ru486 “vera”, oltre ad una lunga lista di fakes.
www.womenonweb.org: il pezzo forte però è questo link, uno di quelli che fa tremare le fondamenta di San Pietro: un servizio via Internet per il teleaborto (5*), riservato ai paesi dove l’aborto è vietato. Con una procedura semplice ma efficace, la donna interessata risponde ad un questionario e riceve per posta il farmaco, sotto il controllo a distanza di un medico. Propongono una donazione di 70 Euro, che servirà a coprire le spese per chi non disponesse del denaro per comprare il prodotto. Il dominio è registrato a nome di Women On Web International Foundation, Ontario, Canada.
Un approfondimento è impossibile nello spazio di un articolo Oli, ma alla fine appare lampante l’importanza dell’accesso alla Rete per riuscire a migliorare la vita delle persone, la padronanza del mezzo di ricerca e l’abitudine di esplorare l’informazione. Possibile che La Stampa si sia perso questo sviluppo al di là del riportare la semplice notizia di agenzia?
Fate circolare queste informazioni, chissà che non arrivino nel posto giusto per salvare la vita di una giovane ragazza spaventata. E anche se viviamo in Italia, non abbiamo nulla da invidiare ai “peggiori bar di Caracas” quando parliamo di accesso democratico alla Sanità, chissà che presto Piemonte e Campania non siano inseriti nella lista dei paesi esteri serviti dal sito.

1*http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=903&ID_sezione=&sezione=
2* http://www.svss-uspda.ch/it/mifegyne.htm
3* http://www.svss-uspda.ch/it/ospedali_italia.htm
4* http://www.womenonwaves.org/article-445-es.html?lang=es
5* http://www.womenonweb.org
(s.d.p.)